Paolo Naldini, sguardo al 2022 di Cittadellarte: “L’arte, la forma più radicale di ricerca, è un diritto umano”
Che cosa abbiamo imparato nell'annata appena trascorsa? Qual è il bilancio sul 2022? In un gioco di specchi tra passato, presente e futuro, Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, ha toccato in una nostra intervista alcuni elementi e tematiche chiave della Fondazione Pistoletto, tra Accademia Unidee ("Siamo una comunità di pratica. Se al centro di Cittadellarte sta uno specchio, è proprio perché questo è strumento di ricerca, di speculazione e riflessione"), Biella Città Arcipelago ("Il cantiere biellese dell’Opera Demopratica ha individuato con coraggio un obiettivo ambizioso: le infrastrutture della vita sul pianeta, argomento ritenuto osceno per troppo tempo") e Biella Città Creativa ("Siamo giunti a un equilibrio dinamico con la proposta di un direttore operativo per l’Associazione che svolga anche funzioni di focal point Unesco"). Ripercorrendo alcune tappe del 2022 di Cittadellarte, andiamo a esplorare alcuni temi fondamentali per il singolo e la collettività intera.

Primo gennaio 2023, inizia oggi un nuovo capitolo del fiume della vita. La foce all’orizzonte è bagnata dall’ignoto. Se proviamo a scrutare in avanti nel tempo, la nuvole del futuro coprono il corso d’acqua e impediscono di coglierne i particolari. Si può, però, cambiare sguardo, dando potere all’immaginazione, entrando in una dimensione introspettiva. In un attimo l’acqua diventa limpida, la nebbia si dirama e lascia spazio a pensieri e suggestioni. Il processo che guarda al domani è intimo, avvolto in un suggestivo mistero che dona fascino all’incertezza. Se desideriamo dare una forma più definita al futuro, proviamo a guardare indietro. Riattraversiamo e riviviamo gli highlights, seduti al cinema dei ricordi. Riflettiamo. Pensiamo a quando siamo caduti. A quando abbiamo gioito. A cosa abbiamo provato, in ogni frangente. Così, possiamo vestire la muta dell’esperienza e potremo nuotare armoniosamente nelle acque del tempo.
Cittadellarte, dal canto suo, è pronta al futuro. Molte progettualità si svilupperanno, altre nasceranno, altre incontreranno ostacoli, altre ancora potranno avvalersi di inedite e preziose collaborazioni. Ma, sull’onda della metafora, abbiamo deciso di condividere e proiettare in queste righe il 2022 della Fondazione Pistoletto attraverso le parole di chi la dirige: Paolo Naldini. Abbiamo intervistato il direttore di Cittadellarte, che ha messo in luce e offerto una panoramica sull’annata appena trascorsa della realtà artistico-culturale biellese in un dialogo a tinte intime e allo stesso tempo (in)formali. Naldini, in questo rewind, ha così posto sotto i riflettori e fatto emergere l’identità della Fondazione Pistoletto attraverso riflessioni su Accademia Unidee, su Biella Città Arcipelago, su Biella Città Creativa, sull’Opera Demopratica e su parole chiave spesso legate tra loro: arte, scuola, sostenibilità, energia, acqua, formazione, alimentazione, accoglienza, pratiche e politiche.


Paolo Naldini.

Anche nel 2022 Cittadellarte si conferma una scuola: proseguono le lezioni delle triennali in Arti Visive per la Sostenibilità Sociale e in Moda Sostenibile e si è appena conclusa la terza edizione del Master in Design, creatività e pratiche sociali nato dalla collaborazione tra Politecnico di Milano e Accademia Unidee. Qual è il tuo bilancio da presidente dell’Accademia sull’anno che volge al termine?
Quando ci rendiamo conto che non conosciamo le risposte alle domande che ci facciamo, allora possiamo reagire in due modi: smettere di farci domande, oppure fare ricerca. La seconda strada ti porta a vivere ogni situazione della vita come un’occasione di apprendimento. In altri termini, non siamo più noi che andiamo a scuola, ma la scuola viene a noi, ci viene a cercare in ogni luogo in cui ci troviamo.
La prima strada, invece, quando rifiutiamo le domande, porta alla violenza. Perché se conviviamo con le risposte (predefinite) invece che con le domande (ogni volta diverse), allora finirà che le risposte dovranno essere imposte alle circostanze. Dovrebbe essere il contrario: le circostanze generano le risposte. Ma questa condizione in cui dobbiamo ‘trovare’ le risposte significa accettare l’incertezza, il mettersi in gioco, la possibilità di fallire. E questo inevitabilmente porta con sé l’emozione della paura. Il fatto è che molte persone hanno paura della paura, non la sanno sopportare e affrontare. Questo è uno dei più potenti mali degli umani. Rifiutare la paura porta molti a fingersi diversi da ciò che sono. Prendi i bulli o i teppisti, ad esempio: tendenzialmente sono impauriti e incapaci di affrontare le loro paure. Quando invece ci rendiamo conto che la paura è parte della vita e che ci sono mille modi per affrontarla e spesso superarla, allora ci mettiamo nella situazione in cui possiamo imparare ad affrontarla. È in quel momento che incomincia la scuola. La scuola è dunque figlia del coraggio di accettare i nostri limiti, ma anche del coraggio di volerli superare, senza paura di fallire.

Ora è evidente che dove c’è l’arte, ci sia apprendimento. L’arte, infatti, procede inventando, cioè cercando risposte nuove a domande che non vengono rifiutate, ma anzi accolte con piena adesione. Si prendono sul serio le domande che altri invece lasciano intoccate, magari fingendo che le risposte date in passato siano ancora pienamente valide. Ecco perché è naturale che Cittadellarte sia scuola. L’arte è ricerca. Ricerca delle risposte, ma anche delle domande. Sono d’accordo con il sociologo Appadurai nel considerare la ricerca un diritto umano. E personalmente penso che la forma più radicale di ricerca sia l’arte. Privare le persone dell’arte (di fare arte) è violarne la dignità di umani. Per questo costruire spazi e luoghi di apprendimento, o meglio: fare di ogni luogo uno spazio di apprendimento (come indica la visione alla base dell’Uffizio Ambienti di Apprendimento di Cittadellarte) è un programma civile e politico. Così, per tornare alla tua domanda Luca, gli studenti che vengono alla nostra scuola di Biella, si uniscono a noi che tutti, a Cittadellarte, siamo ricercatori e studenti. Anche perché se, come spiegato da Rancière ne ‘Il Maestro Ignorante’, si impara partendo dal non sapere, come potremmo imparare da dei maestri che hanno smesso di imparare, avendo smesso di non sapere?
Così, ogni anno più di cento studenti si aggiungono a noi studenti, in una comunità di pratica, quella di Cittadellarte, la cui pratica è appunto la ricerca. Se al centro di Cittadellarte sta uno specchio, è proprio perché questo è strumento di ricerca, di speculazione e riflessione. Si arriva allo specchio dove la realtà si mostra, se la stai cercando. Infatti, molte persone davanti allo specchio non imparano granché. Perché non stanno cercando. Hanno smesso di accogliere le domande. Lo specchio mostra le cose. È monstrum, appunto da mostrare. Per questo fa paura: il mostro ci mette di fronte a noi stessi e a qualcosa che non vogliamo vedere. E, per tornare da dove ero partito, molti di noi non accettano la paura. Dunque, smettono di imparare.

Il 30 ottobre 2021, durante la XXIII edizione della rassegna “Arte al Centro”, è stata inaugurata Biella Città Arcipelago Demopratico – sostenibilità e creatività in atto nel Biellese, mostra permanente sulle realtà sostenibili del territorio declinata sui 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Nel 2022 sono stati avviati e si sono sviluppati tavoli di lavoro multi-settoriali e sono stati inoltre proposti talk sui temi di acqua, educazione e nutrimento. Non solo: a ottobre sei stato relatore de “Dalla mappatura alla promozione e artivazione dei territori del contemporaneo”, una giornata di studi al Museo Archeologico Nazionale di Taranto, per presentare il case history di Biella Città Arcipelago Demopratico. Cosa rende il progetto un’opera civica, partecipata e collettiva?
Il cantiere biellese dell’Opera Demopratica ha individuato con coraggio un obbiettivo ambizioso: le infrastrutture della vita sul pianeta. L’energia, l’acqua, la produzione primaria, l’abitare… Le domande alla base di questa scelta sono quelle più immediate: da dove viene l’acqua che bevo e con cui mi lavo? Come si genera il calore che scalda la mia casa? Come si coltivano gli alimenti di cui mi cibo? In qualche modo, la modernità ci aveva abituati a non occuparci di queste cose, molto complesse, impossibili da conoscere totalmente perché raggiungere la conoscenza enciclopedica non era più immaginabile oramai. E poi ci sono i tecnici, i quali “ci avrebbero dovuto pensare loro”. Peccato però che questo programma si sia rivelato un’illusione e che abbia deresponsabilizzato i cittadini, lasciando i tecnici alle prese con dei problemi così vasti e interconnessi che nessuno di loro, nella separatezza dei saperi, poteva nemmeno affrontare. Le infrastrutture della nostra vita organizzata, dunque, sono state tolte dallo spazio della nostra considerazione e non era più lecito, ‘non era bene’, occuparsene. Erano diventati argomenti ‘osceni’, cioè fuori dalla scena. Come le domande negate per la paura di non avere risposte, le infrastrutture tecniche della vita non dovevano essere accolte. Tutto questo non fa che spingerci verso l’Antropocene senza nemmeno renderci conto di quanto stia accadendo. Dunque, Luca, occorre riappropriarsi delle infrastrutture, comprenderne le ecologie, i limiti, le interconnessioni e le sinergie. L’Opera Demopratica Biellese ha queste finalità. Per questo non può che essere civica e partecipativa. Abbiamo per esempio affrontato il tema dell’acqua, partendo con il progetto ‘S+T+ARTS4Water’ finanziato dall’Unione Europea, e la produzione di due opere – poi presentate alla rassegna ‘Arte al Centro di una Trasformazione della Società in senso Responsabile’, al Bozar di Bruxelles e a Rotterdam, oltre che nel simposio tenuto al Guggenheim di Bilbao, che hanno coinvolto durante le fasi di ricerca e produzione molti operatori dell’infrastruttura idrica antropica e naturale. Abbiamo esplorato laboratori analisi, letti di torrenti, ghiacciai, stazioni climatologiche, depuratori… insomma, l’osceno è stato riportato al centro della scena

Il 2021 è stato un anno chiave per Biella Città Creativa, che ha ad esempio proposto ‘Arcipelago, Festival della Creatività Sostenibile’. A luglio scorso è invece stata annunciata la frattura tra il Comune e gli allora soci dell’Associazione Biella Città creativa Unesco, ossia Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Unione Industriale di Biella, Fondazione BIellezza, Confartigianato Biella, Cna Biella, con le dimissioni che hanno scatenato un terremoto politico e mediatico. A inizio dicembre la novità: è stato trovato l’accordo tra le parti coinvolte per la prosecuzione del progetto ed è stata manifestata la volontà da parte di tutti i soci che avevano presentato le dimissioni di ritirarle. Dopo gli ultimi sviluppi quale futuro attende Biella Città Creativa Unesco?
Uscire dai mali dell’Antropocene si può fare solo se pubblico e privato trovano sinergie. Non si tratta soltanto di due vuote definizioni: il pubblico risponde al pubblico interesse e, nelle democrazie moderne, alla rappresentanza attraverso il voto a suffragio universale, ciò che corrisponde al concetto rousseauiano di volontà generale. D’altro canto il privato, o i privati, se pure possono perseguire il bene comune (rara ma non impossibile evenienza) conseguono a dinamiche fondate sulla libera iniziativa e sulla proprietà privata. Si costituiscono, cioè, sulla volontà di alcuni. Il pensiero liberale si è interrogato sui rapporti possibili o auspicabili tra queste due sfere e in particolare Habermas e Rawls hanno elaborato dagli anni ‘70 a tutt’oggi pensiero politico civico e creativo. L’azione comunicativa fondata sulle dinamiche discorsive progetta uno spazio in cui il confronto così come il conflitto siano agiti in funzione dell’obbiettivo comune di perseguire le scelte più razionali e universalizzabili. Questo spazio dialettico prenderebbe il posto dell’azione strategica, che invece vede ciascuna parte o partito cercare soltanto la massimizzazione della propria utilità personale. È purtroppo facile constatare come sia proprio la seconda prospettiva ad essersi oggi quasi dappertutto realizzata a discapito dell’avverarsi di società democratiche e democreative ricorrendo a un neologismo che indica la dimensione co-creativa della vita politica. Diventa perciò ancora più urgente esplorare e propugnare modelli e metodi che facciano incontrare pubblico e privato e li orientino verso inediti equilibri dinamici. Il conflitto è dunque essenziale per l’emergere di ecosistemi evolutivi, come il calore dello sfregamento tra stecchi e sterpi è necessario per produrre il fuoco. Così è stato, Luca, nella vicenda dell’Associazione Biella Città Creativa. Abbiamo avuto bisogno di molta visione e determinazione per superare ostacoli e impedimenti strutturali, cioè dovuti alle diversità fisiologiche tra la compagine politica rappresentativa pubblica e quella privata. Siamo giunti a un equilibrio dinamico, appunto, con la proposta di un direttore operativo per l’Associazione che svolga anche funzioni di focal point UNESCO.

Prossimamente si potrà realizzare questa convergenza, grazie alla disponibilità del Comune di procedere in tal senso, come proposto dai soci privati. Questo è uno snodo essenziale e costituisce una condizione che finalmente potrà dare concretezza al ruolo di coordinamento dei diversi cantieri progettuali individuati nel dossier UNESCO e peraltro già operativi, a cominciare proprio da quelli che come Cittadellarte sviluppiamo, con la formazione (i nostri corsi di diploma triennali in Moda Sostenibile e Arti Visive per la Trasformazione Sociale che stanno avendo successo tra gli studenti), i laboratori creativi Arte e Impresa con CirculART (che coinvolgono 14 imprese della filiera tessile e 4 artisti designer internazionali) e i Forum della Sostenibilità con Biella Città Arcipelago (che ha coinvolto più di 100 organizzazioni del Biellese in processi di co-progettazione di un futuro sostenibile e prospero), solo per menzionare i principali. Le premesse ora sono appropriate per un 2023 di svolta nella gestione della designazione UNESCO. Anzi: ci sono le circostanze perché la comunità del Biellese sia finalmente nelle condizioni di partecipare attivamente a questo strumento di sviluppo territoriale che l’UNESCO ha realizzato già in molte località del mondo. Siamo la sede mondiale, vorrei dire la capitale, del Terzo Paradiso, che infatti è stato scelto come simbolo della designazione di Città Creativa. Si tratta allora di ‘walk the talk’, come si dice in inglese, cioè far seguire alle parole i fatti. La buona volontà del sindaco e dei soci privati testimoniano la determinazione a procedere lungo questa strada. I prossimi mesi diranno se riusciremo come associazione a coordinare lo sviluppo integrato ed efficace dei progetti presentati nel dossier di candidatura, a coinvolgere i cittadini e le loro organizzazioni a diventare portatori della designazione attivandosi come sostenitori e co-realizzatori, a intercettare progetti e risorse finanziarie ministeriali ed europee per dare maggior respiro, forza, visibilità ed efficacia a quello che oggi è un riconoscimento formale, a cui deve seguire un programma di territorio concretamente realizzato nel modo più allargato e inclusivo possibile.


Paolo Naldini al meeting annuale degli ambasciatori Rebirth/Terzo Paradiso.

Il progetto Rebirth/Terzo Paradiso riflette l’identità glocal di Cittadellarte: ambasciate e ambasciatori di differenti professionalità, ubicati sia a Biella sia in Italia così come in ogni parte del mondo, s’ispirano al simbolo trinamico per promuovere e curare best practices ponendo l’arte in relazione virtuosa con ogni ambito del tessuto sociale di riferimento. Il 17 e il 18 dicembre, inoltre, negli spazi della Fondazione Pistoletto si è tenuto il meeting annuale degli ambasciatori Rebirth/Terzo Paradiso. Citando il titolo di uno degli incontri in programma nella due giorni, come si passa dalle best practices alle best policies?
Le politiche aggregano le pratiche, che nascono e si diffondono nel tessuto sociale prima e senza che vi siano riconoscimenti giuridici formali. Le pratiche, però, anche se buone, da sole non bastano a portare impatti e cambiamenti significativi e sistemici. Come fare dunque? Possiamo noi come cittadini, come operatori culturali o imprenditori o docenti, giornalisti, sportivi, amministratori, medici, fare politiche?
Politico è ciò che riguarda la ‘polis’, la comunità organizzata dei cittadini, abitanti che riconoscono – e a cui è riconosciuta – un’appartenenza al luogo come se si trattasse di una immediata madre patria. Un’identità che spesso precede e talvolta supera quella nazionale. Le politiche propriamente intese corrispondono alle policies, usando un termine inglese generalmente diffuso. Le definizioni più evidenti da una breve ricerca online sono “a course or principle of action adopted or proposed by an organization or individual (Oxford)” e “a set of ideas or a plan of what to do in particular situations that has been agreed to officially by a group of people, a business organization, a government, or a political party (Cambridge)”.

In entrambe le definizioni compare un termine essenziale per affrontare la domanda che poni, Luca, in merito a come passare dalle pratiche alle politiche: questo termine è organizzazione. Questa forma di aggregazione sta tra l’individuo e l’intera società. Ve ne sono decine, forse centinaia di tipi diversi. E ciascuno di noi appartiene a più di una simultaneamente. Nella mia esperienza personale e professionale, l’organizzazione di maggior efficacia è quella in cui le persone si trovano per lavorare, per fare insieme, non soltanto per fini economici, anche per hobby o passioni o cause civili e persino religiose. Sono convinto che l’organizzazione sia la legge primaria che opera sulle persone all’interno della società, qualsiasi società, non solo quelle occidentali. Tra tutti i tipi di organizzazione, il più efficace è quello fondato sul lavoro (e il co-lavoro, cioè la collaborazione). Queste organizzazioni costituiscono le comunità di pratica (come definite dal sociologo francese Wenger) e personalmente penso che siano i neuroni del cervello sociale. Se esse adottano una visione o una griglia di valori di un certo tipo, l’intera società assumerà la direzione impressa da questi soggetti. In effetti le organizzazioni sono i più efficaci micro governi di ogni società. Persino sotto dittature come comunismo e fascismo, la vita delle persone è enormemente condizionata dalle decisioni assunte in seno a queste comunità di pratica. Naturalmente ogni persona subirà l’influsso della comunità a cui appartiene direttamente e poco o nulla dalle altre. Per questo motivo il potenziale di reale cambiamento del mondo risiede nell’impatto aggregato di tutte o quasi le organizzazioni esistenti. Come sai Luca, e come sanno migliaia di persone con cui abbiamo lavorato a Biella come a Cuba, a Melbourne, Roma, Milano o Ginevra, abbiamo sviluppato un metodo pratico per raggiungere questo risultato ambizioso: l’arte della demopraxia. In particolare, l’aggregazione degli impatti delle singole organizzazioni abbiamo pensato di ottenerlo attraverso l’adozione di un ‘quadro di riferimento delle priorità operative’: l’Agenda delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile per il 2030. Fare adottare a centinaia di comunità di pratica l’Agenda 2030 e i suoi Obbiettivi (Sustainable Development Goals) è una policy. O forse la policy madre da cui discendono molte altre possibili policies sviluppate di volta in volta in base al contesto e agli attori specifici.

La risposta alla tua domanda, dunque Luca, è: come passare dalle pratiche alle politiche? Attraverso l’arte della demopraxia. Sappiamo che si tratta di un metodo non prescrittivo e non rigido, piuttosto è un canovaccio, un approccio aperto, fondato sull’arte e l’impegno civico dei partecipanti che quindi lo ri-creeranno ogni volta diverso.
Per esempio, qui nel Biellese, la demopraxia ha preso la direttrice disegnata dall’immagine-concetto guida della Città Arcipelago. Come previsto dal canovaccio, abbiamo realizzato la mappatura, la mostra dispositivo, il forum e il cantiere. E come era prevedibile, il capitolo biellese è diverso dagli altri già avviati. Per esempio: il forum si è sciolto in diversi gruppi di azione (o tavoli) costituiti ‘ancor prima dell’evento plenario’, perché il regista (che sarebbe l’ambasciata locale del Terzo Paradiso, in questo caso Cittadellarte stessa) ha avviato i lavori in alcuni tavoli già dai primi passi: energia, tra fonti rinnovabili, elettrificazione e comunità energetiche; acqua, per l’accesso e la gestione dell’infrastruttura; alimentazione, per una produzione sana e locale; formazione, per comunità e territorio educanti; accoglienza, per un turismo lento e una co-creazione del paesaggio.
Dunque, sappiamo che è tempo di passare dalle pratiche alle politiche. Il canovaccio della demopraxia è il metodo che stiamo prototipando e sviluppando insieme, come community di social innovation designers, di social sculpture locale e globale.
In una frase: passare alle politiche non vuol dire abbandonare le pratiche, ma organizzarle nella connessione e nella sinergia orientandole verso un obbiettivo chiaro, identificato, comune.

Quale effetto avrà la crisi energetica globale generata dal conflitto russo-ucraino sulle urgenze climatiche? La sostenibilità ambientale sarà tematica non più prioritaria a livello socio-politico o il minor utilizzo di combustibili fossili contribuirà a innescare una sensibilizzazione responsabile sulla questione accelerando la transizione verso un sistema più etico?
Anche qui assistiamo alla capacità di noi umani di vedere le cose in modo diverso. Come accenni tu, Luca, alcuni sono dell’idea che avremo una maggiore convinzione nell’utilità delle fonti rinnovabili. Ma per alcuni altri invece è il momento di tornare al carbone e di potenziare il petrolio, le trivellazioni e addirittura il fracking. E poi ci sono sempre i fautori del nucleare che ogni volta annunciano una nuova versione delle loro centrali che sarebbero assolutamente sicure e le cui scorie non dovrebbero più preoccupare nessuno. La massima ‘follow the money’ sarebbe anche in questo caso, probabilmente, il modo più efficace e rapido di procedere nella discussione. Ma non si può fare perché nessuno o quasi svela le fonti del proprio reddito. Nel nostro caso è evidente: lavoriamo per un’organizzazione che da sempre propugna la sostenibilità. Ma è anche la stessa che ha creato e diffonde il metodo della demopraxia e il principio della trinamica. Dunque, se personalmente sono intuitivamente convinto della urgenza di uno spostamento epocale dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, pure penso che questo spostamento si debba fare passando per spazi di conversazione, la democrazia deliberativa discorsiva di cui accennavo nella risposta precedente. Anche perché è innegabile che l’invasione russa dell’Ucraina abbia provocato una situazione insostenibile per molte aziende manifatturiere e che sia urgente una soluzione immediata. Non sono in grado di darti una risposta che pretenda l’universalità. Sono però convinto che il metodo per raggiungere un risultato del genere sia proprio una forma di democrazia come quella che stiamo sperimentando a Cittadellarte con l’Arte della Demopraxia. In questo caso è evidente che essa non si potrebbe sostituire alla politica istituzionale, ma con questa dovrebbe dialogare, apportando contributi concreti e circostanziati che gli amministratori pubblici dovrebbero assumere come elementi fondanti delle loro deliberazioni. Altrimenti anche in questo caso avremo tutt’al più la dittatura della maggioranza, ma più probabilmente una forma dissimulata di oligarchia, dove le lobbies invisibili e magari non sempre legittime orientano il lavoro dei parlamenti e dei governi. Ne abbiamo purtroppo evidenza sempre più spesso.


Paolo Naldini.

Paolo, hai più volte raccontato un aneddoto familiare su tua figlia Ginevra, relativo a un episodio in cui lei, ancora bambina, si rivolse a te rivelando che amava “imparare cose nuove”. In un’inversione di ruoli, cosa hai imparato tu nel 2022?
Oh, così tante cose ho imparato quest’anno che è difficile sceglierne una. Dopo averci pensato un po’ su posso scegliere questa, che mi ha insegnato una persona straordinaria, presentatami da una biellese amica di Cittadellarte, Elena Schneider: questa persona ha comprato una famosa barca che aveva forse per prima girato il mondo grazie all’energia solare, e l’ha destinata a un nuovo periplo dei sette mari, per così dire: da Osaka, da cui è partita quest’anno, a Osaka dove tornerà nel 2025 per prendere parte all’EXPO. Bene, Gunter, così chiama il mio maestro di cui ti voglio parlare, Gunter Pauli, insegnerà alle popolazioni delle coste dell’Africa, dell’Asia e delle Americhe la pesca sostenibile. Questa espressione sembra un ossimoro perché sappiamo che nessun tipo di pesca è sostenibile. E comunque la massima parte dell’impatto della pesca viene ovviamente dall’industria del pesce, con il 90% di scarto del pescato e l’abbandono o la perdita delle reti di nylon o altri polimeri in mare a formare i continenti di plastica. Gunter a sua volta ha imparato questa lezione da un altro maestro, da una balena. Lui infatti è l’inventore della Blue economy, che tramite la tecnologia unisce economia e ecologia e per fare questo spesso la tecnologia della blue economy si ispira all’intelligenza degli animali e delle altre forme di vita sul nostro pianeta. La balena maestra in questione pesca in un modo molto particolare, non solo lei per la verità, sono in genere i cetacei a comportarsi così. Allora: una volta individuato un banco di pesci, nuotano in profondità fino a raggiungerli e da sotto di loro cominciano a ruotare in ampi cerchi emettendo bolle d’aria. Insieme le balene formano così un cilindro d’aria con al centro il banco di pesci. Quindi risalgono verso la superficie con le fauci aperte e ingoiano il loro pasto. Ma perché non scappano i pesci? Perché le bolle formano un muro per loro difficilissimo da attraversare. Allora, mi dirai Luca, dove è la sostenibilità di questa forma di predazione? Beh, non tutti i pesci rimangono intrappolati; c’è un tipo di pesce che penetra facilmente il muro di bolle d’aria. Ed è un pesce molto speciale. Ha un peso più alto dei suoi compagni. E sai perché? Perché è incinto. O incinta. Quindi il banco di pesci prosegue nelle nuove generazioni, pure se decimato dalla predazione organizzata da questi giganteschi re degli oceani. Io sono vegetariano, come sai, da molti anni e felicemente lo resto, e sappiamo che ovviamente niente è più sostenibile del vegetarianesimo: si sa che se diventassimo tutti vegetariani o addirittura vegani risolveremmo in un solo colpo una incredibile gamma di problemi altrimenti irrisolti. Ma imparare da Gunter questa cosa mi ha dato entusiasmo. Sì, è bello imparare cose nuove.


Foto di Pierluigi Di Pietro.