Durante Arte al Centro 2017, al Tavolo del Mediterraneo di via Cernaia si è tenuta la Lectio Pluralis, un incontro mirato a progettare e imparare l’innovazione sociale.
Vi proponiamo il secondo articolo di una serie che affronta i contenuti emersi nella discussione. Riporteremo l’intervento di Alberto Torchio, direttore generale della Cooperativa Sociale Tantintenti di Biella.
Tantintenti, dal 2003, fa parte del Consorzio Sociale Il Filo da Tessere. Lavora su tre ambiti: la disabilità, con progetti di integrazione nel mondo del lavoro; l’infanzia, con servizi alle famiglie; le nuove povertà, con progetti di SPRAR e CAS.
Tra i progetti più importanti c’è la Bottega dei Mestieri, sviluppato in partnership con la Cooperativa Domus Laetitiae. Si tratta di uno spazio di sperimentazione che vuole offrire opportunità occupazionali alle persone con disabilità che non riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro (anche protetto) o nei servizi esistenti. Un luogo dove “si insegna” un impiego, che produce da sé le risorse per sostenersi e che rappresenta una forma di “welfare generativo”. Un modello che, attraverso l’educazione, conduce a innovazioni di tipo sociale sostanziali.
A questo proposito Valeria Cantoni, moderatrice della Lectio Pluralis, ha chiesto all’ospite della Cooperativa: “Quando si deve insegnare a un disabile un mestiere, chi è il diversamente abile tra voi e loro? Che tipo di esperienza di apprendimento si riceve? Quando si impara, nella posizione di poter insegnare a dei disabili?”
Alberto Torchio ha risposto: “La nostra è un’esperienza di innovazione sociale su un tema pratico che abbiamo condotto da quasi quattro anni. Da questo punto di vista – spiega – la Bottega dei Mestieri è una location dove una persona disabile adulta con ritardo mentale può esprimere abilità e competenze di cui è dotato o portatore. Il termine disabilità, in genere, identifica un aspetto negativo e immaginare la Bottega come posto che valorizza le doti di ognuno è un tentativo di ribaltare i concetti. Si tratta di un luogo intermedio dove le persone con abilità residuali, che non hanno la possibilità di essere introdotte nel mondo del lavoro (sono cinquecento le persone a Biella in questa situazione), possono trovare uno spazio produttivo che generi le risorse affinché si produca il welfare di cui hanno bisogno.
A oggi, dopo tre anni di sperimentazione – esplica Torchio – la Bottega è un luogo che ha dato identità a un ibrido di welfare che crea risorse attraverso il lavoro di persone non produttive. Ha definito, inoltre, una serie di sistemi: uno per profilare le competenze di soggetti che hanno abilità residuali; un altro di misurazione delle performance di individui che è difficile identificare come performanti al di fuori dei codici del lavoro tradizionale; una differenziazione dei percorsi (siamo partiti dal ritardo mentale, ma oggi ci occupiamo anche di giovani rifugiati e richiedenti asilo). Abbiamo così verificato la replicabilità di questo modello in altri ambiti di svantaggio sociale e imparato che l’innovazione si impara facendola”.
Photo credit: Damiano Andreotti
Alberto Torchio nella foto in piedi col microfono in mano.