CUCULA: sposare il design con l’integrazione
"Vogliamo cambiare l'immagine dei rifugiati, dando loro un ruolo attivo nella società". Jessy Medernach, co-fondatrice di CUCULA, racconta come la sua impresa integri i migranti grazie a laboratori incentrati sull'autoprogettazione di sedie e mobili.

Costruire oggetti di design di qualità permettendo ai migranti di lavorare: questa è l’attività che si è sviluppata grazie a CUCULA – Refugees Company for Crafts and Design, un’impresa nata a Berlino tre anni fa. CUCULA è una società giovane che lavora per l’inserimento dei rifugiati in Germania e, nello specifico, si occupa di preparare programmi educativi fornendo un atelier dove i migranti possono lavorare.

Anche Cittadellarte si è interfacciata a questo programma: ospita in queste settimane il laboratorio di autocostruzione, curato da Mattia Paco Rizzi e da due ragazzi di Cucula. Si tratta di Malik Agachi e Yousuf Karim, due tra i primi giovani che hanno lavorato al progetto migliorando le loro competenze nel campo. Ora, insieme ad altri esperti, guidano i corsi.

In occasione del laboratorio, Jessy Medernach, co-fondatrice dell’impresa insieme a Corinna Sy e Sebastian Däschle, è venuta alla Fondazione Pistoletto per conoscere Cittadellarte e vedere da vicino l’iniziativa. Jessy ci ha raccontato la storia del sodalizio: “Tutto è iniziato tre anni fa. A Berlino, visto la massiccia presenza di migranti nelle strade, si manifestava spesso per cercare una soluzione al degrado in cui si trovavano. I rifugiati che venivano dall’Italia, infatti, si trovavano in condizioni riprovevoli. Così – racconta – la direttrice Barbara Meyer del centro culturale Schlesische 27, ha cominciato a realizzare dei workshop per coinvolgere i ragazzi in questione”. Grazie al movimento di protesta e al centro culturale, si è creato un gruppo di lavoro multidisciplinare. “La direttrice è stata l’istigatrice del progetto CUCULA – afferma Jessy – che ha poi preso il via con me e gli altri fondatori. Barbara intraprese anche una relazione lavorativa con Cittadellarte, grazie a un contatto con Juan Sandoval“.

L’impresa è cominciata con le vendite online, facendo promozione sui social e con una campagna di crowdfunding; tutti ingredienti decisivi che hanno fatto sì che diventasse un nuovo marchio di design. Il nome stesso, CUCULA, è evocativo: tradotto dalla lingua Hausa, diffusa in Mali e in Nigeria, significa “Unire e costruire insieme”.

La ragazza continua illustrando la loro mission: “Con questo progetto modello vogliamo cambiare l’immagine dei rifugiati, dando loro un ruolo attivo nella società. Partendo dalle tecniche del designer Enzo Mari, i migranti lavorano utilizzando un modello di autoprogettazione, cioè realizzano oggetti con le proprie mani. Modificano leggermente il design – prosegue – aggiungendo dei pezzi di storia all’interno delle creazioni”. Fu di Malik l’idea di inserire nelle sedie che realizzarono dei pezzi di legno provenienti dalle imbarcazioni; le stesse con le quali lui e altri compagni attraversarono il mar Mediterraneo. Frammenti di storie riguardanti fughe, guerra e fame. “C’è una serie di mobili e sedie chiamati ambasciatore – continua Jessy – perché trasmettono un messaggio che racconta il passato dei migranti”.

Le operazioni di CUCULA non si riconducono solo alla lavoro, ma anche alla formazione. “A Berlino organizziamo tantissimi corsi professionali teorici o pratici – spiega Jessy – e nei laboratori le persone passano da uno stato passivo a uno attivo, cioè producono qualcosa con valore, che poi viene venduto. Nel migliore dei casi, per i migranti partecipanti, si può prospettare un lavoro. L’aspetto pratico, inoltre, è legato a quello economico: la vendita dei mobili, infatti, ci permette di essere indipendenti rispetto alla richiesta di sovvenzioni di beni pubblici”.

La co-fondatrice del progetto continua parlando di educazione professionale: “In Africa chi ha esperienza decennale non ha bisogno di dimostrarlo; in Europa, invece, abbiamo bisogno di certificati che evidenzino le esperienze di ognuno. A questo proposito – conclude – insegniamo questi aspetti del ‘mondo occidentale’ ai ragazzi. Prepariamo, inoltre, un portfolio personalizzato con tutte le creazioni e un curriculum vitae con le varie competenze”. Anche alla fine del laboratorio di autocostruzione, infatti, verrà rilasciato un certificato a tutti i partecipanti. Si prospetta un nuovo inizio anche per i “migranti biellesi”.