A caccia di microplastiche
Così piccole da non essere rintracciate, le microplastiche sono state rinvenute anche nelle acque potabili. L’Università di Warwick, ubicata nei pressi della città di Coventry nel Regno Unito, ha elaborato un metodo per evidenziarle nelle acque marine.

Lo sapevate che appena l’1 per cento della plastica presente nelle acque marine viene rilevata? Una percentuale infinitesimale se si pensa alla superficie marina, costituita da oltre 360 milioni di chilometri quadrati di acqua, che rappresentano i sette decimi della superficie terrestre. Secondo un dossier presentato al Forum economico mondiale tenutosi a Davos, ogni anno finiscono in mare 8 milioni di tonnellate di plastica. Oltre ai rifiuti visibili, la maggior parte di questi scarti è rappresentato dalle microplastiche, ovvero particelle di materiale più piccole di un millimetro, fino a un livello micrometrico.

Come anticipato, la percentuale della plastica che si riesce a rilevare è minima, ma un gruppo di ricercatori britannici dell’Università di Warwick – situata nei pressi della città di Coventry nel Regno Unitoha messo a punto un metodo all’apparenza molto semplice, ma nel contempo innovativo. Hanno sviluppato un colorante che riesce a legarsi specificamente con le particelle di plastica, in modo da poterle differenziare con precisione dagli altri materiali e, quindi, quantificarle. Il rosso nilo, il colorante in questione, unito all’acido nitrico ha permesso di evidenziare i corpuscoli in campioni sia di acqua superficiale sia di sabbia. Il materiale rinvenuto è il polipropilene, polimero utilizzato nel packaging di alimenti.

Si tratta di una vera e propria invasione di plastica. È noto, ormai, che tutto il ciclo dell’acqua è contaminato e il problema è strutturale: uno studio globale condotto da Orb Media, organizzazione non-profit specializzata in giornalismo, ha condotto uno studio su 159 campioni di acqua potabile di tutto il mondo e i risultati sono stati sconcertanti. In Europa, in particolare, è contaminata il 72 per cento dell’acqua che beviamo, nella quale sono state trovate solo quelle particelle più grandi di 2,5 micron. Ma le dimensioni arrivano fino a livelli nanometrici.

Oltre che dalla corrosione dei materiali plastici più comuni, le particelle derivano dai prodotti più inaspettati, come quelli per l’igiene personale. Le microsfere presenti in prodotti per lo scrub o nei dentifrici sono, infatti, fatte di plastica. In alcuni stati, come gli USA, esse sono al bando dal 2017, in Italia, invece, è stata presentata una proposta di legge per vietarne l’uso in prodotti cosmetici e per la pulizia personale. Sicuramente la messa al bando di queste microsfere non risolverà le criticità create dalle microplastiche ma, almeno, potrà essere un’azione concreta nella vita quotidiana di ognuno di noi. In attesa che la proposta di legge venga approvata, possiamo attivarci concretamente evitando di utilizzare questo tipo di prodotti.