L’iniziativa nasce nel 1972 per mano dell’Onu e da allora, il 5 giugno di ogni anno si affronta un tema ambientale diverso: la Giornata mondiale dell’ambiente – World Environment Day 2018 catalizza l’interesse sull’eliminazione della plastica monouso, con l’hashtag e slogan #BeatPlasticPollution: “Lotta alla plastica monouso: se non la puoi riusare, rifiutala”.
I vantaggi della produzione di plastica sono indubbi: è economica, leggera e facile da produrre. Sono questi i motivi che, dall’inizio del secolo scorso, hanno portato all’aumento esponenziale di utilizzo di plastica e, dagli anni 50, al suo primato nella produzione rispetto a qualsiasi altro materiale, in termini quantitativi. L’educazione al riciclo, purtroppo, non è ancora radicata abbastanza: solo il 9% dei 9 milioni di tonnellate di plastica fino ad ora prodotte è stato riciclato. Se la situazione non cambia, saranno 13 miliardi le tonnellate presenti nell’ambiente entro il 2050. La maggior parte della plastica prodotta non è biodegradabile, ma si scompone in piccoli frammenti detti “microplastiche”, praticamente impossibili da rimuovere dagli oceani.
Quali sono, quindi, le conseguenze di tanta plastica?
Prima fra tutte, il riversamento negli oceani. Sono state trovate, infatti, buste di plastica in una quantità vasta di specie marittime (in particolare tartarughe e delfini). Non solo il danno nei confronti delle biodiversità, ma anche la presenza di sostanze tossiche nella plastica, che vengono in questo modo ingerite e assimilate dal tessuto dell’animale, con la possibilità di gravare sulla catena alimentare umana.
Il materiale in questione, inoltre, può bloccare corsi d’acqua e incentivare la probabilità di disastri naturali. E ancora, ostruire fogne, comunemente frequentate da insetti, portando all’aumento di trasmissione della malaria.
Un altro danno ha un’ottica economica: in Europa servirebbero 630 milioni di euro l’anno per ripulire le coste e le spiagge, in Asia, invece, 1,3 milioni di dollari per l’intervento nel Pacifico.
Sulla base di questi dati, i governi hanno iniziato ad agire per trovare alternative a tale allarme.
Tra le strategie più comuni figurano le imposte sulle buste di plastica: Italia e Irlanda, ad esempio, hanno adottato questo metodo per disincentivarne l’utilizzo. Altri Paesi, invece, hanno preferito la strada del divieto: l’Inghilterra con il suo Piano Verde, Ruanda e Kenya con le restrizioni sulla produzione, utilizzo e vendita di buste di plastica.
Anche l’Unione Europea avanza una proposta ambiziosa per lottare contro i responsabili principali dei rifiuti nei mari e sulle spiagge (cotton fioc, posate di plastica, palloncini, incarti di cibo e dolci, bottiglie, mozziconi di sigarette, buste di plastica, salviette umidificate e canne da pesca): l’idea è quella di ripensare al design per renderlo sostenibile, educare la popolazione ad una maggiore coscienza e riciclo e ridurre l’utilizzo di imballaggi da parte delle industrie e venditori.
I passi in avanti fatti fino ad ora risultano ancora deboli, essendo la pratica dell’usa e getta predominante su quella del riciclo ed utilizzo. I governi dovrebbero lavorare ancora più intensamente accanto alle industrie. Durante questa importante giornata diventa fondamentale, infatti, portare la popolazione a rinunciare ad un pensiero comune: considerare la plastica come semplice materiale e non come qualcosa da cui essere allarmati. La soluzione migliore coinvolge la società intera: positivo il riciclo, ma il vero passo avanti sarebbe non utilizzare “usa e getta”.