In un’epoca di consumismo come quella contemporanea, le industrie tendono a produrre merci in maniera intensiva, spesso non considerando il dannoso impatto ambientale che i materiali impiegati hanno sulla salute del pianeta.
Tra i responsabili, la principale causa di inquinamento è, senza dubbio, la plastica: la presenza di questo poliestere nella maggior parte dei prodotti rende sempre più complesso il loro smaltimento.
Sulla base di queste constatazioni, la Scuola Agraria di Monza, in collaborazione con Greenpeace, ha elaborato il rapporto “Plastica: il riciclo non basta. Produzione, immissione al consumo e riciclo della plastica in Italia” relativo allo smaltimento dei rifiuti a livello nazionale: i dati hanno rivelato quanto, al giorno d’oggi, riciclare non sia più sufficiente.
Qual è la situazione dello smaltimento in Italia?
Secondo lo studio condotto dall’Istituto, il nostro paese si colloca al secondo posto nella produzione di plastica subito dopo la Germania: la stima è di 6-7 milioni di tonnellate, delle quali il 40% sarebbe destinato al settore degli imballaggi.
Anche Plastics Europe, associazione europea di produttori di materie plastiche, riporta simili dati relativi all’utilizzo del materiale nella maggior parte dei beni immessi nel mercato. L’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), inoltre, ha rilevato un tasso globale di riciclo del 15%, una percentuale non indifferente, tuttavia, non più sufficiente ad equilibrare la produzione di plastica.
Negli ultimi anni il tasso di riciclaggio è aumentato dal 38% nel 2014 al 43% nel 2017: questo fattore positivo ha permesso di contenere i danni derivanti dallo smaltimento di questo materiale; eppure, il corretto funzionamento di molte piattaforme di riciclo risulta ancora vincolato all’impiego di macchinari poco efficienti e limitanti nella selezione dei rifiuti.
Come sensibilizzare la popolazione?
Nel report, l’Istituto sottolinea l’importanza dell’EPR (Responsabilità Estesa del Produttore), una dicitura ideata da Thomas Lindhqvist, professore svedese di Economia Ambientale, dal duplice obiettivo: da un lato gestire il problema dei rifiuti in maniera efficiente, dall’altro tendere verso la progettazione di beni sostenibili.
Una delle manovre prioritarie è, ad esempio, ridurre l’impiego di contenitori monouso: sensibilizzare la popolazione a ridurre l’impiego di plastica, indirizzandola all’utilizzo di imballaggi durevoli e re-impiegabili.
Quali sono le misure da adottare oltre al riciclo, oramai non più sufficiente?
Riusabilità e re-impiego: le due nuovi chiavi d’accesso alla salvaguardia del pianeta. Molti contenitori, beni, prodotti, merci, infatti, non vengono riciclati e finiscono per essere dispersi nell’ambiente, nei mari, o inceneriti all’interno delle discariche con notevoli emissioni inquinanti.
Uno tra gli obiettivi da perseguire è quello dell’Economia Circolare: per Circular Economy si intende, infatti, un sistema di produzione, utilizzo e riuso di un bene, reintegrandolo in maniera circolare nell’industria, secondo la filosofia del “tutto si crea e nulla si distrugge”.
Anche la CE (Commissione Europea) con il progetto “Plastic Strategy” del 2018 ha posto l’obiettivo di immettere nel mercato il 100% di imballaggi sostenibili e riutilizzabili.
Massimizzare il recupero della materia e minimizzarne la dispersione sono passaggi inevitabili per migliorare l’attuale situazione ambientale.