Due balene davanti al Pantheon: l’azione di denuncia di Greenpeace
Montate all’alba del 5 luglio dagli azionisti di Greenpeace Italia, due balene di 3 e 6 metri emergono da un mare di plastica usa e getta. L’installazione avviene nell’ottica del report “Stessa spiaggia, stessa plastica” che analizza i rifiuti di sette spiagge italiane tra i mesi di maggio e giugno.

È economica, leggera e facile da produrre: la ragione di tanta plastica accumulata viene, così, facilmente spiegata. Il problema ha origine negli anni ’50, quando comincia la fabbricazione del materiale a livello industriale e, da allora, solo il 9% della sua totale produzione è stato correttamente riciclato, provocandone l’accumulo nei mari e sulle spiagge di tutto il pianeta. 

La popolazione inizia ad allarmarsi per queste circostanze, dando vita ad iniziative e a progetti per sviluppare cambiamenti e sensibilizzazione sociale.
In quest’ottica si colloca l’intervento di Greenpeace Italia a Roma: due balene di plastica di 3 e 6 metri emergono da un mare inquinato dello stesso materiale usa e getta. Poste davanti al Pantheon, in Piazza della Rotonda, sono sotto gli occhi di tutti: dai turisti ai locali, dai più grandi ai più giovani. Chiunque avrà modo di farsi sconvolgere da un’immagine che non si discosta dalla realtà e che vuole essere una forte denuncia nei confronti del mancato riciclo, nonché opera di tutela verso le specie marine che vi abitano e che sono, così, in grave pericolo. 

 

Il gesto degli azionisti trova le proprie ragioni anche in un report, condotto dalla stessa Greenpeace, che ha preso in analisi sette spiagge italiane (Bari, Napoli, Trieste, Palermo, Fiumicino, Chioggia e Parco Regionale di San Rossore) per i mesi di maggio e giugno. “Stessa spiaggia, stessa plastica” vuole mettere in luce le criticità della situazione, basandosi sulla catalogazione dei materiali del protocollo Brand Audit (della coalizione Break Free From Plastic). Il metodo consiste nella raccolta di tutti i rifiuti trovati sulle spiagge, quantificando il volume e il peso della plastica sulla base di quello totale e, laddove possibile, evidenziandone la merceologia (involucro di alimenti, bottiglie, prodotti per la casa ecc.), le marche e la costituzione dei polimeri.

Da questa indagine emerge chiaramente come la plastica sia l’elemento dominante sulle spiagge italiane, in zone antropizzate così come in aree protette, nonostante la ricerca sia stata condotta su un numero ridotto di queste. I risultati merceologici vedono, invece, gli involucri di alimenti e bevande come principali responsabili dell’inquinamento delle aree balneari.
Proseguendo, i polimeri più diffusi sono Polipropene (PP), Polietilene ad alta intensità (HD-PE), Polietilene a bassa intensità (LD-PE), Polietilene Tereftalato (PET) e Polistirolo. I marchi più frequenti sulle spiagge risultano essere, invece, Coca Cola (30,9%), San Benedetto (20,2%), Ferrero (10%), Nestlé (8,6%), Haribo (4,6%) e Unilever (3,9%).
Entrando nello specifico della situazione italiana, due sono i luoghi dai risultati più impressionanti. Bari, infatti, nella spiaggia Pane e Pomodoro, registra un picco di polistirolo pari all’89% del volume totale dei rifiuti raccolti. Nella provincia di Pisa, invece, alla foce del fiume Serchio nel Parco Regionale di Migliarino (San Rossore e Massaciuccoli) è stata trovata la più alta quantità di rifiuti in plastica, pari al peso di 125 chili. 

Il 40% della produzione globale è quella della plastica da imballaggi. È necessaria un’inversione di tendenza in quest’ottica poiché, seppur in Italia il riciclo risulti in aumento (dal 30% del 2014 al 43% del 2017), la produzione totale di plastica rimane invariata a numero di tonnellate (da 1292 del 2014 a 1284 del 2017). Questo vanifica gli sforzi della società e degli investimenti dei governi per riequilibrare una condizione critica che rimane, così, immutata. 

Le grandi aziende, essendo a conoscenza di questi insuccessi, non si adoperano per proporre alcuna alternativa, né si assumono le proprie responsabilità addossandole, così, ai consumatori.