Un avvenimento minaccioso ha catturato l’attenzione della comunità scientifica durante questi ultimi mesi; un misto di meraviglia e preoccupazione ha animato quei ricercatori che hanno appreso in poco tempo la notizia.
Il ghiacciaio Pine Island, nel continente Antartico, è uno dei più estesi al mondo con i suoi 55 chilometri di lunghezza, ma ogni anno disperde nel mare porzioni di ghiaccio anche molto estese. Rispetto ai decenni passati, però, si è corroso in modo allarmante, ritirandosi di cinque chilometri. A renderlo noto è stata una ricerca pubblicata recentemente su Nature Climate Change, dalla quale – tra le altre cose -, emerge che: negli ultimi 25 anni si è assistito ad un aumento del fenomeno di scioglimento che ha contribuito, a sua volta, ad un innalzamento del livello del mare di Amundsen (il 40% si è verificato negli ultimi cinque).
Precedentemente, nel 2017, un gruppo di ricercatori dell’Istituto Alfred Wegener per la Ricerca Marina e Polare di Bremerhaven, guidati da Jan Erik Arndt -procedendo con una mappatura dei fondali marini -, avevano documentato la presenza di monti sommersi che determinerebbero la perdita di contatto tra la porzione di ghiaccio e la terraferma. Le immagini satellitari rivelarono la presenza di due cime montuose a 800/1000 metri di profondità, alte 370 metri circa. Eppure la continua collisione tra il fronte ghiacciato e le vette è soltanto uno dei motivi plausibili che si possono dare alla formazione di fratture sulla superficie ghiacciata.
Tuttavia il fattore che ha allarmato realmente gli scienziati non ha nulla a che fare con la conformazione geologica terrestre, piuttosto sembra che l’aumento globale delle temperature, con conseguente riscaldamento degli oceani, stia alimentando il collasso di molti ghiacciai.
La temperatura delle acque del mare di Amundsen, ad esempio, è aumentata di circa mezzo grado centigrado, mentre a settembre è comparsa una profonda spaccatura lunga 30 chilometri che ha portato, dopo solo un mese, al distaccamento di una porzione di circa 300 km². La creazione di questo iceberg, grande tre volte Manhattan, è stata resa nota dal geoscienziato della Delft University of Technology, Stef Lhermitte.
“Il satellite Sentinel-1 – scrive il ricercatore nel suo profilo Twitter – mostra la rapida evoluzione della spaccatura nel ghiacciaio ‘Pine Island’ da settembre fino a fine ottobre. L’enorme iceberg (226 km²) sarà denominato B-46 dal programma Copernicus”.
Il team di scienziati del programma NASA ‘IceBridge‘, invece, ha deciso di avviare una missione per riuscire a raccogliere dai ghiacciai delle regioni antartiche alcuni dati che permetteranno loro di comprendere al meglio le motivazioni di questo avvenimento.
L’attenzione è stata riservata agli studi legati all’innalzamento del livello del mare, a questo proposito Pine Island si trova vicino ad un altro ghiacciaio molto esteso, Thwaites. Se entrambi dovessero ritirarsi e sgretolarsi completamente nelle acque della penisola antartica si potrebbe arrivare presto ad un livello dei bacini marini così consistente da comportare vere e proprie inondazioni nelle coste più basse (come in Florida o in Bangladesh).
La connessione tra il cambiamento climatico globale e la nascita di nuovi iceberg potrebbe, quindi, provocare conseguenze drammatiche. L’augurio è che l’appello degli scienziati non rimanga ancora una volta inascoltato dai politici di tutto il mondo.
Immagine di copertina: foto di repertorio.