“Ho i capelli rossi come i rubini sintetici che produceva lo stabilimento di mia nonna nella Foresta Nera. Nata alle pendici del Sacro Monte Calvario, ho lasciato presto la Val d’Ossola per studiare arte a Firenze, Atlanta, Nizza e Londra. Alla fine mi sono trasferita definitivamente a Torino, dove vivo e lavoro come illustratrice”. Da queste poche righe, scritte nel sito web dell’artista, si ha un quadro generale di chi sia Elisa Seitzinger: l’illustratrice si è raccontata ai nostri microfoni, svelandoci curiosità e la sua visione dell’arte; un percorso attraverso le sue opere alla scoperta dei relativi significati e delle forme espressive adottate. Nel viaggio artistico, un’impronta che accomuna molte illustrazioni è il simbolismo. Anche il Terzo Paradiso, in questo contesto, ha trovato spazio in uno dei lavori di Elisa: scopriamo come.
Sei una illustratrice: perché la scelta di questa forma d’arte? Cosa ti permette di esprimere?
Sono una illustratrice e diventarlo è stato un percorso più che altro legato alla mia naturale propensione al disegno come media espressivo. Se l’arte è principalmente un tipo di linguaggio, disegnare è l’azione per me più congeniale per dare una forma ‘concreta’ ai miei pensieri e rimanere in contatto con la mia identità.
Nel tuo sito web, spieghi che con le tue opere vuoi “Rendere visibili storie, personaggi, ma anche concetti astratti attraverso simboli, come fossero amuleti che svelano significati reconditi”. Ci spieghi quest’ultimo concetto?
Sì, i simboli per me sono il corrispettivo ‘bidimensionale’ di un amuleto magico. Sono ricchi di fascino perché la loro essenza ancestrale perdura nel corso della storia dell’uomo e, nonostante ci possano essere dei mutamenti a seconda delle epoche, questi mantengono un nucleo di significato universale a prescindere dal contesto; per questo sono oggetti formali perfetti e sintetici, plasmabili e immutabili, a volte ambigui, ma sempre attuali o attualizzabili.
Hai uno o più artisti ai quali ti ispiri?
No, tendo a ispirarmi più che altro a codici stilistici, più che a singoli artisti. Per esempio, la mia attenzione è rapita dall’arte medievale sacra e cortese, dalle vetrate delle cattedrali gotiche ai codici miniati, dalla pittura dei primitivi italiani e fiamminghi, dalle icone russe e dai mosaici bizantini, dall’iconografia esoterica, dai tarocchi, dagli ex-voto, ma anche da tutta l’arte classica e dall’arte visiva degli anni ’20 e ’30. Anche l’arte contemporanea m’interessa moltissimo, ma per ispirarmi sento la necessità di volgere lo sguardo al passato.
In uno dei tuoi lavori è presente un Terzo Paradiso. Ci illustri le peculiarità dell’opera?
Tempo fa mi era stata commissionata da due padri un’opera da dedicare ai loro bambini. Ho deciso di disegnare un trittico con delle divinità pagane, in sostituzione ai santi protettori: Apollo, dio del sole, delle arti, della divinazione; Artemide, dea della caccia, della natura selvaggia, della luna crescente; Astrea, dea delle stelle, della purezza, dell’equità. Ho scelto queste figure perché a ciascuna di loro sono legate delle caratteristiche che mi ricordavano le parole indicate dai papà per descrivere i loro tre figli.
Poi ho aggiunto i seguenti dettagli: un elemento botanico legato all’etimologia dei nomi, un minerale in funzione di amuleto, l’heliolite, l’ametista, l’acquamarina e un dettaglio della mitica Piedra del Sol, un ragno portafortuna e un Terzo Paradiso.
Cosa rappresenta per te il segno-simbolo di Michelangelo Pistoletto? A cosa è dovuta la scelta di inserire il simbolo trinamico nel tuo trittico?
Ho scelto il Terzo Paradiso perché è il simbolo contemporaneo che indica un’epoca nuova in cui uomo, natura e tecnologia trovano finalmente un equilibrio armonico. Quale miglior auspicio per un bambino che dovrà edificare una società basata su questo equilibrio per garantirsi la sopravvivenza e la pace?
Il Terzo Paradiso, nello specifico, l’ho inserito nella mia opera abbinata ad Astrea. Quest’ultima è la figura mitologica che prima scese sulla Terra nell’età dell’oro diffondendo sentimenti di bontà e giustizia, poi, disgustata dalla degenerazione morale dell’umanità, si rifugiò nelle campagne. Giunta l’età del bronzo, infine, ritornò in cielo sotto forma di costellazione.
Il simbolismo, nei tuoi lavori, assume un ruolo da protagonista. Quali sono le tematiche che proponi e metti in luce con le tue opere?
A parte il lessico di simboli sconfinato che mi piace scoprire quasi ogni giorno, i miei soggetti ricorrenti sono in primis le figure umane, in particolare quelle femminili. Ho una predilezione per disegnare volti ieratici, senza o con troppi occhi. E poi animali, meglio se ibridi, fantastici o mostruosi, ma mi piace anche il mondo botanico. Se posso, evito le prospettive corrette e i mezzi di trasporto. In fondo, sono una creatura originaria delle montagne, anche se vivo in città. Poi bisogna fare una distinzione tra i miei progetti d’arte personali e i lavori su commissione.
Ovvero?
Ho scoperto che la riconoscibilità di uno stile garantisce un certo grado di libertà anche nei settori più commerciali, questo in riferimento alla scelta dei soggetti e le tematiche da affrontare. Non mi è mai capitato, infatti, che qualcuno mi chiedesse di operare su argomenti poco nelle ‘mie corde’. Il rovescio della medaglia è l’incessante variazione di un determinato tema, come quello dei tarocchi (scherzo, mi piacciono troppo per stancarmene!).
In genere amo esasperare i lati più grotteschi del genere umano oppure, al contrario, cercare di immortalarne le caratteristiche più spirituali e auliche. Non credo che esista un buono e un cattivo, ma sicuramente esiste un bello e un brutto e io sono affascinata da entrambi questi aspetti.
Per Pistoletto, l’artista deve avere una responsabilità sociale, ovvero quella di innestare una trasformazione responsabile proprio attraverso l’arte. Cosa ne pensi di questa visione? Qual è, per te, il ruolo dell’artista?
Sono d’accordo, ma io ho una visione della società piuttosto cinica. Non credo nei grandi ideali di massa perché, purtroppo, storicamente non hanno mai funzionato. Sono convinta, però, della forza del singolo individuo e della potenza del cambiamento di ciascuno: solo da una presa di coscienza individuale e senza condizionamenti esterni si possono, forse, cambiare le cose (o almeno quelle che ci riguardano da vicino). Per questo mi limito a osservare e a restituire la mia visione del mondo. Potrei affermare che il mio ruolo sociale, in questo caso, è aiutare a far cadere il velo di Maya che quasi sempre abbiamo davanti agli occhi. L’artista ha sicuramente un ruolo sociale e l’illustratore, a volte, è molto vicino alla figura dell’artista. In altri casi, invece, è decisamente più al servizio di scopi commerciali, ma non meno di certi artisti comunque…