“Cantami O Diva”, il documentario sulla Venere degli stracci – VIDEO
Il film, scritto e diretto dall'ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso Manuel Canelles, racconta i viaggi artistici, partiti da Roma, della Venere degli stracci verso territori di confine, feriti e arricchiti dal fenomeno migratorio. L'opera filmica, in quest'ottica, mette in luce le tappe espositive della scultura a Ventimiglia e in Alto Adige. Ecco il documentario proposto in forma di progetto.

Un’azione artistica e sociale collettiva incentrata sul tema dei corpi e dei confini che vede come protagonista la Venere degli stracci nella sua versione extralarge: è su questo che verte Cantami O Diva, documentario curato dal regista e ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso Manuel Canelles. Il film in ‘forma di progetto’ (visionabile a fine paragrafo), come spiegato dall’autore, racconta come l’opera si trasformi da statua museale a un corpo nudo che viaggia, approdando, dopo una prima presenza a Roma, a Ventimiglia e in Alto Adige, tutti territori di confine, “feriti e arricchiti – come spiega Canelles – dal fenomeno migratorio”. Le tappe in questione sono diventate luoghi di approdo, porti sociali in cui la Venere ha portato azioni di pace e momenti di riflessione e scambio culturale, assumendo metaforicamente sulle proprie spalle il peso di un viaggio ancestrale e la ricerca di libertà. Cantami O Diva documenta un breve tratto di questa storia, “come se dalla lunga pellicola di una vita – ha specificato il regista – tagliassimo con le forbici solo una parte del film, come i frammenti rimasti di antiche liriche greche, ma che contengono già tutto di cui abbiamo bisogno di sapere. Grazie a questo piccolo frammento conosceremo un po’ della sua storia, la vedremo nei momenti più nascosti, intimi, trasportata, disimballata, allestita, testimone di visi e storie straniere, al contempo denuncia di sofferenza e simbolo di rinascita e riscatto”. Il titolo Cantami o Diva fa infatti riferimento alla Venere migrante che racconta la provvisorietà dei corpi attraversando territori di frontiera e che migrando indaga i confini mentali, culturali ed esistenziali delle persone che incontra, a partire dal proprio viaggio.


Il film proposto nel contesto di Iper – Festival delle periferie (tutti i dettagli in un nostro precedente articolo).

I contenuti del film
All’inizio del film viene documentato l’arrivo, l’installazione e il posizione a Ventimiglia della Venere, contesto che è stato teatro della storia delle migliaia di migranti ospitati durante circa 700 giorni – tra il 2016 e il 2017 – presso la Parrocchia di Sant’Antonio nell’ambito del progetto CONfine Solidale a cura di don Rito Alvarez e promosso dalla Caritas di Ventimiglia. In contemporanea, tramite un montaggio parzialmente alternato, la Venere diventa testimone di un mese di performance, dibattiti, incontri e azioni sociali nell’ambito della permanenza della sua permanenza – nel 2018 – presso il piazzale della Facoltà di design e arti di Unibz, Libera Università di Bolzano.
Osserviamo dunque due confini, idealmente quello del Brennero e fisicamente quello di Ventimiglia unirsi – tramite un’opera d’arte – in un abbraccio solidale”. Due luoghi cardine delle riprese distanti geograficamente ma collegati tra loro nei contenuti.

  

Stile registico
Il film, come si legge nella presentazione del documentario, è un tappeto visivo e sonoro che vuole mettere in evidenza il processo del viaggio e le azioni sociali e artistiche che si svolgono nei luoghi deputati, ossia le tappe di stazionamento della Venere. Sono proposte poche tracce musicali extradiegetiche (se non in momenti opportuni), ma molta attenzione è invece riposta sull’audio in presa diretta, sui rumori dell’allestimento, suoi materiali (plastica e carta da imballaggio), passi e rumori del camion in movimento.
Le interviste mostrate , spesso utilizzate come voice over, sono tracce di collegamento tra le scene; in altri casi, i personaggi non sono intervistati con modalità frontale (tranne rare eccezioni), ma sono seguiti nei loro spostamenti, mentre mostrano alcuni luoghi, indicano alcune attività, conversano tra di loro oppure semplicemente compiono delle azioni. Con l’obiettivo di evocare piuttosto che descrivere la tematica della migrazione, il film è dunque impostato come un documentario creativo anche con la presenza di immagini video-artistiche, apparentemente anti-narrative. L’intento di questi inserti è permettere al progetto di espatriare da uno stilema didascalico, cercando invece di raccontare per immagini la profondità antropologiche della natura umana sviluppando il tema dell’infelicità, del viaggio e della rinascita.


Il commento del regista
Da tempo – ha spiegato Canelles – coniugo i miei lavori artistici con la dimensione sociale, soprattutto attraverso azioni di cittadinanza attiva e sviluppo di comunità, anche in zone periferiche e dimenticate. Il teatro e la videoarte costituiscono una mia personale cifra stilistica che mi ha permesso di lavorare per anni all’interno di carceri, ex ospedali psichiatrici, cliniche per la cura delle dipendenze e istituzioni legate all’handicap. L’incontro con queste fragilità (fisiche ed esistenziali) amplifica il mio bisogno di uscire dal racconto stereotipato – purtroppo a volte strumentale – della sofferenza fine a se stessa; penso ci sia piuttosto bisogno di progetti – come questo – che parlino di speranza, che raccontino azioni fertili, che aiutino a comprendere il pensiero di persone coraggiose (come don Rito) che hanno capito che l’arte è uno strumento potentissimo di rinascita, una proteina fondamentale per una comunità, terreno neutro e laico che ha il potere di raccontare la contemporaneità senza retorica. Ecco perché – ha concluso – penso che questo film sia oggi necessario: perché racconta un’azione sociale dirompente di un grande maestro dell’arte contemporanea che alla soglia dei suoi 90 anni, è ancora in grado di esplorare nuovi territori”.