Tbilisi: momenti e monumenti
Demopraxia, sogni, l'arte e l'artista Zurab Tsereteli: Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte, nelle vesti di inviato del Journal mette in luce suo viaggio a Tbilisi con Armona Pistoletto, responsabile Ufficio Nutrimento di Cittadellarte. Immergiamoci a nostra volta nell'esperienza nella capitale della Georgia attraverso le visite, l'analisi e gli incontri di Naldini.

Soviet Occupation è una mostra al Georgian National Museum, Tbilisi, che racconta gli eccidi e la metodica epurazione che i sovietici hanno condotto in Georgia tra il 1920 e il 1989. Quasi 900mila morti, cifra che include approssimativamente (approssimare la morte è possibile con l’aiuto della statistica) 400mila vittime della Seconda Guerra Mondiale, conflitto in cui l’Unione Sovietica portò il piccolo stato caucasico che si era da poco liberato del giogo ottomano. Rimane tuttora, per la verità, l’inquietante occupazione dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud da parte delle truppe di Putin. Una sorta di libertà vigilata, dunque, come si conviene a chi abbia dei trascorsi pericolosi, oppure si trovi per ragioni varie, ad esempio puramente geografiche, in posizione troppo strategica perché venga lasciato, letteralmente, in pace. Entrambe le versioni pare si addicano a questa gente fiera e laconica, quasi brusca, fino a quando il vino, da loro ‘inventato’, non ne accenda l’indole, e scateni ad esempio le atletiche danze nel mondo famose.


L’aeroporto di Tsibilisi con evidenti tracce dell’esperienza sovietica.

Vista della città di Tbilisi e i suoi landmark urbanistici.

Dall’aeroporto si giunge in città percorrendo una moderna autostrada che sfocia in… George Bush Street. E si è accolti da un portentoso monumento, una colonna trionfale, in cima alla quale sta il dorato Liberatore. Provenendo da Dammam, mi chiedo se la vittoria che si celebra qui sia la stessa il cui trionfo abbiamo trovato rappresentato in Arabia Saudita. L’agiografia di stato tende ad assumere le stesse vesti pur in contesti diversi. Ma forse, in effetti, in questo caso corre qualcosa di più che una velata convergenza tra il petrolio saudita di Aramco e la libertà di Bush. E l’arte? Abbiamo lasciato Dammam sotto l’egida di Ithra, con le sue ali di ecologia e immanenza emanate dalla spiritualità dell’arte moderna. Dunque, ancora risiede in noi la domanda: perché l’arte? Proprio l’arte, viene ora e qui a suggellare vittoria? Il destino vuole che l’artista autore di quell’aulico omaggio monumentale a Bush sia proprio chi ci accoglierà in questo blitz georgiano; per interposta persona, ossia per via del suo nipote, direttore del Museo MOMA Tbilisi, nome che inganna chi pensi vi siano connessioni ufficiali con quello di New York, l’altro MoMA
Zoran Tsereteli è personaggio da film. Self made man, vanta una biografia impressionante. Il successo non ha trascurato questo uomo di media, se non bassa statura, dal volto gioviale, che iniziò in Georgia la sua carriera come studente di belle arti ai tempi in cui gli artisti rischiavano di essere iscritti nella lista dei prossimi a essere fucilati.


The Concert Hall di Massimiliano Fuksas.

Non a pochi toccò quella sorte. La loro autonomia intellettuale non era ben vista dagli occupanti. Tsereteli fin da giovane, negli anni ’60, coltivava una vena monumentalistica. Oggi il suo capolavoro è uno di quei landmark che suggellano lo status di città moderna, liberale, attrattiva, che tutte vogliono. Ci troviamo così, trasportati da una lussuosa Audi che sfreccia per le strade come se inseguita da efferati persecutori, di fronte a un incrocio tra Stonehenge e il tempio di Luxor. Gigantesche colonne in cemento armato, poste sul cucuzzolo di una collina che guarda sulla piana di Tbilisi. Quel portentoso tempio proietta la sua ombra, o la sua luce, sul quilt urbano di chilometri quadrati, ogni pezza un bastione di edilizia brutalista sovietica, a perdita d’occhio, come uno stormo di cemento in volo alla cui testa sta un meraviglioso edificio alato che ricorda l’arditezza di Nervi e la realtà di Corviale.
Tsreteli ha iniziato questa fatica alla fine degli anni ’70, dunque passando indenne alle purghe mai davvero cessate. Più che indenne sembrerebbe averle attraversate con grande successo; nel ’63, spiega una eloquente didascalia nel Museo Zurab Tsereteli MOMA, è nominato presidente della Commissione Monumentale del Sindacato degli Artisti di Georgia. Quindi è incaricato di decorare gli interni di numerose ambasciate degli USSR nel mondo. Nel ’90 la sua opera dall’eloquente titolo (dati i tempi), Il bene sconfigge il male, viene installata nel parco delle Nazioni Unite di New York. Nel ’97 è nominato Presidente dell’Accademia delle Arti della Russia. Dona nel ’99 un corpo di opere del XX secolo al neonato Museo d’Arte Moderna di Mosca. Nel 2012 fonda dunque il suo MOMA Tbilisi. Nel 2014 a Notre Dame de Paris è collocata la sua opera monumento a Giovanni Paolo II. Nel 2018 quella dedicata a Nureyev, posta a Kazan. Nel 2019 Saatchi & Saatchi gli dedica una personale.


Il monumento ‘Chronicals of Georgia’ di Zurab Tsereteli.

Paolo Naldini e Armona Pistoletto (il primo e la terza nella foto, da sinistra) con la curatrice e la responsabile delle public relation del Tsereteli Museum of Modern Art, rispettivamente la seconda e la quarta nella foto.

Ci siamo dilungati in questa elencazione per dare evidenza di quello che si potrebbe chiamare un percorso artistico integrato nei perigliosi mari della società russa negli ultimi 50 anni. A condire questa tratteggiata biografia di gustose perle, ci si imbatte nel corso della visita al Museo, come nello sfogliare il libro biografico, in decine di fotografie che ritraggono l’artista al fianco di illustri personaggi: da Putin, come è a questo punto prevedibile, a Clinton e Bush, e poi Sofia Loren, Mastroianni, il Barone de Rothschild, Cesare Romiti (lo riconosciamo noi e lo spieghiamo alla vice direttrice del Museo che non ci sembrava del tutto certa dell’identità del personaggio), Gerard Depardieu, Richard Gere… molto profonda l’amicizia con Chaplin e soprattutto sua figlia Geraldine. Dicono che Giotto fosse prima di tutto un grande imprenditore. Per non parlare di Leonardo e la sua capacità di coltivare la committenza. Certo molti artisti (pure grandi) sono morti in povertà, ma non pochi hanno trovato modi di coniugare la propria arte con lo spirito dei tempi e con gli interessi dei vincitori. Zurab Tsereteli ha a disposizione centinaia, forse migliaia di metri quadri di placche di bronzo, per rivestire i pilastri di cemento armato del tempio sulla collina di Tbilisi. Decide, come è inevitabile, di raccontare una storia, su quelle placche. Rappresenta tre uomini, riprodotti a dimensione titanica, sulla facciata principale del monumento, non ancora terminato del tutto. A destra un re, fondatore della identità georgiana, vissuto nel XII secolo, difensore del cristianesimo: in mano regge un edificio, forse la città, forse una chiesa. Al centro Dio, a formare col primo una coppia piuttosto ben collaudata nella storia universale. La sua mano è aperta e rivolta verso di noi, nella canonica posizione orante dell’arte sacra. A sinistra? Un poeta. Un artista. La mano la tiene sul cuore. Il trittico è perfetto per l’occidente. Stupisce che negli anni ’80 in URSS si potesse dimenticarsi del Partito. Forse non abbiamo esaminato con cura l’intero monumento. Ma certamente se c’è, il Partito Comunista, Lenin o Stalin o Putin, non hanno preminenza. In ogni caso non ci siamo noi. Con noi intendiamo il popolo. Il demos, direbbero in greco classico.


Quartieri di edilizia residenziale sovietica.

Sarà un caso, ma il demos a Tbilisi c’era in questi giorni. Riempiva le strade. La più grande manifestazione che si ricordi, pare. Dimostravano per ottenere la riforma del sistema elettorale: vogliono la rappresentanza proporzionale. Qui vige un maggioritario con forte premio per il vincente. Il demos non si sente sufficientemente rappresentato dal partito vincente ed evidentemente nemmeno dall’opposizione in strutturale posizione di pronunciata minoranza. Che forza il sogno della democrazia rappresentativa! Sarà un caso, di nuovo, ma il movimento che porta in piazza forse 100mila persone, soprattutto dalle campagne, si chiama così, il Sogno. Lo sogniamo da secoli. Perché sa accompagnarsi in maniera inscindibile con i grandi miti che animano la modernità: libertà, progresso economico, felicità. E chi non vuole essere moderno?


Manifestazioni nella Rustaveli Avenue.

Le nostre accompagnatrici del MOMA Tbilisi non sembrano condividere l’entusiasmo della folla che a noi stupisce per il carattere pacifico e trattenuto; forse, com’è comprensibile, nel dna di questa gente si sono iscritti i cromosomi della paura. A furia di fucilazioni a freddo non c’è da stupirsi granché. Di fronte allo scetticismo che le nostre accompagnatrici non nascondono nei confronti del ‘sogno’, dovremmo avere buon gioco, allora, noi a spiegare la demopraxia! Raccontiamo dunque le intuizioni di fondo che ci hanno ispirato nel concepirla, nel (lontano) 2012 e a sperimentarla a Cuba, Roma, Melbourne, Bali, Budapest… cominciamo col considerare come il Belgio sia stato senza governo istituzionale per oltre un anno, periodo in cui la vita delle persone, delle imprese, dei servizi pubblici e della privata economia sono continuate senza la minima interruzione. Quindi, piazziamo il concetto bomba: “… la vita delle persone si svolge in seno ad organizzazioni le più varie, imprese, associazioni, uffici pubblici, negozi, reparti ospedalieri, squadre sportive, e ogni altra forma di gruppo. Nessuno è mai veramente un individuo atomizzato nella moltitudine indistinta. Ma nemmeno siamo mai davvero un tutt’uno con l’intera società, con lo stato, con la nazione, con la città…

Quindi?” Chiedono loro.
Quindi – continuiamo mentre camminiamo per Rustaveli Avenue nella folla di migliaia e migliaia di georgiani accorsi da ogni provincia dello stato – è in ognuna di queste organizzazioni che si determinano condizioni di vita più o meno favorevoli nella realtà concreta: si decide come pagarsi gli uni altri (anche se pagarsi), come parlarsi, come stare insieme, ma anche come vestirsi e mangiare ad esempio. Sono tutte decisioni che, entro i limiti della legge, ma soprattutto del costume, appartengono a queste organizzazioni, in qualche modo autonome e nello stesso tempo interconnesse su tutto il territorio delle città e delle campagne. Queste sono dei veri e propri micro-governi, mi seguite?” Chiedo alle interessate rappresentanti del MOMA Tbilisi dell’artista Tsereteli, domandandomi nello stesso tempo che cosa ne penserebbe lui di questa lettura dell’umana società. Mi seguono, dicono cercando di rassicurarmi, ma per la verità mi sembrano un po’ perse. Parliamo in inglese che loro non padroneggiano proprio benissimo.


La Apple of Love di Tsereteli dedicata alle gioie d’amore.

Immagino si chiedano dove siamo andati a finire: eravamo partiti dall’arte e dal Terzo Paradiso, dalla sostenibilità come risultato del creare quotidiano… riprendiamo allora quel filo: “Queste organizzazioni sono comunità di pratica, non di ideologia. Sono le pratiche ciò che scolpisce la forma della società. Essa è un’immensa opera, più monumentale di ogni mai concepito monumento. È un monumento vivente. Anche noi, come Tsereteli, abbiamo un progetto monumentale. Ma è un monumento in continuo processo di costruzione, è un cantiere vivo a cui partecipano tutti attraverso il loro praticare ogni giorno le relazioni tra ognuno e gli altri. Questa è l’arte che dobbiamo imparare. E con essa i metodi per esprimerla sempre più compiutamente. E imparare a condividerla con gli altri, con le altre comunità di pratica. Ecco come si incontrano l’arte e la sostenibilità e la società intera, passando dai luoghi in cui viviamo ogni giorno e in cui esprimiamo il nostro creare, o non creare, o distruggere. Su questa onda – aggiungiamo – è da intendersi la congiunzione tra le manifestazioni dei giovani per il clima e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. I governi possono fare di tutto per ritardare la presa d’atto che è tempo di creare in ogni angolo del mondo le fabbriche di questo nuovo modello di sviluppo. E queste fabbriche sono appunto le nostre organizzazioni civili. Ma prima o poi anche i partiti dovranno adeguarsi, quando avranno certezza che hanno più da guadagnare nel rappresentare le organizzazioni attive nella demopraxia concreta, piuttosto che farci credere e languire sognanti ancora nella democrazia ideale. I modi per convincerli sono molti, e certamente le piazze piene di pacifiche e determinate manifestazioni saranno utili. Ma molto più utili saranno le azioni concrete realizzate dalle organizzazioni nel loro autonomo decidere strategie di mercato, politiche del lavoro, scelte di consumo, campagne di comunicazione… più che le manifestazioni – concludiamo ringraziando la radice latina della lingua inglese – occorrono azioni manifeste (more than manifestations, we need Manifest Actions)”.


Le antichissime cantine del vino Georgiano.

Per un po’ non parla nessuno. La folla fluisce come una marea giù fino da Freedom Square con la colonna su cui trionfa una statua dorata di San Giorgio che sconfigge il drago (indovinate chi ne è l’autore…). Noi ci avviciniamo alla galleria Window Project, dove le nostre ospiti ci conducono prima di una cena georgiana francamente speciale. Sarà un caso ma il ristorante è in un complesso industriale ottocentesco recuperato, pare il primo opificio in città dedicato all’industria della viticoltura, dove oggi si sono insediate attività creative, locali, spazi per mercati artigianali… chi conosce la Cittadellarte di Biella potrà forse cogliere una certa assonanza. E poi si riprende il filo del discorso. Si definiscono le ipotesi di collaborazione. In sintesi, ma è ancora per ora solo un piano: un programma di formazione per artisti georgiani a Cittadellarte nell’arte del Terzo Paradiso. Una mostra collettiva in cui essi interpretino il tema secondo la loro sensibilità. E una borsa per una residenza d’artista a Tbilisi dedicata a un artista italiano. Tbilisi potrebbe dunque entrare nel network delle partnerhip di UNIDEE Residency Program, forse anche dell’Accademia UNIDEE del Terzo Paradiso, come Baku, Ramallah, Delhi, Quito, e, forse, come immaginato con la direttrice di Ithra, anche Dammam.


Tbilisi: scene di vita urbana.

Sarà un caso, ma al piano d’ingresso del MOMA Tbilisi c’è una mostra (una al mese, la sequenza) di un’artista saudita, co-prodotta con Ithra. Lei è una principessa. Divorziata. Dopo vent’anni di matrimonio che lei rappresenta con spietata ironia e autoironia. E si offre a noi come ambasciatrice della necessità di una diversa intesa tra uomini e donne, provenendo da un paese in cui essenzialmente l’unione ancora si fonda sulla sottomissione.


Le opere della mostra dell’artista saudita al piano d’ingresso del MOMA Tbilisi.

L’humour inaspettato di queste opere forse ingenue, forse invece assai coraggiose, ci sembra rappresentare una forma di creazione in cui l’arte (eccola! Avevano timore, le nostre ospiti, che l’avessimo scordata?) inventa modi di collegare opposti. Metodi e percorsi improntati sulla ricerca di un’armonia che non nega ne l’una parte, né l’altra, riconoscendo a ciascuna le sue ragioni, per quanto difficili da accettare. Ma è questa accettazione che diventa il presupposto per costruire insieme una diversa e inedita realtà. Perché la prima comunità di pratica, la prima organizzazione della nostra società, è la coppia. Due. Due individui uniti in un’ecologia di sentimenti e interessi, di razionalità ed emozioni, di bisogni e di cura. Un microbico organismo sociale. Un nano governo sociale. Il simbolo del Terzo Paradiso, che Armona spiega con eloquenza, si compenetra allora con il progetto della Demopraxia. “L’opera demopratica, piuttosto che il sogno demopratico” chioso.
Anche in Georgia, dunque, un vasto programme ci attende.


Foto di copertina: il monumento di Tsereteli  – nell’immagine sono presenti Paolo Naldini e Armona Pistoletto (il primo e la terza nella foto, da sinistra) con la curatrice e la responsabile delle public relation del Tsereteli Museum of Modern Art, rispettivamente la seconda e la quarta nella foto – e l’edilizia sovietica di Tbilisi.