Un addio inaspettato, un fulmine a ciel sereno che ha scosso l’ambiente, non solo politico. Un annuncio dal sapore di sconfitta quello che i media di tutto il mondo hanno riportato nei giorni scorsi: ci riferiamo alle dimissioni di Nicolas Hulot, che ha lasciato la carica di ministro dell’Ambiente francese. L’ex numero 3 del governo di Emmanuel Macron martedì scorso ha annunciato pubblicamente il suo dietrofront, dopo soli 14 mesi di lavoro, nel contesto di una trasmissione radiofonica. Una notizia che ha sorpreso gli addetti ai lavori e non, soprattutto se si considerano le modalità scelte per comunicare la notizia. L’ex politico ha reso pubblica la sua decisione senza avvisare anticipatamente né Macron né il primo ministro Edouard Philippe. Le parole scelte per motivare l’addio, inoltre, hanno il sapore di arresa e amarezza: “In questi mesi – ha argomentato Hulot – mi sono sentito solo. Sono stati compiuti dei piccoli passi in Francia, ma non sufficienti”. Una decisione che cela un allarme nel settore green: se una personalità del calibro di Hulot, uno dei più famosi attivisti francesi oltre che membro popolare del governo, è arrivato a prendere questa decisione, significa che qualcosa sta andando storto. Ha fatto storcere il naso a molti sentire che il volto (e l’anima) di molte campagne ecologiste abbia alzato bandiera bianca a battaglia “appena” cominciata.
L’altra campana, quella del governo Macron, si è aggrappata proprio sul fattore “tempistiche”: se da una parte l’ormai ex ministro dell’Ambiente denunciava un operato sul fronte clima e sostenibilità non sufficiente, dall’altra parte hanno spiegato come sia impossibile apportare cambiamenti significativi in un anno. Hulot, nel corso delle sue dichiarazioni in radio, ha messo in luce anche altre problematiche, non soltanto relative al periodo di lavoro. “Ho un po’ di influenza, ma non ho né potere né mezzi. La Francia, l’Europa e il mondo intero non stanno facendo abbastanza”. Un’altra parte della sua dichiarazione è forse quella più allarmante: Hulot ha denunciato addirittura la presenza di lobby nella cerchia del potere, in riferimento a una riunione di giorni fa all’Eliseo con la presenza dei rappresentanti della Federazione dei cacciatori (ai quali è stata riconosciuta una riduzione dei costi necessari per avere il permesso di caccia, oltre a una revisione della lista delle specie animali da cacciare).
Altri esempi di impegno che non stanno avendo l’adeguato seguito? Guardando in “casa”, il dietrofront del governo in merito all’obiettivo di ridurre il parco del nucleare al 50% entro il 2025; considerando la questione ad ampio raggio, i negoziati con l’Ue sui pesticidi. E ancora le scarse garanzie ambientali legate al Ceta o le controversie sul divieto di utilizzo del glifosato nelle coltivazioni. Insomma, tanti pezzi di un puzzle che non s’incontrano: l’ex ministro in solitaria (o quasi) cerca di metterli insieme, ma altri, in realtà, lo vogliono scomporre. Che Hulot si sia sentito un moderno Don Chisciotte?
Valutando i fatti, viene facile domandarsi se la lotta al riscaldamento globale e le operazioni a difesa della biodiversità siano realmente tra le priorità del governo francese (e di molti stati europei, Italia compresa). Macron si era proposto di diventare il portabandiera della difesa degli Accordi di Parigi sulla lotta al riscaldamento globale, ma dopo la bufera Hulot le parole del Presidente della Repubblica Francese hanno cominciato a suscitare perplessità. D’altro canto, va detto che Macron si è detto soddisfatto dell’operato di Hulot auspicandone il supporto attraverso nuove forme. È solo apparenza? Si tratta di réclame da campagna elettorale dichiararsi vicini alle tematiche e alle problematiche ambientali? La prima parte della partita per l’ambiente, nonostante il top player schierato, non è andata come auspicato. Non resta che sperare nel secondo tempo e in un sostituto all’altezza che abbia il sostegno di tutta la squadra.