Come ben sappiamo, la popolazione mondiale è in continua crescita e, con essa, la necessità di provvedere al suo sostentamento: il bisogno di cibo ha portato le grandi industrie a trasformare l’agricoltura in una pratica intensiva finalizzata a potenziare la naturale efficienza della Terra.
Per raggiungere tale obiettivo è necessario che le coltivazioni vengano protette il più possibile dagli agenti esterni (animali, funghi, erbe infestanti) che potrebbero intaccarne la regolare crescita.
Dal 1950 circa, cominciano ad essere utilizzate in agricoltura sostanze chimiche per limitare le infestazioni: tra queste troviamo pesticidi come insetticidi, erbicidi e fungicidi, ai quali si sono di recente aggiunti i neonicotinoidi.
Il loro utilizzo ha provocato, col passare del tempo, un accumulo di scorie tossiche, destinate a degradarsi lentamente nell’ambiente. Ogni giorno siamo esposti ai pesticidi in diversi modi, dall’aria che respiriamo fino al cibo.
L’ISPRA ha condotto un’indagine in 1554 punti di monitoraggio in tutta Italia per rilevare la presenza dei pesticidi nei bacini idrici: il 67% di questi ha mostrato una concentrazione rilevante di sostanze chimiche, in particolare al Nord.
I dati statistici raccolti non hanno interessato solamente valori di frequenza e distribuzione, ma anche i livelli di contaminazione e di diffusione dei pesticidi a livello ambientale.
In particolare, in 371 dei punti di monitoraggio, circa il 23,9%, sono state rilevate concentrazioni che oltrepassavano i limiti consentiti.
Una delle sostanze che ha scatenato maggiormente il dibattito tra gli scienziati è il glifosato, il pesticida più utilizzato in assoluto assieme alla sua versione degradata, l’AMPA (acido aminometilfosfonico). Il glifosato, in particolare, agisce inibendo l’enzima incaricato di sintetizzare gli amminoacidi essenziali delle piante: la ricerca ha dimostrato la sua presenza nel 21% dei terreni sondati, e quella dell’AMPA, nel 42%.
I danni provocati dai pesticidi non si limitano solamente alle coltivazioni, ma hanno effetti sulla fauna e sull’essere umano. Secondo alcune ricerche porterebbero ad uno sviluppo anomalo degli organi a livello embrionale, interferendo con i geni dello sviluppo; ridurrebbero la fertilità, la tolleranza e la capacità di adattamento in presenza di difficili condizioni ambientali. In particolare, il dipartimento di biologia dell’università di Padova ha compiuto il proprio esperimento sui molluschi: la ricerca ha mostrato che il glifosato, infatti, colpisce questi esseri viventi alterando il funzionamento degli emociti, responsabili della risposta immunitaria.
Anche l’essere umano sembra essere esposto ad un possibile pericolo: i pesticidi sono stati inseriti nella categoria 2A delle “probabili sostanze cancerogene” dallo IARC (International Agency for Research on Cancer).
Il suo impatto dannoso, tuttavia, è probabilmente rafforzato dall’azione dei surfattanti, sostanze che facilitano la sua penetrazione all’interno delle cellule: di per sé, infatti, il glifosato tende a rimanere negli strati superiori del suolo dove è degradato ad AMPA dai batteri.
Ma qual è il reale impatto di queste sostanze sul nostro pianeta? La loro natura chimica non li rende, di certo, innocui.
L’ipotesi ad oggi sostenuta dagli scienziati è quella di individuare alternative più sostenibili. Favorire, ad esempio, i naturali meccanismi di difesa che le piante sviluppano, come la pratica della biodiversità che aumenta la fertilità del suolo e la resistenza agli agenti esterni.
In Italia, nel febbraio 2017, il ministero della Salute ha stabilito un decreto sull’impiego dei pesticidi, in cui si permetteva il loro utilizzo ad eccezione di alcune aree sensibili (parchi, giardini, zone ricreative): monitorare l’impatto che queste sostanze chimiche hanno sul pianeta è il primo passo per tutelare la salute dei suoi abitanti.