Una signora di mezza età, con un libro in mano, che osserva curiosa la propria immagine riflessa in uno specchio. Un assessore in giacca e cravatta che controlla impulsivamente lo smartphone. Un calciatore di serie A, capitano della sua squadra, che scopre con stupore la relazione tra arte e calcio scrutando un’opera. Una studentessa con uno zaino stravagante sulle spalle che dialoga sottovoce con un compagno di corso. Un agricoltore con i calli nelle mani e gli occhi stanchi di chi lavora dall’alba. Un giovane fashion designer che si copre dal freddo indossando abiti sostenibili. Una giornalista indaffarata con una troupe al suo seguito. Cinque artisti internazionali in residenza che si conoscono davanti a una tazza di caffè. Un gruppo di bambini vivaci che, insieme, vogliono già cambiare il mondo.
No, non sono i sospettati o i testimoni su cui ruotano le indagini di un romanzo giallo. Non ci sono nemmeno incursioni nella fantasia. Ma se non c’è ambiguità, cosa accomuna queste persone? Qual è l’attinenza fra loro? Così, a bruciapelo, sono pochi i dubbi: età, professionalità e provenienza geografica non hanno all’apparenza alcun nesso tangibile. Eppure, questi mondi distanti confluiscono periodicamente in un crocevia culturale. Le dinamiche e i momenti presentati sono infatti solo alcuni spaccati di realtà quotidiana che hanno uno sfondo in comune. Il riferimento è a un’ex manifattura laniera, un complesso di archeologia industriale tutelato dal Ministero dei Beni Culturali, ubicato ai piedi delle Alpi Biellesi: Cittadellarte. Sì, perché nelle pieghe del tempo della realtà artistica le figure citate sono alcune delle comparse o protagoniste del film – in continua scrittura ed evoluzione – della Fondazione Pistoletto. Ogni giorno attorno ad essa vive infatti una comunità allargata di pensatori, amministratori, innovatori di ogni ambito del tessuto sociale, che danno forma a un processo perpetuo in cui l’identità culturale si lega e strizza l’occhio all’arte socialmente impegnata. In questo quadro, un ruolo primario non ce l’ha solo Michelangelo Pistoletto, ma anche i cosiddetti Cittadini – dipendenti e collaboratori della Fondazione si definiscono informalmente così, ndr -, e, in un parallelismo politico, il primo cittadino, il direttore di Cittadellarte. Questa definizione, a dire la verità, non la sente sua, neanche per scherzo: quando ironicamente l’ho definito in tal modo, ha immediatamente preso le distanze, precisando “Primus inter pares”. Lo abbiamo incontrato per fare ordine tra la meravigliosa e complessa eterogeneità che contraddistingue la realtà che dirige, volgendo lo sguardo all’anno che sta per concludersi. Così, Paolo Naldini si è aperto, toccando temi di attualità e offrendo riflessioni trasversali su passato, presente e futuro della Fondazione.
Paolo, esordiamo con un tuo bilancio del 2023 della Fondazione Pistoletto. Quali sono stati, a tuo avviso, i frangenti più significativi dell’anno?
Attraverso un’opera demopratica, il cantone di Ginevra ha cambiato la propria costituzione inserendovi il diritto al cibo, grazie all’iniziativa dell’ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso Walter El Nagar e della Fondazione MATER.
Cito anche la mostra ‘Fashion to Reconnect’, in partnership con Camera Nazionale della Moda, che racconta che come attraverso il vestirci possiamo riconnetterci con la natura; sottolineo anche i collegati eventi del parlamento per i diritti della natura proposti nell’ambito della Milano Fashion Week.
E poi la COP28, dove abbiamo portato l’esperienza della nostra Accademia di moda sostenibile e di arte per la trasformazione sociale responsabile, perché non riusciremo mai a cambiare il mondo se non abbiamo prima cambiato il nostro modo di pensare.
Dalla crisi russo-ucraina fino al conflitto armato, politico e sociale israelo-palestinese: la pace preventiva continua a rivelarsi un concetto stringente e attuale. Quale può essere l’impatto dell’arte in una dimensione bellica?
Non mi spaventa il conflitto, perché dalla tensione può nascere l’energia per un cambiamento positivo per tutti. È la nostra capacità di rimuovere l’evidenza davanti ai nostri occhi e di assoggettarci a narrazioni mortifere e distruttive che mi fa paura, così come cancellare l’umanità dell’altro, farne puro strumento del nostro bieco, cieco interesse; e mentre facciamo tutto questo rappresentarci come portatori di verità e virtù, se non addirittura incoraggiati dal nostro dio. Se l’arte ci aiuta a rendere il nostro pensiero autonomo e responsabile, non è proprio durante l’orrore della guerra che questo può fare la differenza? Vale certamente per i terroristi di Ḥamās e per Netanyahu, ma soprattutto vale per tutti noi, perché è sul consenso da parte di tutti noi che tutti i condottieri di morte fondano il loro potere.
Passiamo a un altro dei drammi del nostro tempo: il femminicidio. In Italia, nel 2023, sono state oltre 100 le vittime. Come si può innestare una sensibilizzazione sociale per contrastare la violenza di genere? L’arte può avere una funzione in questo processo?
La formula della creazione parte riconoscendo una tensione tra due soggetti e giunge a un esito del tutto differente da quello spietato del femminicidio, cioè dall’eliminazione dell’altro. Giunge infatti ad una terza situazione che unisce ma mantiene i due pre-esistenti soggetti. Il cerchio di questa connessione può essere creato anche pensando che i due individui in contrasto trovino un accordo nel separarsi pacificamente e vivere nel mondo non più insieme. L’intelligenza umana può ben creare questo terzo spazio tra noi e un’altra persona rispettandone l’integrità e la dignità. Questa facoltà creativa affonda le proprie radici nella stessa dimensione in cui nasce l’arte.
Anche quest’anno sei stato invitato come relatore in conferenze internazionali (citiamo, ad esempio, la tua partecipazione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York) e in ogni angolo della nostra penisola. L’ultima occasione di autorevolezza globale – a livello cronologico – è stata, come accennato in precedenza, la COP28 di Dubai, dove sei intervenuto al talk Climate Change is not Cool: a sustainability message from the fashion world nel panel Sustainability Education for Fashion. Questa edizione del vertice globale sul clima ha generato controversie considerando che gli Emirati Arabi Uniti sono tra i principali esportatori mondiali di petrolio e gas naturale. Oltre alla criticità dei combustibili fossili, la Conference of the parties è un potpourri di proclami sterili o occasioni di risonanza mediatica come questa sono un passaggio imprescindibile per operare concretamente per rispettare l’Accordo di Parigi?
Che i paesi produttori di petrolio siano coinvolti nella COP sul clima è un’ottima notizia. Che il testo finale approvato dichiari di abbandonare (transitioning away) le fonti fossili nei nostri sistemi energetici è un’ottima notizia. Che migliaia di delegati si siano ritrovati per parlare della crisi climatica è un’ottima notizia. Che tutto questo non lasci noi, ma soprattutto gli attivisti e i difensori del nostro pianeta soddisfatti è un’ottima notizia.
Proponiamo un parallelismo avvalendoci dell’Ufficio Nutrimento. Sulla scia di Let Eat Bi, se dovessi cucinare un metaforico piatto intitolato “sostenibilità”, quali sarebbero gli ingredienti essenziali?
Plant-based food.
Cittadellarte si articola attraverso una rete di uffici che pongono l’arte in relazione con ogni ambito del tessuto sociale, anche in riferimento al Progetto Arte. In quest’ottica, identifichi una singola parola chiave per alcuni uffici e progettualità che danno forma al macrocosmo della Fondazione?
Questa domanda andrebbe posta agli artivatori di Cittadellarte. Sono i responsabili che, attraverso l’arte e la loro professionalità, sviluppano i progetti degli Uffizi della Fondazione. Io, comunque, posso condividere la mia parola chiave: co-creazione.
Stanno per cominciare le festività invernali. A prescindere dall’aspetto religioso, consentono di condividere il tempo con la propria sfera sociale più intima. Quale significato ricoprono per te occasioni come questa?
Da quasi 20 anni, il Natale nella mia numerosissima famiglia – sono il quarto di 5 figli – ha il suo momento più intenso nel ‘rito’: ogni volta diverso, è sempre un momento in cui si condividono dei contributi che abbiamo raccolto nei giorni precedenti e che riguardano questioni come una canzone, un libro, un ricordo, un pensiero o un avvenimento particolarmente significativo che viene condiviso pubblicamente attraverso il gioco dell’indovinare. È un rito conviviale con cui ci ascoltiamo e ci (ri)conosciamo di anno in anno. I bambini diventano ragazzi e gli adulti sempre meno giovani. Lo proposi ai miei familiari per trovare insieme una spiritualità fondata su noi stessi più che ricevuta, pre-costituita da altri. Ormai è per tutti noi il clou di quel tempo prezioso che il Natale ci regala.
In conclusione, entriamo in una dimensione introspettiva. Che cosa ha alimentato la felicità di Paolo Naldini nel 2023? Quale sarà la linfa per nutrirla nel 2024?
La mia felicità in questo anno è ammutolita davanti alla disperazione e all’orrore che stanno vivendo i Palestinesi vittime di un nuovo olocausto, alle tragedie che opprimono gli Ucraini, i Siriani, i popoli subsahariani e libici, e milioni di altre persone, bambini, donne e uomini inermi e innocenti, come i giovani israeliani massacrati durante il rave del 7 ottobre. Purtroppo di leader politici di valore non ce n’è quasi nessuno, la maggior parte di loro sono schiacciati dalla loro piccolezza e incapacità. Sanno solo fare la guerra, seminare odio, procurare affari all’industria militare e della sicurezza. Abbiamo bisogno di comunità civiche capaci di esprimere rappresentanti di valore, di unire le forze della pace a tutti i livelli del tessuto sociale, di imparare a fare a meno dei leader di odio e sudditanza, di alzare la testa, unire le braccia per abbracciare il pianeta e tutti i suoi abitanti.