Scrivere ai tempi del Coronavirus è qualcosa di sospeso nel tempo.
In effetti sono nel mio decimo giorno di quarantena o ‘domiciliari’, avendo iniziato prima della mia famiglia perché tornando dal Messico ho fatto scalo all’aeroporto di Linate, quindi l’idea di parlare del tempo ora mi sembra abbastanza strana, di certo ‘relativa’. Comunque, come tutti, devo riempire la giornata e scrivere un articolo dovrebbe essere un buon modo per passarlo quel tempo.
Delle tante, una delle cose che mi è rimasta impressa in questi giorni è legata all’idea di spazio.
Sembra impossibile considerare quanto non siamo abituati ad avere una corretta conoscenza dello spazio che usiamo e del numero di contatti, contatti fisici, che abbiamo ogni giorno, meglio… ogni ora.
Tutti iniziano la mattina presto, magari con un bacio, ed è un continuo tutto il giorno: strette di mano, abbracci, carezze sulle spalle, ritrovarsi gomito a gomito, passaggio di utensili e strumenti di qualsiasi tipo, per non parlare di tutto ciò che tocchiamo e che è stato o sarà toccato da altri.
Ognuno di noi vive nel suo spazio che pensa privato, ma che invece è decisamente pubblico!
Una delle fortune che ho nel collaborare con Michelangelo Pistoletto, Maria Pioppi e l’entourage di Cittadellarte è quella di poter ascoltare conferenze, interviste, tavole rotonde e lectio magistralis – avendo talvolta l’opportunità di partecipare personalmente – ma c’è anche qualcosa in più: tutto il tempo trascorso insieme durante una cena, o guidando da un posto all’altro, o aspettando un aereo o solo il prossimo appuntamento.
Ecco, durante questi momenti potrebbe accadere qualunque cosa e, soprattutto, Michelangelo potrebbe dire qualsiasi cosa, in una specie, anche qui, di tempo sospeso in cui possiamo parlare di tutto e io potrei chiedergli di tutto.
Per spiegarmi meglio e come esempio: una volta eravamo a pranzo, un pranzo normale senza alcuna pressione per un appuntamento particolare. Stavamo parlando e scherzando come al solito quando Michelangelo iniziò a parlare dell’idea del mondo come una realtà politica unica in cui un diverso sistema di governo era un dovere non solo per i politici, ma per tutti coloro che il mondo lo abitano. Stava parlando di politica in cui la politica deve essere considerata come la nuova forma plastica dell’arte. Ho quasi urlato: “Fermi tutti! Scusate, ma ho bisogno di una penna e di un foglio di carta”.
Non ricordo l’anno, probabilmente era il 2013 o il 2014, ma Michelangelo stava semplicemente riassumendo e rielaborando ciò che Paolo Naldini aveva definito proprio l’anno prima con una sola parola: demopraxia.
In quell’occasione Michelangelo aveva fatto una cancellazione dello spazio, dando la stessa importanza a un governo di famiglia, che ora potremmo definire un nano-governo, piuttosto che a un governo statale o, se vogliamo, all’Assemblea delle Nazioni Unite. Protagonisti? Arte e artisti. Un concetto ormai ampiamente accettato e realizzato da Cittadellarte, ma ancora fonte di ricerca.
Ma al tempo, il bello fu poi la sua domanda: “Perché ho detto qualcosa di interessante?”.
Questa è solo una delle tante situazioni in cui puoi trovarti ad avere Pistoletto nelle vicinanze, non è certo l’unica, ma torniamo al concetto di spazio.
Avendo un background in scienze politiche e politiche economiche, ho un interesse particolare per il Public Engagement e il Public Amusement con una predisposizione per l’idea dell’arte come linguaggio universale, capace di inserirsi in ogni tipo di discussione, tema, argomento.
L’arte, in quest’ottica, è una specie di rompighiaccio che anticipa domande, critiche e proposte.
A partire dall’arte è possibile spostarsi nello spazio-tempo, leggere il passato, prevedere il futuro, abitare sia il luogo che il non-luogo.
Parlando di spazio, in una divisione tra pubblico, civile e civico, l’arte è l’unica che ha la forza di attraversare ogni area, ogni ambiente e ogni campo sociale. Ma la libertà dell’arte, se sola, rischia di disperdersi nell’indeterminatezza. La determinatezza potrebbe però essere raggiunta attraverso il confronto e l’assunzione di responsabilità. È un metro di distanza un’assunzione di responsabilità?
Se c’è una cosa che la crisi del Coronavirus ha chiaramente messo in evidenza, è che non c’è spazio pubblico o libero e che lo spazio civile è chiaramente esposto a causa dell’assenza di educazione e senso civico delle persone.
Quindi, come posso misurare lo spazio?
Naturalmente, esiste una misura fisica e reale in metri o in piedi o miglia nautiche. Ma la concezione dello spazio in termini di tempo e la sensazione del tempo stesso sono ugualmente veri e reali.
Quando eravamo bambini, ci hanno insegnato ad allontanarci allargando le braccia con solo le dita che quasi si toccano (in una visione stile Cappella Sistina). Oggi il Governo italiano e il buon senso ci chiedono di mantenere la stessa regola per la nostra sicurezza. Quindi la nostra area di sicurezza oggi è misurabile fino a un respiro, uno sputo, uno starnuto. È una regola a norma di legge o no? Finora non è legge e quindi rientra nella sfera civile, ma in realtà lo spazio pubblico è scomparso.
Allo stesso modo le distanze vengono modificate. Fino a un mese fa la distanza tra Roma e Milano era di tre ore (da Termini a Milano Centrale) ed era così per tante volte al giorno, pensando che più o meno c’erano treni ogni dieci o quindici minuti. Oggi, inevitabilmente, Milano sembra così lontana per me qui a Roma. È quindi una questione di prospettiva.
Infatti è anche vero che parlare con Cittadellarte per telefono o in una teleconferenza via Skype con diverse persone da tutto il mondo riduce il tempo in prossimità dello zero, come alla stessa stregua la distanza tra me e mia sorella in Ecuador via WhatsApp è solo il tempo che impiego a digitare un messaggio. Ma, detto tutto questo, allora, la crisi del Coronavirus evidenzia chiaramente una cosa: lo spazio non ha solo tre dimensioni.
Una volta mi confrontavo con Michelangelo Pistoletto sullo specchio, in effetti parliamo spesso dello specchio e di come possa spiegare la realtà.
Concettualmente lo specchio non esiste, perché senza una persona di fronte lo stesso specchio non ha una funzione. Devo essere di fronte allo specchio per vedermi riflesso e con me e il riflesso di me siamo automaticamente un due, una dualità.
Ma questo non è abbastanza, perché guardando nello specchio posso vedere cosa sta succedendo intorno a me. E più sono vicino allo specchio, più posso allargare lo sguardo a me concesso, mentre se volessi entrare nello specchio me ne dovrò allontanare, andando indietro nella stanza, andando indietro nella società, andando indietro nel tempo, come se stessi imparando dal passato.
Ora il ‘buon senso civile’ mi e ci sta chiedendo di mantenere una ‘distanza di starnuto’ tra me e lo specchio, dandomi una visione limitata della realtà attuale. Non è facile, non è facile da capire, ma in questo momento quel che posso effettivamente fare è solo tornare indietro, guardare al passato, stare a casa e cercare quei valori di responsabilità, fiducia negli altri e impegno che hanno da sempre caratterizzato l’essere umano. Dobbiamo ritornare al concetto della dualità, ossia alla necessità per l’uomo dell’altro, dell’essere sociale. Allora tutto andrà bene.