L’esperienza emanata dai laboratori CREARTE EN CONTINUA per bambini e giovani è consona agli obiettivi fondamentali dell’attività dell’Ambasciata Rebirth/Terzo Paradiso di Cuba. Si tratta di un’esperienza sviluppata in tre serie e, oltre alle logiche differenze situazionali nei singoli casi, è opportuno sottolineare la singolarità di ogni capitolo, in merito alla concezione ed elaborazione della proposta oltre al pubblico destinatario. Ad ogni modo, ci sono stati elementi trasversali tra tutte le edizioni che, per questo esercizio, sono state la teoria trinamica ed i concetti connessi al Terzo Paradiso. Tra esse risale l’interesse nello sviluppare, tramite potenzialità dell’arte contemporanea, forme d’interazione tra gruppi di partecipanti, nonché istanze di dialogo con il quotidiano partendo dalla generazione di meccanismi di partecipazione e di sviluppo, che variano dalla creatività alle forme di comunicazione ludico-poetiche. Ecco perché il super obiettivo degli incontri non era la formazione tecnica in materia d’arte, ma piuttosto l’articolazione di spazi d’azione e di riflessione, da e sulla realtà, che contribuivano allo sviluppo delle capacità espressive, cognitive e relazionali. Gli assi di ogni serie, cioè “Lo spazio”, “Gli oggetti” ed “Il quotidiano”, contraddistinguono la suddetta pretesa. D’altra parte, il fatto che il contenuto fondamentale non fosse l’arte, ma la vita quotidiana, ha permesso di vedere i laboratori come una “esperienza di produzione di esperienze”.
Nell’esaminare le radici latine della parola “esperienza” si può capire il senso della medesima. “Es” (separazione dall’interno), “peri” (del verbo greco peira: cercare di, trattare di) ed “enzia” (entia: da ente) ci mostrano che il valore del termine risiede nella sua forza, per indicare un tentativo di scappare dalle cose, cioè, dall’isolamento in sé. È importante dire che si tratta di un cenno scorato, orientato a rompere l’inerte, l’automatico, il carente di vita. L’esito semantico di tale esplorazione etimologica punta all’idea di fare delle cose partendo dalla realtà quale materia di creazione e d’invenzione. Tutto ciò non è altro che uno sforzo (ed una volontà) orientato a rompere il manicheismo che scinde l’azione dal pensiero. Quindi l’esperienza, vista da quest’ottica, porta alla decostruzione di un gruppo di idee sull’arte, la vita e la prassi formativa, ormai radicate e mercificate perbene. Dunque, si può arrivare a una riflessione sulle diverse edizioni di CREARTE EN CONTINUA, che si presenta come lo spazio ideale per realizzare un esercizio critico sul rapporto arte – vita, l’esperienza come processo costruttivo ed un vincolo tipicamente pedagogico (il trasferimento didattico e la questione dell’autorità).
Il “tra” ipotetico fra arte e vita
Assumere come paradigma l’idea che la materia fondamentale di CREARTE… è la realtà e non l’arte, presuppone una frontiera fra ambedue le istanze. E difatti esiste: dall’arte emana la prassi sociale, che si alza come campo autonomo. Essa ha cominciato a svilupparsi come ambito privilegiato della cultura, cui carattere si sovrappone su una certa idea elitista dell’arte stessa. Le origini risalgono al Rinascimento, anche se gli effetti si rivelano a cavallo tra i secoli XIX e XX. A questo punto, il superamento delle nozioni romantiche sull’artistico nell’ambito della teoria prova lo spostamento dell’enfasi analitico della figura dell’artista verso l’opera. Ciò ha guidato l’emergenza della nozione di ambiente o di linguaggio come focolaio principale della produzione e della critica d’arte. Secondo questo approccio le abilità artistiche non corrispondevano al talento dell’artista se non erano iscritte in un linguaggio artistico particolare. Più che lasciarsi incantare dall’ispirazione o possedere capacità innate inalienabili, l’artista si presenta adesso come un esploratore delle possibilità sintattiche dell’ambiente linguistico. L’arte d’avanguardia prova la chiusura e l’elitismo di tali prospettive, alla fin fine dominanti, perché tranne in poche e conosciutissime eccezioni, è stato capace di oltrepassare le frontiere dell’arte al di là delle proprie dichiarate intenzioni.
Rompere il paradigma dell’ambiente significa, in questo modo, rompere con l’ideale della specializzazione dell’arte e ciò implica l’apertura della sua specificità a tutte le sfere della vita fino ad arrivare all’indistinzione. Un passaggio della prima serie di laboratori CREARTE… esprime la prospettiva dalla quale è stata esaminata la possibilità di sciogliere il limite arte-vita. In quel momento il pubblico presente ai laboratori era composto soprattutto da bambini del quartiere cinese dell’Avana, dove ha sede l’Ambasciata Rebirth/Terzo Paradiso e ARTE CONTINUA. Gli oltre quaranta partecipanti sono stati invitati a visitare il territorio che circonda il suddetto punto, inscenando una sorta di deriva/passeggiata/performance. Si trattava di ritornare sui propri passi percorsi quotidianamente, di camminare sulle stesse strade di tutti i giorni, ma questa volta ogni passante era legato tramite un elastico ai suoi compagni. Il tema del modulo in cui era inserita ogni sessione era lo spazio, quindi c’era l’intenzione di generare una modalità d’incontro con la trama urbana atipica, capace di disarticolare i soliti sensi del luogo abitato. Così, da osservatori, i partecipanti al laboratorio diventarono osservati. I vicini della zona parlavano sotto voce, si chiedevano quale fosse il motivo dell’incontro. In sostanza, qualcosa era accaduto, tuttavia è difficile indicare il momento e lo spazio preciso in cui arte e vita si distaccano. Poi, è quasi impossibile circoscrivere l’analisi ad una questione di coscienza o d’intensione estetica, perché, ad ogni modo, si trattava di una passeggiata collettiva.
La sessione è continuata con un esercizio cartografico: ogni bambino è stato invitato a segnare il percorso realizzato su una piantina del territorio. Il risultato superò la domanda iniziale, giacché con colori vari, segni propri e simbologia singolare, sono stati tracciati i percorsi quotidiani (a scuola, da un amico, al posto da gioco…), i punti più importanti dal punto di vista pratico ed affettivo. Diverse varianti del rapporto psico-geografico con la località sono stati svelati in un processo dove l’arte è diventato un quadro generatore di svariati modi di sperimentare i dintorni, dove la conoscenza su di esso è fluita dai destinatari più immediati partendo da coordinate quotidiane operativo-funzionali ed emotive. In questo modo la ricerca, il pensiero e l’azione sono stati il leitmotiv di un movimento che, ispirato all’abilitazione di un quadro per la esperienza, va oltre la frontiere tra l’arte e la vita.
L’esperienza positiva
In linea di massima c’è una tentazione irrefrenabile di porre domande ontologiche continuamente. Cos’è l’arte? Cos’è la vita? Cos’è l’esperienza? A volte, nel porsi le domande, sarebbe meglio passare dall’ontologico al funzionale. Così, piuttosto di perdere si guadagna, perché escludendo e cristallizzando, si fa l’indagine genealogica e si allarga il raggio dello sguardo. La questione implicita nell’affrontare l’idea di “un’esperienza positiva” esige questo tipo di mossa, perché piuttosto di frugare in una tralasciata essenza, statica e rinchiusa in sé stessa, si passa ad una dimensione dinamica, viva ed aperta.
Dunque, nel porsi la domanda “come si verifica o come si è verificata l’esperienza dei laboratori CREARTE EN CONTINUA?” giova considerare due dimensioni collegate: da una parte quella organizzativa (riferita alla mobilitazione ed all’attivazione) e dall’altra, quella operativa (messa in atto). Mobilitare, visto come forma di ordire di una rete di solidarietà si collega alla possibilità di rendere palese una situazione, di costruire la sua fattibilità, il suo qui ed ora. A questo punto, la trama vincolare, i soggetti della solidarietà, hanno segnato i punti del divenire delle varie serie di laboratori, perché, da un’alleanza iniziale, inscenata dai gruppi di lavoro di ARTE CONTINUA e l’Ambasciata Rebirth/Terzo Paradiso a Cuba, si è passato all’inclusione progressiva, rispettivamente per la seconda e la terza edizione, di studenti di Storia dell’Arte dell’Università dell’Avana e parte dell’elenco degli artisti cubani che collaborano con la Galleria Continua. In questo caso, i nuovi attori hanno svolto un ruolo importante ed al tempo stesso complicato, cioè quello del facilitatore.
L’esperienza con le studentesse di Storia dell’Arte è stata una novità radicale: per la prima volta la responsabilità di organizzare e mettere in atto le sessione superava i soliti confini. Quest’ultima voce emerge come l’oggetto di osservazione fondamentale giacché in esso risiede il germe della decostruzione del dispositivo d’insegnamento comune e convalidato. Ovviamente questo non vuol dire che in precedenza non ci siano raggiunti dei progressi in questa prospettiva, ma la seconda edizione è stata il momento di sistematizzare del vissuto nei confronti della modalità di conduzione provata in precedenza, cioè il ruolo del facilitatore. Con questa esperienza si puntava alla dinamica delle sessioni come processi di costruzione collettiva, dove il protagonismo del docente si scioglie nella partecipazione del gruppo spinta non dalla brama d’illustrazione, ma dall’incentivo creativo e relazionale, centrato attorno all’interazione con la realtà, in questo caso, oggettuale. Il dispositivo operazionale si è organizzato in base a tre domande fondamentali: “Cosa vedi? Cosa pensi? Cosa puoi fare?”. Ciò fa cessare il rapporto professore-allievo in quel che riguarda la tradizione basata su domande di verifica collegate ad un meccanismo riproduttivo. A questo punto, il denominatore comune del processo “domanda-risposta”, non è più il corretto e l’incorretto, ma esso si alza su una piattaforma di ricollocamento critico di fronte alla realtà.
Trasferimento ed autorità
Penetrare il rapporto emittente-ricevente rivela due questioni significative collegate da un punto pletorico di conflittualità. In primis il gioco del rapporto del potere nell’ambito esperienziale che rappresenta ogni sessione di CREARTE. In questa linea di riflessione si deve assumere, come punto di partenza, il modo di rapportarsi esercitato e convalidato come corretto nella prassi didattica comune, nella quale assume la direzionalità del flusso d’informazione di un “essere che sa” verso un “altro che non sa”. Tali coordinate nascondono la presenza del disprezzo come denominatore comune del processo di scambio di informazioni e, al tempo stesso, rinchiude uno sguardo assistenzialista, dove l’elemento posto al vertice del rapporto gerarchico basa la sua posizione privilegiata sulla possessione di conoscenza. È una sfida singolare quella di formalizzare questo rapporto diversamente, ma si deve fare un tentativo per staccare il sapere dall’essere specializzato e, nel frattempo, proporre l’istruzione da una posizione di volontà di cognizione.
La volontà di sapere non deve essere assunta come l’uguale della volontà di potere: una forza cieca che agisce dietro le quinte, ma come una decisione, un atteggiamento orientato a logorare le gerarchie fondate dalle coppie “perizia-imperizia” e “sapere-non sapere”. D’altra parte, non è possibile “infondere una volontà di sapere”; questo porterebbe proprio all’atteggiamento che si cerca di de-costruire. Si tratta dunque di un processo costruttivo, motivato da una ricerca comune dal dialogo orizzontale. Così si avvia una comunicazione, una sorta di attività cooperativa orientata all’accompagnamento reciproco in un processo di rivista della certezza sulla realtà.
Basta osservare i risultati di un tentativo simile: si tratta di un processo in atto, che nell’esperienza di CREARTE è possibile illustrare nella proposta di Susana Pilar Delahante Matienzo. Il suo intervento nei laboratori parte dalla convocazione formulata dagli artisti cubani appartenenti alla Galleria Continua, il che è diventata la nota distintiva della terza serie. I partecipanti dovevano scrivere un breve racconto sul tema del quotidiano, da scambiare dopo con un altro autore per la lettura pubblica. Alla fine, il collettivo è stato invitato a raggrupparsi allo scopo d’inscenare il racconto scelto da loro. Susana Pilar non ha partecipato da specialista, ma come gestore di un processo di scambio collettivo dove niente è stato insegnato ma tutto è stato condiviso. Così, lo spostamento del posizionamento dall’individualità artistica all’integrazione in un collettivo e l’articolazione dei nessi comunicativi sulla base dello scambio, sono i punti cardine di un nuovo assemblaggio dell’apposita e tradizionale situazione di trasferimento.
Arte, vita e trasformazione sociale. Conclusione intempestiva
Raccontare un’esperienza va oltre la spiegazione delle teorie, l’offerta di formule o l’insegnamento di qualcosa che non si conosce; si tratta di condividere. Quest’azione, a sua volta, supera l’oggetto del dare, perché non si condivide quello che non si vuole condividere, quindi l’importante è quanto costruito attorno al suo effetto di dare e di ricevere qualcosa: reti, alleanze, flussi e reflussi. Raccontare un’esperienza costituisce di per sé un fenomeno esperienziale, un ripensare dentro ed fuori, un ricollocamento dei suoi confini.
Di solito si pensa che l’arte abbia un ruolo accessorio nei confronti delle trasformazioni che si verificano nel mondo. Si tratta di una specie di paragone con la frase hegeliana a proposito del gufo di Minerva ed il carattere tardivo dell’arrivo della filosofia. Comunque, l’asseverazione sopra indicata potrebbe emanare tre eventuali conclusioni: l’arte è sottovalutata, è temuta oppure è sottovalutata e temuta. La proposta di CREARTE EN CONTINUA, quale opera collettiva, non solo non sottovaluta l’arte, anzi, cerca di coinvolgerla creativamente fino ad arrivare al suo stadio più autentico: essere parte della vita, costituire un’esperienza creativa e contestataria del mondo. A questo punto, la sfida è a favore della vita, della realtà, ma senza disistimare l’arte. Essa non è fuori dal mondo, né oltre la vita, ma qui ed ora. Tuttavia non basta capire che le cose stanno così; non basta comprendere che l’arte non è smarrita nel nulla; occorre fare in modo che essa si confonda con il tutto. Ecco una nuova geografia transfrontaliera e la possibilità di sfruttare una nuova forma di abitare l’unico mondo che condividiamo. In questa nuova geografia non ci sono piantine fisse, ogni cartografia è un nuovo cenno originario: un’esperienza.