Cinquecento milioni di cannucce al giorno, un milione di bottiglie di plastica consumate al minuto: la quantità di rifiuti prodotti dalla società contemporanea sta aumentando in maniera esponenziale, minacciando la stabilità del nostro ecosistema. Una delle principali cause di questo fenomeno è dovuta ai comportamenti spesso poco consapevoli adottati dalla maggior parte delle persone.
È a partire da queste considerazioni che nasce la filosofia dello “Zero Waste” (o “Zero Rifiuti”), teorizzata da Paul Connett, professore della St. Lawrence University a Canton (Stati Uniti). Lo scienziato ha promosso una strategia alternativa di gestione degli scarti che permette di evitare ogni inutile spreco: utilizzando i rifiuti come una nuova forma di materia prima, si dà vita ad un meccanismo di produzione ciclica.
A partire da questa riflessione, molti studiosi e ricercatori hanno intrapreso la via dello “Zero Waste”. Nel libro “Garbology: Our Dirty Love Affair with Trash”, Edward Humes illustra la vita di Bea Johnson, giovane donna promotrice di questa filosofia. Al suo interno sono illustrate le modalità attraverso cui è possibile ridurre al minimo i rifiuti e descritte le abitudini più sane e sostenibili che ciascuno di noi dovrebbe adottare.
Il movimento promuove un diverso modello di consumo che scoraggi l’acquisto di prodotti confezionati e dei beni non strettamente necessari, il riutilizzo e il reimpiego dei materiali di scarto, il compost dei rifiuti organici e il riciclo.
Ma torniamo a Kathryn Kellogg, venticinquenne di San Francisco, che ha di recente aperto un blog in cui condivide il proprio percorso verso lo “Zero Waste”. Per due anni ha collezionato i propri scarti non riciclabili inserendoli all’interno di un barattolo di vetro: periodicamente ha documentato ogni rifiuto raccolto, giungendo ad un sorprendente risultato. Dopo ventiquattro mesi, Kathryn aveva accumulato solamente qualche tappo di bottiglia, qualche etichetta e tre bollini di prodotti ortofrutticoli.
Colpita dalla quantità di scarti presenti sulle spiagge californiane, la giovane blogger ha deciso di cambiare le proprie abitudini intraprendendo uno stile di vita minimalista: con pochi gesti ha ridotto notevolmente la sua “spazzatura”, comprando cibo fresco anziché confezionato e realizzando da sé prodotti come saponi o deodoranti, con ingredienti naturali.
All’interno del suo blog non promuove semplicemente un regime ecosostenibile, ma incoraggia i lettori a compiere scelte di vita più sostenibili; sul sito sono disponibili “sfide” di variabile durata da lei create, suddivise in semplici passaggi.
Ciò che Kathryn sottolinea è che non occorre agire in maniera ossessiva nel ridurre letteralmente a zero i propri rifiuti: ogni cambiamento necessita un sano equilibrio. L’obiettivo utopistico dello “Zero Waste” si trasforma, difatti, in “Less Waste” (“Meno Rifiuti”): limitare l’utilizzo di imballaggi, preferire i prodotti sfusi a quelli confezionati, portarsi dietro il proprio thermos e contenitori riutilizzabili per evitare di cadere nel buco nero dell’usa e getta.
La blogger americana non è la sola a rappresentare questa filosofia nel mondo: anche in Italia è stata fondata l’organizzazione “Zero Waste Italy” per stimolare a livello nazionale pratiche di vita più sostenibili. All’interno del sito, ogni cittadino può leggere ed usufruire dei dieci passi verso un regime di “zero rifiuti”. In particolare, Capannori, comune toscano, è stato il primo ad aver ricevuto il Goldman Prize nel 2013, una sorta di “premio nobel per l’ambiente”.
I rifiuti raccolti nel vasetto dopo due anni
Il movimento “ReteZeroWaste”, promosso da un gruppo di donne italiane, ha pubblicato, inoltre, sulla homepage dell’omonimo sito, una lettera al nuovo ministro dell’ambiente Sergio Costa, chiedendo la sensibilizzazione dei cittadini nell’applicare uno stile di vita più sostenibile: obiettivo “Zero Rifiuti”, un piccolo passo nella lotta allo spreco, un grande passo per la salvaguardia del pianeta.