Con l’articolo dedicato a Hydro, abbiamo messo in luce tutti gli interventi della Lectio Pluralis relativi alla progettazione nell’innovazione sociale. La vision della seconda parte dell’incontro (la fase iniziale verteva sull’educazione) è stata affidata a Monica Paolizzi e Roberta Destefanis di SocialFare; si tratta di un centro per l’innovazione sociale che si occupa di catalizzare, generare e innovare soluzioni per il bene comune per promuovere il cambiamento sistemico e generare nuova imprenditorialità sociale.
“Progettare per l’innovazione sociale – esordisce Monica Paolizzi – significa sviluppare un modello sostenibile, studiandone la causa-effetto affinché possa essere continuativo. Non è per forza necessario ideare nuove proposte, ma è fondamentale osservare il contesto e implementare quanto già esiste nel territorio. Risulta rilevante studiare i modelli sostenibili e cercare di sviluppare un’idea che sia duratura nel tempo.
Tutti i soggetti che progettano devono capire perché e per chi stanno lavorando, fino a occuparsi di un’iniziativa utile che risponda a un bisogno specifico. Il punto chiave dell’innovazione sociale sta proprio nel comprendere come questa possa studiare e intervenire su bisogno e contesto. Altro fattore determinante è la tecnologia – utilizzandola come strumento che abilita, non come fine del progetto stesso – perché permette la rapida diffusione di un’operazione”.
Paolizzi prosegue facendo il punto sul fattore tempistica: “Non esistono tempi di progettazione scritti, dipendono da cosa si deve realizzare. La nostra esperienza di innovatori sociali ci insegna che la fase preliminare di analisi del contesto, dei bisogni e di studio è quella più importante e, spesso, onerosa in termini di tempo e risorse. Bisogna analizzare i beneficiari e i potenziali clienti, capendo quali sono gli stakeholder e i partner con i quali mettersi in contatto. Se questa fase non viene fatta correttamente, i risultati non sono efficaci”.
Roberta Destefanis continua analizzando le criticità che s’incontrano progettando: “Nella fase preliminare, definita empathize dal design thinking, dove si ha a che fare con i futuri beneficiari del progetto di innovazione sociale, è importante ascoltare ed interrogare il contesto utilizzando un linguaggio adeguato e non specialistico. Il designer non deve utilizzare un lessico ricercato nei confronti del ‘destinatario’, ma essere chiaro – e comunicativo – soprattutto se ci si rapporta a una categoria vulnerabile. Sbagliare l’intercettazione del bisogno porta a un processo nullo: da qui il probabile fallimento del prototipo e del testing. Ancora più importante – esplica – è la valutazione dell’impatto generato. Un’innovazione sociale non è tale se non lo si può dimostrare con un risultato preciso che attesti come sia stato generato empowerment, arrivando non solo a ovviare un problema iniziale, ma a capacitare i soggetti all’azione per affrontarlo e risolverlo autonomamente. Fondamentale per lo sviluppo di una soluzione ad impatto sociale, inoltre, è saper contrastare l’innamoramento nei confronti di un’idea non maturata attraverso il confronto e il dialogo con i beneficiari e il proprio team. Attraverso tale confronto è possibile ottenere più punti di vista che sappiano validare, arricchire o mettere in dubbio la fattibilità di un progetto”.
Photo credit: SocialFare.