Chi incontrerai?
Il Covid-19 ci ha fatto tutti ‘ammalare’ sul fronte della socialità. È vero che questa non si esplica solo nella stretta di mano o in un sorriso (la prima bandita, il secondo nascosto dalla mascherina), l’altruismo e la solidarietà si possono esercitare anche alla distanza di 1 metro! È un fatto, però, che le città del pianeta – l’habitat privilegiato da oltre il 50% dei sapiens –, il luogo per definizione della concentrazione umana e dell’incontro, per un tempo incredibilmente lungo (data la velocità a cui viaggia il mondo degli umani) e ad ogni latitudine si sono fermate, divenendo spettrali scenografie di una vita assente (quella sociale appunto) che da un giorno all’altro si è tramutata in una minaccia. L’altro, chiunque fosse, è divenuto un potenziale pericolo, essendo le gambe del virus le nostre.
Non sto dicendo che la paranoia si sia impossessata di ciascuno innescando una guerra di tutti contro tutti. Ma è un dato che il virus abbia fatto breccia nel ‘corpo sociale’ operando, a diversi gradi ma generalmente, un ripiegamento su se stessi; una alzata di scudi, una diffidenza che è stata anche giustificata come un rallentare, un rivalutare le priorità, uno scegliere e ponderare. E che tuttavia rischia di alimentare solitudini e nuovi egoismi (non ultimo quello darwinista sociale del mors tua vita mea che abbiamo visto drammaticamente rifiorire).
Molti mi hanno chiesto come sarebbe stato il MACRO Asilo ai tempi del Coronavirus, se non fosse stato chiuso ‘preventivamente’. Non è difficile immaginare che un ‘dispositivo d’incontro’ a scala urbana come quello sperimentato dal museo ‘ospitale’ avrebbe potuto temporaneamente spostarsi su una piattaforma social, con lectio magistralis in streaming, discussioni e dibattiti su Skype o Zoom, performance da remoto e laboratori online. Più difficile è oggi veicolare i principi ideali – il valore della collaborazione, dello stare e del costruire insieme, della differenza – alla base del progetto, culturale e politico, che in fondo metteva l’abitare (il museo, ma più in generale la città) al centro. L’impegno più grande consisterà non tanto nel trovare nuovi modi per stare insieme, facili da immaginare, ma nel combattere ogni deriva psicopatologica che dal considerare gli altri esseri umani portatori di una minaccia invisibile conduca al desiderio di farli sparire.