Come sorriderai?
Se dovessi riassumere i sorrisi fatti durante questa quarantena, credo siano tutti collegati al rapporto quotidiano che ho avuto modo di coltivare con mio figlio, che per vostra informazione ha due anni e mezzo, i cosiddetti terrible two. Questa convivenza forzata mi ha costretto a trovare la maniera di farmi andare bene ogni momento della giornata e riscoprire, ogni giorno, che era un momento prezioso. Perché lui cresce veloce e io, a differenza di altri padri, ho avuto il privilegio di poterlo vedere.
Detto questo, sono molto dubbioso sul fatto che questa emergenza possa renderci migliori. Lo auspico, ma non percepisco il miglioramento.
Perché mai dovremmo uscirne migliori?
Saremo costretti a un distanziamento e ad un isolamento sociale al quale la nostra cultura non ci ha mai abituati. In molti si troveranno senza un lavoro, rischieranno di dover chiudere la loro attività a meno di non indebitarla ulteriormente, testimoni delle morti di molti cari a cui non è stato possibile nemmeno celebrare il funerale.
La crisi che si preannuncia davanti a noi ha delle proporzioni monumentali e rischia di contribuire ulteriormente ad amplificare la fenditura tra i pochi che stanno bene e tutti gli altri.
L’opera del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto è una poesia che disegna un futuro migliore in cui l’uomo si rende conto di quanto è stato ‘pirla’ e si riconcilia con la natura. Ma deve farlo in velocità. La rinuncia all’idrocarburo non può essere solo uno slogan per finanziare la prossima campagna di marketing. Il sud del mondo rischia un innalzamento della temperatura che provocherà migrazioni mai viste e diseguaglianze ancora più gravi. Questo è un momento dove ripartire non può significare solo attuare una decrescita felice, ma richiede un cambio del modello. Perché quello precedente ha fallito. A livello emotivo, invece, non vedo l’ora che questo lockdown venga allentato perché credo che la quarantena abbia alimentato l’odio e le nostre peggiori inclinazioni, e che l’online ne abbia facilitato la diffusione. Ho visto e sentito troppe persone arrabbiate prendere posizioni francamente indifendibili solo perché protette dalle mura domestiche. Prima si capisce che il digitale non è una cosa ‘altra’ dalla nostra vita, ma che è la nostra vita, prima si riuscirà a sfruttarne al meglio le sue potenzialità. Digitale, in sostanza, significa risparmio di spazio. Significa servizi migliori e più veloci. Significa connessione, non esclusione. Il digitale deve essere un nostro alleato per una ripartenza consapevole. Dove speriamo di non sentire più il riverbero di tanto odio che abbiamo letto e riletto sui social in questi giorni.
Per chiudere, per parlare di arte, che è quello di cui mi occupo, credo che questo stop debba aprire gli occhi a tanti artisti. Si è palesemente capito in questi giorni quanta distanza ci sia tra il mondo dell’arte contemporanea e il pubblico. Si è capito quanto l’arte di oggi non rappresenti un pensiero nato da un humus comune, da problemi o considerazioni sull’oggi, ma sia espressione di una lunga serie di monadi che dialogano con pochi privilegiati collezionisti. Così non funziona.
L’arte deve averlo un pubblico. Deve parlare a qualcuno.
Altrimenti è un telefono che chiama un numero inesistente.