L’emergenza Covid-19 ha letteralmente sconvolto la nostra quotidianità, stravolgendo abitudini e limitando libertà individuali di cui solo adesso, nel momento in cui vengono a mancare, si riesce a comprendere appieno il vero valore. La situazione sanitaria rappresenta indubbiamente la priorità in questi giorni difficili, è però bene considerare come anche la sfera economica sia di fondamentale importanza per un’analisi adeguata del periodo che stiamo affrontando.
Le drastiche, ma forse inevitabili misure adottate dal governo per mezzo dei DCPM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) che si sono succeduti nel mese di marzo hanno assestato un durissimo colpo all’economia italiana, ed ancor più ardua sarà la ripresa economica che attenderà il nostro paese nell’arco dei prossimi mesi. Le conseguenze generate dalla diffusione del Covid-19 sono anch’esse ormai di portata globale e si sono abbattute sui mercati internazionali come un vero e proprio tsunami che sta spazzando via miliardi di capitalizzazione, facendo registrare perdite in doppia cifra a tutte le principali Borse mondiali (il listino italiano è arrivato a perdere il 16,9% del proprio valore il 12 marzo scorso, maggior ribasso di sempre in una singola seduta). Sono state, a tal riguardo, riscontrate delle analogie con la crisi dei mutui subprime ed il crollo di Lehman Brothers del settembre 2008. Ma mentre nel 2008 ci trovavamo di fronte ad una crisi prettamente finanziaria, ora a preoccupare è il comparto manifatturiero, la cosiddetta ‘economia reale’, vittima di uno stallo forzato a causa del blocco totale posto in essere dai vari governi nazionali, che si stanno ormai muovendo sulla scia di un percorso sempre più condiviso e caratterizzato dalla sospensione totale di quelle che non vengono considerate ‘attività essenziali’ per l’interesse collettivo.
Il rischio di un’epidemia che fosse in grado di progredire molto rapidamente, diffondendosi in breve tempo a livello intercontinentale fino ad mettere a rischio i sistemi sanitari nazionali, era però già stato considerato da un’istituzione finanziaria sovranazionale: la Banca Mondiale.
La Banca Mondiale è un’organizzazione finanziaria, con sede a Washington, che si pone come obiettivo l’eliminazione dell’estrema povertà e la promozione di una crescita economica condivisa a livello globale, con particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo. Essa opera come una vera e propria cooperativa partecipata da 189 nazioni, già nel giugno 2017 aveva lanciato sul mercato particolari titoli obbligazionari per far fronte ad un eventuale rischio di pandemia, i cosiddetti ‘Pandemic Bond’. Queste obbligazioni rappresentano una vera e propria assicurazione contro l’emergenza sanitaria potenzialmente derivante da una crisi pandemica, e vanno a dare sostegno al Pandemic Emergency Financing Facility (PEF), attività organizzativa promossa dalla Banca Mondiale stessa, incaricata di incanalare i finanziamenti necessari ai vari paesi per far fronte all’emergenza. La PEF considera, nell’ambito della sua strategia di copertura, i sei virus che rappresentano la principale minaccia di pandemia, tra i quali è inclusa la famiglia dei Coronaviridae (tra questi, ad esempio, i virus responsabili negli scorsi anni della SARS e della MERS, e appunto l’attuale Covid-19). I finanziamenti potranno essere destinati ai singoli paesi colpiti solamente qualora venissero raggiunti predeterminati livelli di contagio e numeri di decessi, oltre al rispetto di altri parametri come la velocità del contagio stesso ed il superamento dei confini nazionali, tutte informazioni specifiche e dettagliate pubblicamente riportate sul report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). A tal proposito, condizione necessaria per lo sblocco dei fondi d’emergenza è la dichiarazione di pandemia, comunicata ufficialmente in data 11 marzo 2020, ma i meccanismi che danno il via al taglio del rimborso dei bond agli investitori sono talmente complessi che serve un’apposita società per certificarli, ovvero la statunitense Air Worldwide Corporation.
Entrando nel dettaglio, vediamo che sono state emesse due tipologie di titoli, con caratteristiche differenti: i titoli di Classe A, per un ammontare di 225 milioni di dollari, direttamente correlati alle epidemie di influenza e Coronaviridae, che pagano un tasso di interesse del 7,50%, ed i titoli di Classe B, per 95 milioni di dollari, che coprono un rischio maggiore (comprendente anche Filorividae, febbre di Lassa, febbre della Rift Valley e la febbre emorragica Congo-Crimea), per far fronte al quale è garantito un tasso di interesse decisamente più elevato, corrispondente al 12,10%. Entrambe le tipologie di titoli hanno scadenza 15 luglio 2020 e prevedono il rimborso degli investitori solamente nel caso in cui nessuno degli eventi in oggetto si sarà verificato nel suddetto arco temporale. Possiamo notare, quindi, come agli investitori che hanno scelto di scommettere su questi prodotti finanziari sia promesso un rendimento assai cospicuo, in relazione però ad un rischio altrettanto elevato. Rischio che proprio nelle ultime settimane ha preso forma in maniera sempre più netta, delineando un quadro dalle tinte ogni giorno più cupe.
Abbiamo visto come un’istituzione internazionale quale la Banca Mondiale si sia attivata in via precauzionale per cercare di affrontare una situazione di estrema emergenza come quella che stiamo vivendo in questi frangenti, ma lo scenario in cui ci troviamo a muoverci prevede anche e soprattutto misure e interventi molto decisi da parte dei rappresentanti dei singoli stati. Mai come oggi sentiamo la necessità di scelte coraggiose e condivise a livello europeo: solo così saremo in grado di ripartire e tornare a sperare in una ripresa che richiederà inevitabilmente molto tempo.
L’Unione Europea si trova probabilmente di fronte alla prima vera occasione per dimostrare la sua ‘unione’: se realmente stiamo combattendo una guerra, seppur contro un nemico invisibile, non vi è momento più opportuno per annullare definitivamente i confini e le differenze culturali, economiche e linguistiche che sono state spesso alla base di fratture insanabili anche tra membri della stessa società.
“Siamo sulla stessa barca, dobbiamo remare insieme”, per utilizzare le parole di Papa Francesco nella sua preghiera solitaria in piazza San Pietro: i nostri rappresentati politici, medici ed infermieri quotidianamente in prima linea ad operare in condizioni tali da mettere a repentaglio la loro stessa salute, tutti coloro i quali garantiscono, con la propria attività, la regolare erogazione dei cosiddetti servizi essenziali, ma anche tutti noi, costretti agli ‘arresti virali’ da quarantena.
Insieme siamo chiamati a fornire il nostro contributo, affinché il “ne usciremo più forti di prima” non rimanga solamente uno slogan, ma diventi la solida colonna portante su cui costruire un roseo avvenire.
E quindi, sì, usciremo a riveder le stelle.