Cala il sipario sugli interventi della Lectio Pluralis. Chiudiamo la rassegna dei focus dedicati all’inclusione nell’innovazione sociale con la vision di Annibale D’Elia, che ha lavorato come direttore del programma della Regione Puglia per le politiche giovanili “Bollenti Spiriti”, ha fatto parte della task force del Ministero dello Sviluppo Economico sulle startup innovative. Nel 2016, inoltre, ha fondato “Innovare per Includere” e attualmente è direttore innovazione economica e sostegno all’impresa del Comune di Milano.
D’Elia esordisce esplicando il concetto di innovazione sociale nei tempi moderni: “Il mondo è in continua trasformazione e l’innovazione guidata dal mercato, così come la conosciamo, non basta. Innovazione sociale vuol dire coinvolgere e dare opportunità ai numerosi soggetti che ‘non ce la fanno’. Non si tratta di un palliativo ma di cambiare profondamente il punto di vista su questo argomento, con un ripensamento generale del nostro modello di sviluppo. In altre parole, bisogna reinventare il nostro futuro. Siamo intrappolati tra una cosa che non c’è quasi più e un’altra che non c’è ancora; affrontare la situazione è una grande responsabilità politica che ricade su chiunque voglia dare un contributo. Così entra in gioco l’arte, che getta lo sguardo oltre, dove altre discipline non riescono ad arrivare”.
La vision si è concentrata anche sugli altri interventi: “Molto significativi in tema di innovazione sociale i casi presentati dai relatori – ha spiegato D’Elia – Cucula, che dà opportunità ai rifugiati, ribaltando una grande criticità dei nostri tempi in risorsa; Let Eat Bi, che con le terre riesce a mettere insieme i bisogni di soggetti diversi; Filo da Tessere e welfare aziendale, con il consorzio che rende risorse per l’inclusione anche le piccole aziende artigiane; Caritas, ‘la voce dei poveri’ che supporta chi ne ha più bisogno; Variante Bunker, che è riuscita a sfruttare positivamente un bene privato abbandonato”.
L’ex direttore di “Bollenti Spiriti” prosegue mettendo in luce il suo primo ‘impatto’ con l’innovazione sociale: “La prima volta che ne ho sentito parlare lavoravo già da 5 anni al programma per le politiche giovanili. Un amico mi disse che quel che stavamo cercando di fare in Puglia aveva un nome: innovazione sociale. In altri termini, siamo partiti non da un teoria da mettere in pratica ma da un percorso esattamente inverso, una pratica in cerca di teoria.
La chiave per cambiare punto di vista è stata un’idea semplice: considerare i giovani come risorsa. Si tratta, però, di un’inversione non di poco conto. Quando usiamo il termine “risorsa” stiamo utilizzando un lessico da project management – intendiamo qualcosa di utile che può essere impiegata ai nostri scopi – mentre le giovani generazioni non appartengono a nessuno né possiamo controllarle a nostro piacimento. L’unica cosa che possiamo fare, come istituzioni, è smetterla di comandare e iniziare finalmente a renderci utili. Per la pubblica amministrazione, ma anche per le forme di progettazione tradizionale, è una rivoluzione copernicana.
Facendo il punto sull’inclusione – continua D’Elia – dobbiamo considerare non solo i problemi attuali ma i nuovi scenari che si prospettano anche alla luce di una serie di innovazioni a venire. Mi riferisco, ad esempio, alle profonde trasformazioni connesse con l’avvento della cosiddetta ‘quarta rivoluzione industriale’. Si stima che le nuove forme di digitalizzazione nella produzione possano portare, nel breve periodo, alla distruzione di oltre 8 milioni di posti di lavoro in Europa. Quale sarà l’impatto in termini di coesione sociale? In questa prospettiva, ragionare di inclusione non significa più accantonare risorse da dedicare alla cura di una minoranza di bisognosi, ma immaginare un sistema sociale ed economico che non faccia a meno del contributo delle persone.
Anche in questo caso – prosegue – non si tratta di un processo indolore. Abbiamo bisogno di nuove idee ma anche di affrontare e prendere parte a nuove forme di conflitto. L’innovazione, insomma, non è un pranzo di gala. Siamo di fronte ad un bivio: rendere i cittadini protagonisti di processi collettivi di costruzione della realtà oppure relegarli nella condizione passiva di spettatori, clienti e utenti. Vista da questa angolatura, attivazione civica, cultura, lavoro e intraprendenza diffusa sono gli strumenti politici per rivendicare il nostro ruolo nel mondo. Citando Enzo Mari, bisogna ‘progettare per non essere progettati’ perché ‘la creazione è un atto di guerra, non è un armistizio con la realtà’.
Photo credit: Damiano Andreotti.