Prosegue il viaggio nella moda sostenibile con la rassegna di interventi della mostra evento che si è tenuta a Cittadellarte sabato 14 ottobre. Metteremo in luce il progetto Socially MadeinItaly presentato da Carmina Campus.
Nato nel 2015 su iniziativa della Cooperativa Alice, Socially MadeinItaly ha saputo realizzare il primo distretto produttivo etico italiano, consolidando esperienze di piccole imprese sociali diverse, contribuendo a rendere sostenibili bilanci e intervenendo con percorsi formativi specifici. Tutto per migliorare la qualità e la produzione nelle lavorazioni capaci di rendere il sistema della cooperazione sociale competitivo per il mercato del luxury fashion. Socially MadeinItaly è un brand che si avvale di laboratori all’interno di istituti penitenziari e nelle estreme periferie milanesi. Si tratta di laboratori artigianali di eccellenza nella serigrafia, sartoria, pelletteria, lavorazioni a telaio e feltro con 60 donne impiegate. Un sistema produttivo certificato che attesta il rispetto dei contratti sindacali di categoria e garantisce l’impatto socialmente utile dell’intervento lavorativo.
“Partecipare alla tavola rotonda – ha spiegato Caterina Micolano di Socially MadeinItaly – è molto significativo per me, perché proprio a Cittadellarte ho iniziato ad appassionarmi di sostenibilità e moda sostenibile. Sempre in questo contesto ho conosciuto Carmina Campus attraverso una pubblicazione a cui stavamo lavorando tanti anni fa e, fin da subito, il mio sogno era quello di poter collegare il mio impegno sociale a un’esperienza italiana importante come quella. Dietro a Socially MadeinItaly, progetto che ho la fortuna di condurre, ci sono 11 istituti penitenziari italiani. Si tratta, prevalentemente, delle sezioni femminili, all’interno delle quali maturano spesso iniziative di lavoro intese come momenti formativi e ricreativi. In alcuni casi, però, diventano attività produttive capaci di essere sostenibili anche economicamente, fino a essere contemplate come eccellenze. Alcuni laboratori tessili, infatti, negli anni sono diventati molto capaci e possono aspirare ad acquisire le tecniche e la competenza che contraddistinguono il concetto di made in italy. Tutto questo lo sta dimostrando la collaborazione con i formatori e i produttori di riferimento dei brand dell’alta moda italiana e i risultati pedagogici – delle sessanta donne coinvolte su tutto il territorio nazionale nel percorso educativo – riscontrati in questo progetto”.
Alla sue parole fanno eco quelle di Maria Claudia Di Paolo, ex provveditore dell’amministrazione penitenziaria del Lazio. Fu proprio Di Paolo che per prima fornì a Socially MadeinItaly alcune coperte usurate con le quali lavorare. “Vorrei partire – ha esordito – dall’immagine di un tessuto logorato, specchio di un soggetto in prigione, dove anche la personalità risulta ‘logorata’. Vedere un tessuto rappresentato e trasformato in una borsa dà l’idea di come un detenuto, attraverso quel lavoro, ha potuto riacquistare la centralità della sua persona, riuscendo, tramite questa trasformazione, a vincere lo stigma e la disuguaglianza che l’accompagnava. Abbiamo dato, così, alle persone una speranza per il futuro attraverso il lavoro”.
“Siamo un piccolo brand – ha concluso Elisabetta Facco, responsabile comunicazione di Carmina Campus – nato non come un progetto di marketing, ma come realizzazione di un’esigenza creativa della fondatrice e ispiratrice Ilaria Venturini Fendi. Non ci riteniamo così grandi e influenti da poter cambiare la situazione generale sul fronte moda sostenibile, ma abbiamo l’ambizione e la speranza di essere motivo d’ispirazione per altri. Siamo felici che dopo anni di lavoro in questo campo, si noti un’attenzione generale maggiore in questo campo”.