Nel ventunesimo secolo le mode alimentari sono proliferate, nei supermercati troviamo sempre più spesso scaffali dedicati a prodotti bio, adatti a celiaci, vegetariani o vegani. Un’attenzione nata in realtà da esigenze più profonde, di filosofie di vita e scelte critiche che sono state veicolate dal commercio per farle diventare una vera e propria moda che sta “contagiando” anche i consumatori più scettici.
Non si può parlare solo di moda quando si trattano tematiche alimentari e, in un mondo in cui la popolazione è in continua crescita e sfrutta le risorse in nome di un benessere commerciale, la necessità di pensare ad uno stile di vita più sano e sostenibile diventa necessariamente urgente. L’entomofagia, ovvero il consumo alimentare degli insetti da parte dell’uomo si sta facendo spazio anche in paesi come l’Europa, in cui si guarda a questa classe di animali come biechi e sporchi parassiti. È attestato che oltre 2 miliardi di esseri umani integrano la loro dieta con insetti, e già gli antichi romani non disdegnavano le larve di scarabeo, considerate una prelibatezza.
Si parla di sostenibilità. Una recente ricerca pubblicata sul Global Food Security, condotta dal ricercatore Peter Alexander dell’Università di Edimburgo, presenta un primo confronto sistematico sull’impatto ambientale derivato dal cibo e ha confermato che mangiare gli insetti è più “efficiente” in termini di inquinamento, rispetto all’allevamento di bestiame. A livello di produzione, infatti, allevare un pollo necessita di circa due chili e mezzo di mangime, che possono arrivare a circa cinque per un maiale e dieci per una mucca. Per non parlare delle quantità di acqua che vengono impiegate negli allevamenti intensivi e poi scaricate nei nostri mari. Un chilo di insetti vivi ha bisogno di 1,7 chili di cibo, che si tratta per lo più di rifiuti organici, che riescono a trasformare in proteine nobili. I vantaggi derivanti dalla scelta di mangiare insetti sono quindi molteplici: per il loro allevamento si usa meno spazio, producono meno gas serra e meno ammoniaca, richiedono meno acqua, meno cibo e soprattutto riciclano rifiuti di scarto, un’opera considerevole, contando il fatto che circa l’80% dell’ammoniaca prodotta negli Stati Uniti proviene dagli escrementi animali.
Dal punto di vista etico, la ricerca vuole affrontare la problematica dell’impatto ambientale anche attraverso vie trasversali. Si evince quindi che risulta importante limitare il crescente consumo di carne, una tendenza che sembra difficile da evitare, ma ridurne l’uso e la produzione sarebbe un passo importante contro gli impatti negativi che producono sul pianeta. Scelta che potrebbe essere opinabile per il mondo vegetariano, che sostiene una politica di abolizione totale della carne animale.
L’ipotesi paventata è però oggetto di critiche: fino a che punto, la conversione ad un consumo di massa di verdure e prodotti che emulano la carne – come il tofu – sono sostenibili da un punto di vista ambientale? La soluzione potrebbe essere l’equilibrio, con scelte consapevoli come l’acquisto di prodotti a chilometro zero ed un consumo ragionato di quei cibi di cui non riusciamo a fare a meno, che potrebbero creare un buona base su cui andare a lavorare nel tempo. Restiamo comunque in attesa di vedere l’evoluzione del mercato, che dal 2018 grazie ad un regolamento europeo, che attiva il pacchetto di norme preparato nel 2015 sui novel food permetterà la produzione e vendita degli insetti, nonché il loro commercio libero sul suolo Europeo.