Il testo che presentiamo delinea due strumenti (‘algoritmi’): il senso dell’equilibrio (rappresentato dalla vision e dal simbolo del Terzo Paradiso) e l’arte della Demopraxia. Il documento individua una terza risorsa, l’attività di ricerca, intesa come diritto umano e gioia per ogni umano, attività che permette di contribuire alla creazione e rigenerazione del proprio contesto e di comprenderlo con maggior profondità e in connessione alle altre ecologie. Infine, il testo indica un elemento decisivo per la svolta auspicata (resa ancora più evidente dalle conseguenze della pandemia) l’unione di cooperazione e apprendimento. Lo scritto, nella sua globalità, inquadra come l’assunzione di consapevolezza e responsabilità diretta sulla gestione quotidiana della vita nella nostra comunità di pratica (cioè, la demopraxia) risponda alla pandemia: dunque questo manifesto è intitolato Pandemopraxia.
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Quasi un manifesto al tempo del Coronavirus (di Paolo Naldini).
Aprile 2020.
Cittadellarte, Biella.
Quarantena da CoViD19.
Gli spazi dove si incontrano normalmente studenti, docenti, partner di progetto e visitatori sono vuoti.
Il torrente scorre. Gli uccelli e gli insetti volano. Vivono le loro giornate come prima.
Anche io, come loro, abito qui, a Cittadellarte, insieme ad Armona, mia moglie, e due dei nostri figli adolescenti.
Michelangelo è tornato a casa, qui con Maria.
In questi giorni di riflessioni mi chiedo quasi ossessivamente: Che cosa imparare da questa esperienza epocale?
Come rinascere, da questa pandemia?
Che cosa portare nel dopo Coronavirus?
Così ho scritto questo testo, quasi un manifesto dalla quarantena.
La base per avviare un’iniziativa di cooperazione e apprendimento.
A partire dalla rete degli Ambasciatori del Terzo Paradiso.
A fondamento due principi: il senso dell’equilibrio e la scienza della demopraxia.
Dalla pandemia alla pandemopraxia.
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Il fatto.
Le conseguenze dell’improvvisa pandemia del Coronavirus 19, cioè le misure prese per affrontarla, hanno messo il mondo in una situazione mai accaduta prima nella storia: si è quasi interrotto l’andamento di crescita dell’economia globale, il flusso possente del progresso. Rallenta* fortemente la continua crescita della produzione e di tutto quanto essa necessita e comporta: scambi commerciali, movimenti di uomini e merci, funzionamento di apparati, macchinari, eventi accompagnatori pubblici e privati di ogni genere. Poco importa che alcuni settori economici e finanziari possano crescere fortemente proprio a causa della pandemia: il lockdown e la chiusura totale o parziale di fabbriche, scuole e attività socioeconomiche è un evento epocale.
Se le misure adottate siano o meno giustificate, non è la questione principale. Perché nulla supera l’importanza del fatto compiuto: si è spezzato l’incantesimo della modernità occidentale che ha conquistato il pianeta senza mai fermarsi prima d’ora.
In questo senso la pandemia è esattamente il contrario della guerra, poiché generalmente la guerra porta addirittura un’accelerazione dell’economia e ingenti guadagni ai settori che hanno contribuito a farla scoppiare o hanno saputo cavalcarla.
Quindi il “fatto” non è l’epidemia, piuttosto è l’impatto che le misure prese per affrontarla hanno avuto sul modello di sviluppo globale.
La modernità capitalista, ovviamente, ha conosciuto profonde crisi, nel ’29, nel ’73, nel 2008, solo per citarne alcune: ma in tutti questi casi, i cittadini (occupati o disoccupati che fossero) non erano in quarantena. Oggi, per la maggior parte delle persone in paesi in lockdown, è lo stile di vita consumista che si è arrestato, quali che siano le cause di questa improvvisa fermata.
L’interpretazione.
La pandemia significa molte cose, e innanzitutto la morte di centinaia di migliaia di persone in un tempo assai ridotto. Domandiamoci che cosa significa invece il “fatto” sopra menzionato, cioè che la corsa del progresso e del consumo si sia (quasi) interrotta. Si tratta del crollo dell’ultima certezza rimasta intatta all’umanità o per dirla con Y. Harari della sconfitta del modello di religione umanista liberale che ha trionfato con il XXI secolo*. E adesso?
Per cercare indizi verso una possibile risposta, guardiamo a che cosa avviene nella vita di una persona quando viene meno una credenza vissuta fino ad allora come certezza. I termini con cui ci si riferisce a questo evento generalmente sono quelli della perdita di un’illusione, cioè disillusione e delusione o, più frequentemente, un misto irrisolto di entrambe le cose.
Normalmente le persone nella vita devono affrontare la perdita dell’illusione quando accade la morte (fisica o ideale) del genitore. Generalmente le conseguenze sono che si rimane pervasi da un misto di dolore per la perdita insanabile di una condizione di innocenza e il coraggio derivante dall’acquisizione di una maturità di fatto. L’esperienza della perdita comporta il passare attraverso il dolore, lo sgomento, lo smarrimento, l’angoscia, il lutto, per giungere a una sorta di rinascita, non felice, né serena, tuttavia necessaria per la prosecuzione della vita: anche la felicità e la serenità, per quanto impossibile da credere in un primo tempo, torneranno a presentarsi nella nostra vita.
Possiamo dunque affermare che, a seguito del fatto che per la prima volta nella storia l’immane macchina del progresso si è arrestata, l’umanità si trova sgomenta di fronte all’ignoto e nello stesso tempo sul crinale di una inevitabile assunzione di responsabilità? Questa è l’interpretazione. Come tale è frutto di un misto di analisi deduttiva e di inferenza proiettiva, cioè auspicio e desiderio.
Qualcuno potrebbe dire che il paragone con la perdita di un genitore non sia appropriato perché mentre la morte è insanabile, la macchina del progresso ora temporaneamente trattenuta presto o tardi ripartirà a pieno regime e dunque tutto tornerà come prima. Nessuno può negare che questa previsione sia possibile e anche probabile. Tuttavia, non bisogna sottovalutare l’impatto degli eventi che stiamo vivendo sull’inconscio collettivo. Soprattutto bisogna ricordare che e le misure adottate per contrastare la diffusione del contagio hanno avuto tra le proprie conseguenze anche circostanze che in molti, sempre più convintamente negli ultimi anni, hanno auspicato e invocato.
Raccomandazioni che riguardano prevalentemente il modello di sviluppo, quando non l’idea stessa dello sviluppo; mi riferisco a conseguenze più visibili come il traffico aereo o più personali come la maggiore disponibilità di tempo per i propri famigliari e compagni di vita. Colpisce questa convergenza tra gli effetti (probabilmente secondari se non imprevisti) delle misure di contenimento del contagio e le richieste che una parte dell’umanità avanzava alla opinione pubblica e ai decisori. Di fatto, quindi, la risposta alla pandemia ha comportato una temporanea adozione di comportamenti prima ritenuti inconciliabili con il modo di vivere precedente, alcuni di questi esecrati (in certi casi da tutti), altri agognati da anni, almeno da alcuni. In una frase brutalmente semplice: quello che prima non era possibile, oggi non solo di può fare, ma è realtà.
Il presente.
Ora ci siamo, dunque. L’abbiamo fatto. Ci siamo quasi fermati, abbiamo rallentato quasi tutto, tranne ovviamente la gestione sanitaria e l’organizzazione della cosiddetta cura. Passiamo più tempo con le persone alle quali teniamo di più. Consumiamo meno. Abbiamo ristabilito un maggior senso di proporzione con il contesto in cui viviamo, del quale stiamo diventando più coscienti, ad esempio nella forma del vicinato o del paesaggio urbano o naturale che ci circonda. Sentiamo senza possibilità di smentita di essere parte di un unico pianeta e di un’unica umanità che lo abita, ma nello stesso tempo viviamo con immediata certezza la dimensione locale del nostro esserci, inseriti in luoghi che sono il risultato di una continua opera di creazione e modellazione di comunità alle quali apparteniamo più o meno dichiaratamente. Abbiamo riscoperto la missione civile vitale di servizi prestati da un esercito di pace fatto di persone dotate della vocazione a prendersi cura degli altri: funzionari pubblici o anche privati quali medici, infermieri, corpi dello stato, volontari. Ma anche di amministratori e manutentori del funzionamento (buono o cattivo che sia) delle gigantesche articolazioni organizzative della collettività. Abbiamo imparato come la tecnologia possa offrire l’opportunità di esercitare su vasta scala funzioni che fino a oggi erano praticabili soltanto attraverso lo spostamento fisico della nostra persona e di enormi quantità di mezzi e strumenti. Abbiamo constatato come la scienza sia la via più diretta per ricollegarci con la natura, sia per proteggerla e prendercene cura, sia per comprenderla, sia per combatterne aspetti e organismi dannosi come questo virus.
Soprattutto abbiamo riscoperto che siamo fragili e connessi gli uni agli altri: radicalizzando un po’ questa consapevolezza abbiamo riscoperto di essere fratelli di tutti gli organismi viventi e inanimati del pianeta.
Il Terzo Paradiso Agenda 2030. Simbolo basato sui 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Michelangelo Pistoletto, Saverio Teruzzi e Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, 2018.
Domani. Oggi.
Cosa portarsi allora nel dopo pandemia, oltre alla consapevolezza che tutto questo è avvenuto, che può tornare e che andrà dunque prevenuto, evitato e, se malauguratamente dovesse di nuovo verificarsi nella forma acuta che stiamo vivendo, gestito meglio? Di quale viatico fornirsi?
Due sono i principi, gli algoritmi che paiono emergere come gli integratori principali al corredo di conoscenza ed esperienza che abbiamo fino a ora messo insieme per affrontare il futuro, e nessuno dei due è assolutamente nuovo; piuttosto sono compagni di viaggio che con la modernità capitalista avevamo assai trascurato, se non proprio mortificato. Il primo è il senso dell’equilibrio che come un sesto senso che non ci lasci mai; equilibrio come inteso dal principio della trinamica* e come espresso dal simbolo del Terzo Paradiso*: il simbolo e il principio rappresentano la ricerca continua di un rapporto equilibrato tra fenomeni diversi e finanche opposti. Fenomeni, quindi anche organismi, animali, persone, popoli.
Un rapporto equilibrato implica anche la possibilità di mutare in base al mutare delle realtà specifiche di ogni luogo contingente, di ogni situazione. Con l’espressione senso dell’equilibrio si mette in evidenza il sentire e la conseguente azione di continuo riassetto dell’equilibrio stesso: si tratta dunque di un equilibrismo funambolico e acrobatico, più che un equilibrio statico. L’altro algoritmo con cui avventurarsi nel dopo pandemia è il metodo della Demopraxia*, con le sue tre fasi costituenti l’Opera demopratica: la prima, cioè il Coro, a sua volta articolata in censimento, mappatura, esposizione; la seconda, cioè la Performance, articolata nel forum; e la terza, cioè il Cantiere, costituita dalle azioni realizzate nelle organizzazioni coinvolte e dal raccordo istituzionale. L’Opera demopratica è un dispositivo che distribuisce nel popolo il governo del popolo.
Come si ottiene questo risultato? Sviluppando le pratiche che i partecipanti alle organizzazioni (di ogni genere e tipo) realizzano nel proprio contesto, cioè nella propria comunità di pratica*. Le pratiche esistono a prescindere dalle ideologie e dalle istanze ideali, dai falsi miti e dalle finzioni che tentano di aggregare il popolo distaccandolo dalla fonte reale del potere, il fare e poter fare nel quotidiano.
Sapremo portare nel mondo dopo la pandemia la grammatica di questi due algoritmi, il sesto senso dell’equilibrio e l’arte della demopraxia? Questo testo è indirizzato verso questo l’obbiettivo.
Lo scenario.
Quando entreremo nella fase di uscita dalla quarantena e dal lockdown, potremo e dovremo tornare ad occuparci di ogni aspetto della nostra vita e portare dei cambiamenti al nostro modo di gestire la vita. Oppure potremo anche riprendere ogni attività esattamente come prima.
Se volessimo provare a cambiare, come potrebbero gli algoritmi del metodo demopratico e del principio dell’equilibrio essere utili? Da dove cominciare?
C’è una canzone dei Subsonica, una nota band italiana, dedicata al Terzo Paradiso; il finale sfuma su una serie di domande dirette forse all’ascoltatore, forse a ognuno di noi, forse ai nostri figli che affronteranno il futuro. Come sorriderai, Che aria respirerai, Come ti vestirai, Quale lingua parlerai, Come saluterai, Come lavorerai, In che cosa crederai, Quali sogni sognerai, Come sorriderai, Che aria respirerai, Come ti nutrirai, Quale lingua parlerai…
Ognuna di queste domande indica un ambito, un campo, dei nostri bisogni individuali e collettivi. E tutte le domande individuano un approccio, una prospettiva, un modo di porsi di fronte alla realtà. Se l’ambito è un campo, l’approccio è una forza.
A ben vedere l’atteggiamento richiamato dalla canzone è specifico del modus operandi della scienza e dell’arte: si tratta del porsi di fronte alle cose come se fosse la prima volta e nello stesso tempo consapevoli di tutto quanto conquistato fino a ora.
Come fare?
A Cittadellarte* abbiamo sperimentato questo approccio dei campi e delle forze dagli anni ’90. Lo abbiamo portato in molti ambiti, facendo della città di Biella* un laboratorio a dimensione reale. Siamo partiti costituendo una scuola, poi chiamata l’Accademia UNIDEE del Terzo Paradiso, spazio dedicato per suo statuto alla ricerca, allo studio, all’ascolto e alla sperimentazione pratica. Ci siamo applicati, tra i primi campi, al nutrirsi.
Come ti nutrirai. Quindi come coltivare la terra. Come raccoglierne i frutti. Come distribuirli e trasportarli. Come scambiarli. Come consumarli. Le organizzazioni delle comunità di pratica hanno risposte concrete a queste domande. Per riformularle con l’approccio dello sguardo ingenuo ma informato abbiamo quindi organizzato la ricerca e lo studio delle diverse e più interessanti risposte che le organizzazioni del nostro territorio stanno formulando. Applicando l’algoritmo della demopraxia abbiamo deciso di costruire una mappatura di queste voci e pratiche e quindi organizzare un forum per un confronto strutturato, dal quale generare proposte di azioni concrete da realizzare in seno alle organizzazioni partecipanti. Questo processo si svolge con il costante conforto e supporto delle istituzioni amministrative ma anche della ricerca come le università.
Insomma, si tratta di articolare la sintassi degli algoritmi della Demopraxia e del Terzo Paradiso, procedendo con il senso dell’equilibrio.
Come ti vestirai. Allo stesso modo, ma in modi diversi poiché diverse sono le caratteristiche del contesto, abbiamo lavorato nel campo della moda. La forza? La ricerca della sostenibilità. Quella della seconda pelle è la seconda industria* più impattante come fattore di insostenibilità di questo antropocene. Ma la moda ha anche un potere simbolico enorme. È continua creazione e velocissima eliminazione. Ma questo ciclo che ci si illudeva fosse circolare a livello globale, lascia invece gigantesche scorie non rinnovabili. Quali sono le leggi della circolarità reale, se davvero essa fosse possibile per la moda? Quali criteri e standard? Con un pool* di designer e di imprese (manifatture e brands) a Cittadellarte si ricerca le risposte a questi interrogativi, che abbiamo contribuito a portare in seno alle Nazioni Unite, con un’iniziativa di grande momento, dedicata alla Tracciabilità e Trasparenza della filiera del tessile e abbigliamento a livello globale*.
Come abiterai. Come imparerai. Come comunicherai. Come ti esprimerai. Come farai. Questo è il programma della scuola che nasce a Cittadellarte negli anni ’90, un campus dove vivere e “condivivere”. Un’Accademia del Terzo Paradiso, chiamata UNIDEE dalla crasi dei termini Università e Idee. Dove la facoltà radicale del creare, propugnata dall’arte, si incontra con il progetto e ogni disciplina, ogni campo sulla base del principio massima libertà = massima responsabilità.
Come ripartire, dunque, da questa esperienza di pandemia?
Ogni città, ogni contesto locale, potrà affrontare il dopo pandemia con una pandemopraxia, un movimento di riappropriazione da parte di noi stessi del fare quanto già facciamo, imparando gli uni dagli altri, accettando l’idea che la vita e il lavoro si alimentano di una continua ricerca, che non è appannaggio delle élite professionali, ma è diritto, dovere e gioia di ogni cittadino*.
Come ripartire?
• dopo la pandemia dobbiamo poter aspirare a un futuro di prosperità sostenibile, perché non solo abbiamo saputo compiere secoli di progresso civile e tecnologico, ma anche che possiamo persino governare il possente teatro della crescita della produzione e del consumo che sembrava governare noi;
• possiamo sviluppare metodi per prendere decisioni che attivino iniziative sistematiche;
• possiamo ampliare il più possibile nostro orizzonte di conoscenza senza basarsi “solo” sulla ricerca delle élite che ci propongono “nuove idee” e “nuovi modelli”, piuttosto accorgendoci che le nostre stesse pratiche ci offrono già indizi di un orizzonte più ampio e soprattutto che abbiamo il diritto di sviluppare noi stessi questa ricerca basata sulle azioni, di riconoscere cioè il valore delle nostre pratiche per poter prendere decisioni sistematiche;
• questo diritto alla ricerca (usando l’espressione di Appadurai), è un diritto a prendere parte alla trasformazione del mondo basato sulle pratiche e quindi a realizzare il passaggo dalla demo-crazia alla demo-praxia. Dalla pandemia alla pandemopraxia.
Solo attraverso la discesa in campo in ogni campo dell’attività umana delle organizzazioni che quotidianamente presidiano quegli stessi spazi di azione potremo applicare la lezione che abbiamo imparato da questa esperienza di pandemia.
L’intelligenza umana che ha portato all’Antropocene ha certamente anche la capacità di reintegrare l’umanità al pianeta in un’armonia che mai abbiamo vissuto prima.
La profondità della nostra conoscenza e il potere della nostra tecnologia, per quanto siamo ancora lontani dall’aver tutto compreso e tutto posto sotto controllo, ci offrono una opportunità che mai avremmo sognato di avere: quella di instaurare un nuovo patto con il nostro pianeta e ogni forma di vita, umana e non umana, che il pianeta ospita e sostiene.
Se ancora non sappiamo da dove esattamente sia venuto e come si sia diffuso questo virus, possiamo però decidere dove ci farà dirigere. Non saranno altri a prendere questa decisione per noi. Ognuno di noi, nella propria organizzazione, che sia un’impresa commerciale o un’associazione benefica, un’istituzione pubblica o un’industria, ognuno di noi, dopo la pandemia, dovrà chiedersi come ti vestirai, come costruirai, come comunicherai, come imparerai… Potrà rispondere come rispondevamo prima del virus. Oppure potrà cercare nuove risposte, concrete, pratiche, reali.
Una nuova iniziativa.
Con questo documento, vorrei segnare l’avvio di un’ulteriore iniziativa della scuola di Cittadellarte. La vedo come l’occasione di riprendere le fila di tutte le attività che Cittadellarte sviluppa, soprattutto la sperimentazione dell’arte della demopraxia.
Guardando dunque all’immediato futuro, si tratta ora di portare nella ripartenza gli anticorpi che abbiamo sviluppato o stiamo sviluppando in questa quarantena.
Io penso, infatti, che gli algoritmi del senso dell’equilibrio e del metodo demopratico siano gli anticorpi di cui avevamo bisogno come società.
Le misure adottate dai governi per affrontare il contagio pandemico sono state come una cura dei sintomi. Ma soltanto noi potremo decidere di sviluppare anticorpi e di applicarli nella quotidianità della vita. Dove? Nelle nostre specifiche comunità di pratica.
In verità, molti lo stanno facendo, alcuni da tempo.
Come? Quali difficoltà e opportunità hanno incontrato e incontrano? Lo chiederemo ad alcuni di coloro che fanno parte della rete di operatori della cultura, amministratori di imprese manifatturiere, funzionari di organizzazioni governative, insegnanti, giornalisti, agricoltori, designer eccetera che si è in questi quasi trent’anni riconosciuta intorno a Cittadellarte.
Chiederemo loro: come si declina nella tua pratica il senso dell’equilibrio? Come condividi nel contesto della tua comunità di pratica le ragioni dei fenomeni diversi, degli interessi opposti, dei punti di vista culturali ed economici contrastanti? Come impari, connettendo quello che sapevi e quello che non sapevi? Come unisci il tuo essere individuo con bisogni e aspirazioni personali con il tuo costituire una comunità più ampia, con le sue necessità e obbiettivi? Intanto che anche noi, come auspichiamo tutti, ci adopereremo nel ripartire, studieremo queste risposte, le trasmetteremo ai nostri allievi e a chi ci segue, ne faremo anticorpi o meglio: pro-corpi, bilanciando in un equilibrio dinamico sempre in movimento le ragioni dei fenomeni, delle persone, delle ecologie.
Come Pistoletto propose nel 2012, quando si diffuse un contagio millenarista che immaginava la fine del mondo, proponiamo oggi una rinascita da questa pandemia. Questo virus non è venuto per sterminare l’umanità. Non c’è bisogno di un nuovo o vecchio virus per questo: lo stiamo facendo già noi. La lezione che possiamo imparare da questa pandemia e dalle conseguenze delle strategie per combatterla è che possiamo ancora salvarci, proprio il contrario di quello che molti associano alla malattia del CoViD19. La lezione è che se la cura per il coronavirus ancora non l’abbiamo trovato, quella per la nostra malattia sistemica esiste già. E possiamo per metterla in atto. Abbiamo gli strumenti, gli algoritmi. Abbiamo la motivazione. Una sola cosa potrebbe mancare, ed è la più importante per gli umani, la caratteristica che ci ha permesso di compiere il balzo evolutivo degli ultimi dieci, quindicimila anni. Si chiama cooperazione e apprendimento. L’unione della capacità di cooperare in gruppi piccoli e grandi, fino a intere comunità di milioni di individui, con la capacità di continuamente apprendere dall’esperienza nostra e degli altri, è la risorsa che potrà farci fare il cambiamento necessario a sopravvivere e soprattutto a vivere una buona vita.
Che riusciremo a sconfiggere la pandemia è più che plausibile, anche se comporterà ancora molta sofferenza. Che riusciremo a trovare un modo di vivere equilibrato, equo, prospero e sostenibile dipende anche questo da noi. Si può fare. Cominciando dalle pratiche concrete delle nostre comunità di pratica: aziende, associazioni, istituzioni, scuole, famiglie.
Paolo Naldini, Cittadellarte, Biella, 13 aprile 2020