Boscalid, Chlorpyrifos, Fludioxonil, Metalaxil, Imidacloprid, Captan e Cyprodinil: non sono i nomi degli antagonisti di un romanzo di fantascienza, ma i pesticidi più diffusi negli alimenti. Questi fungicidi e insetticidi sono stati al centro di una ricerca condotta da Legambiente, che ne ha evidenziato tracce in un terzo di frutta e verdura della nostra pensiola. Questo è il preoccupante scenario posto sotto i riflettori da uno studio condotto dall’associazione ambientalista e pubblicato il 18 febbraio scorso, in occasione del convegno ‘Agricoltura libera da pesticidi’ organizzato dal sodalizio stesso in collaborazione con ‘Alce Nero’. Nel dossier, intitolato ‘Stop pestici – Analisi dei residui dei pesticidi negli alimenti e buone pratiche agricole’, viene riportato che solo l’1,3% dei campioni alimentari italiani sono fuorilegge (numeri all’apparenza positivi, che si mantengono da circa dieci anni), mentre l’ortofrutta proveniente dall’estero è irregolare quasi nel 4% dei casi. La vera emergenza, però, riguarda il 34% dei campioni che, pur risultando regolari, sono contaminati da uno o più residui di fungicidi e insetticidi.
La criticità emersa, infatti, è quella relativa al multiresiduo, che la legislazione europea considera conforme se ogni singolo livello di residuo non supera il limite massimo consentito. In realtà, come riportato da Legamente, è noto da tempo che le interazioni di più e diversi principi attivi possano provocare effetti negativi – ovviamente a scapito del consumatore – e i casi di multiresiduo, inoltre, sono più frequenti di quelli di monoresiduo. Nel dossier emergono anche notizie positive: i casi di agricoltura biologica presi in esame risultano in regola e senza residui di pesticidi.
Resta, però, tristemente elevata la quantità di residui derivanti dall’impiego dei prodotti fitosanitari in agricoltura, che i laboratori pubblici regionali hanno rintracciato in campioni di ortofrutta e prodotti trasformati. I risultati sono sintetizzati in un aerogramma (visionabile cliccando qui) realizzato da Legambiente: 61,4% dei campioni analizzati sono regolari e senza residio; il 18,4% sono regolari, ma multiresiduo; il 14,7% sono regolari e monoresiduo; l’1,3% sono irregolari. Si riscontrano, tuttavia, percentuali non indifferenti di irregolarità in alcuni prodotti specifici, come nei peperoni, negli ortaggi da fusto e nei legumi. In un peperone proveniente dalla Cina sono stati addirittura trovati residui di 25 sostanze diverse (anche se tutte sotto i limiti di legge), o in un campione di pepe proveniente dal Vietnam 12 residui differenti.
“Solo una modesta quantità del pesticida irrorato in campo – ha affermato il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti in un comunicato – raggiunge in genere l’organismo bersaglio. Tutto il resto si disperde nell’aria, nell’acqua e nel suolo, con conseguenze che dipendono anche dal modo e dai tempi con cui le molecole si degradano dopo l’applicazione. Le conseguenze si esplicano nel rischio di inquinamento delle falde acquifere e nel possibile impoverimento di biodiversità vegetale e animale. Effetti ai quali ancora oggi non si dà il giusto peso, nonostante numerosi studi scientifici abbiano dimostrato le conseguenze che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce sulla biodiversità e sul suolo. Per questo auspichiamo che il futuro piano d’azione nazionale sull’uso sostenibile dei pesticidi preveda obiettivi ambiziosi e tempi rapidi per la loro riduzione, il rafforzamento del sistema dei controlli sugli alimenti e l’adozione di misure a tutela della salute delle persone”.