Pfas. Non è un nuovo suono onomatopeico. Questa sostanza fa parte dei più noti PFC, composti perfluorurati che negli ultimi cinquant’anni sono stati largamente usati in virtù delle loro peculiari caratteristiche chimico-fisiche. In totale si contano 23 classi chimiche di PFC, tra cui il Pfos ed il Pfoa. Il primo è il composto più importante tra i Pfas. Si tratta di una nuova classe di inquinanti persistenti, ovvero composti perfluoroalchilici, le cui principali proprietà vengono sfruttate per realizzare molti oggetti di uso quotidiano. Li possiamo trovare nel pentolame (Teflon), in indumenti resi impermeabili (Goretex), ma anche in insetticidi, detersivi e contenitori per alimenti. Queste sostanze, però, sono attualmente note anche per le loro contaminazioni dannose per l’ambiente in quanto – a causa alla loro stabilità termica e chimica – risultano molti resistenti alla degradazione.
Alte concentrazioni di Pfas hanno effetti nocivi sia per la salute dell’uomo sia per l’ambiente. Nel primo caso, la sostanza va ad intaccare gli equilibri ormonali, può portare a diverse problematiche di salute quali cancro al rene e testicoli, disturbi cardiovascolari e tiroidei e alterazione nei valori del colesterolo. Essendo delle sostanze volatili ed altamente persistenti – in quanto degradano molto lentamente – vengono riscontrati valori in eccesso anche nel terreno, nell’aria e nei corpi. Il problema in Italia si riscontrò nel 2013 nella regione Veneto, quando il Consiglio Nazionale della Ricerca rilevò delle alte concentrazioni della sostanza chimica nelle acque potabili e nei fiumi nella zona compresa tra Padova, Verona e Vicenza. Nell’anno in cui venne pubblicato lo studio, le concentrazioni di Pfas erano elevatissime, più di mille nanogrammi per litro. Al tempo, il limite raccomandato dall’Istituto Superiore di Sanità era di 500 nanogrammi per litro, ben al di sotto del valore riscontrato nelle acque.
Solo tre anni dopo venne emesso un decreto dal governo che pose un limite per questi valori, ma ad oggi, se paragonati ad altri valori internazionali, non risultano significativi. Uno studio dell’associazione Greenpeace, infatti, ha permesso di monitorare i limiti riscontrati in 90 comuni veneti in modo da poterli confrontare con le soglie di sicurezza poste negli altri paesi. I dati hanno dimostrato che persino negli Stati Uniti i livelli sono molto al di sotto di quelli analizzati: 70 nanogrammi per litro rispetto ad alcuni picchi di 428 ng/l che troviamo, ad esempio, nel comune di Montagnana, in provincia di Padova. Al momento è attiva una petizione che chiede alla Regione Veneto di fermare gli scarichi nelle aree contaminate, adeguare i limiti di sicurezza per la presenza di PFAS nell’acqua potabile ai valori restrittivi adottati da altri Paesi Europei e censire gli scarichi per individuare tutti i responsabili dell’inquinamento.