Eco-Age, Nicola Guggioli a Cittadellarte tra moda e sostenibilità
Nicola Giuggioli si racconta: vi proponiamo un'intervista, tra moda e sostenibilità, al CEO di Eco-Age, una "boutique di consulenza specializzata nell’implementare e comunicare soluzioni di sostenibilità nel campo della moda, del design, dell’hairstyle, industriale, dei trasporti e delle finanze".

Il grande lavoro sul fronte “moda sostenibile” da parte di Cittadellarte Fashion B.E.S.T. prosegue. L’operato dell’Ufficio Moda continua ad avvalersi di una fitta rete di partner e collaborazioni: uno degli ultimi incontri andato in scena a Cittadellarte è quello con Nicola Giuggioli, CEO di Eco-Age, che ha visitato gli spazi della Fondazione Pistoletto e avviato un dialogo con Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, e Olga Pirazzi, direttore Ufficio Moda.

Guggioli si è così raccontato ai nostri microfoni: “Eco-Age – ha esordito – è una boutique di consulenza specializzata nell’implementare e comunicare soluzioni di sostenibilità nel campo della moda, del design, dell’hairstyle, industriale, dei trasporti e delle finanze. Noi crediamo (e questa è sempre stata la nostra strategia) che la sostenibilità debba essere un valore aggiunto per l’impresa, non un ‘esercizio’ dove mettere la spunta sul box ‘l’ho fatto’. È una questione che, se affrontata in modo strategico, può portare alla crescita dell’azienda e a migliorare customer ed employee retention, oltre ad una maggiore efficienza dei processi interni. Noi, quindi, ci specializziamo nello sviluppare soluzioni ad hoc per ogni cliente, non abbiamo un play-book che applichiamo a tutti. Ogni cliente è diverso: prima vediamo le loro esigenze, poi sviluppiamo la strategia in base ai dati raccolti. L’idea è quella che il cliente investa prima emozionalmente e poi finanziariamente, comprando l’abito (o, in generale, il prodotto). Questo è quello che è oggi Eco-Age.

Voi che siete operativi in tutto il mondo – ha chiesto Paolo Naldini – riscontrate delle specificità culturali e geografiche tra Europa, Stati Uniti e ed est asiatico?
Decisamente sì. Dividerei il mondo in tre tronconi: America, Europa e Asia.
Negli USA c’è un approccio alla sostenibilità, al momento, leggermente confuso: da una parte si vuole ricreare la manifattura americana, ma, dall’altra parte, possono avvalersi dei più grandi pensatori del mondo. E quindi c’è una specie di unbalancing (sbilanciamento). Non ci scordiamo, inoltre, che l’America, culturalmente, ha un business approach molto aggressivo rispetto agli altri paesi.

In Europa, invece, beneficiamo di una diversità di idea nello stesso continente, che rende il concetto di sostenibilità molto più creativo, mobile, frizzante e divertente;  anche perché, tanti marchi, tra i più famosi al mondo, sono in Europa. C’è una cultura del bello e anche della sostenibilità, perché l’Europa aveva e ha, soprattutto in Italia, un framework economico basato sull’artigianato e sulla piccola-media impresa che, di per sé, è più sostenibile della catena industriale e delle mega compagnie multinazionali.

L’Asia, invece, ha iniziato molto più tardi. La Cina soprattutto: è un impero comunista e devono far alzare lo standard di livello dei loro cittadini full-stop, quello è il mandato. Quindi, per fare ciò, hanno portato tante industrie là, con bassi costi di produzione. Questi andavano bene fino ad un certo punto, ora non più. La Cina, però, si è “svegliata” sul campo della sostenibilità e, inoltre, se si prefigge di fare qualcosa in una certa data, porta a termine l’operato nei tempi previsti. Non è un caso che le più grandi aziende di manifattura di energia rinnovabile siano cinesi e che, adesso, le più grandi aziende di tessile della nazione asiatica si stiano convertendo alla sostenibilità molto più velocemente delle altre.
Hanno anche un problema di inquinamento che non abbiamo in Europa, quindi sono anche guidato da quel tema molto più all-encompassing (omnicomprensivo) rispetto al lavoro sul lifestyle, sulla moda e sui brand.
Quindi, tornando alla domanda, sono queste le principali differenze, molte di tipo culturale.

Cosa manca – domanda ancora il direttore di Cittadellarte – alle imprese per avviare o sviluppare programmi di sostenibilità nel loro settore? Di cosa hanno bisogno?

Secondo me manca un atteggiamento, non solo dalle imprese, ma anche dalla politica e dalle istituzioni.
Tutti siamo “chiusi” all’interno delle nostre “belle case” e non ascoltiamo più quello che succede fuori. Anche i brand non ascoltano; stanno rincominciando solo adesso a sentire il loro cliente, perché prima “producevano per produrre”, per posizionare, senza pensare alle esigenze.
Se oggi i brand andassero per strada, per le università e per le scuole, si accorgerebbero che i millenials parlano solo di sostenibilità. E se si vuole “prendere” quel consumatore che nel 2025 rappresenterà il 60% dei consumatori mondiali, di queste tematica bisogna parlare.
I soldi li hanno, spendono miliardi in marketing, quindi i fondi ci sono. Il problema è che loro devono “riaprire le porte”: ricreare un’adeguata comunicazione e, perché no, utilizzando gli strumenti tecnologici che oggi abbiamo. Con Facebook e Instagram, infatti, abbiamo il modo di metterci in contatto direttamente con il consumatore, quindi usiamo questi canali per ascoltare il cliente, non solo per “buttargli in faccia” le pubblicità! Apriamo le orecchie!
Secondo me, quindi, c’è bisogno di iniziare nuovamente ad ascoltare. E le crisi politiche di questi anni sono dovute alla stessa cosa: la politica ha smesso di ascoltare per rappresentare una fetta crescente di elettorato.

 

Didascalia immagine di copertina: da sinistra Matilde Cucuzza (collaboratrice di Eco-Age), Paolo Naldini, Nicola Guggioli, Olga Pirazzi.