Quali sogni sognerai?
Personalmente ho smesso di sognare da un po’ di tempo. E con sognare non intendo qui ovviamente quell’attività psichica che ha luogo durante il sonno (sperando non sia della ragione). No.
Intendo qui quel processo immaginifico di speranza o desiderio vano e inconsistente in cui spesso ci rifugiamo per sfuggire alle incombenti frustrazioni del quotidiano, dimenticando che questo ausilio è anch’esso ormai totalmente colonizzato dalla radicalizzazione di quell’orizzonte di pensiero che andiamo a declinare come “capitalista”.
Il sogno di inseguire una realtà effimera che si rivela spesso deludente nell’esatto momento del suo avverarsi. L’irrisolvibilità del desiderio fine a sé stesso è stato rapidamente sostituito dal desiderio della soddisfazione immediata, del puro sentire invece che del percepire. Non dimentichiamo che percezione e sensazione sono stati d’animo dalla profonda differenza. Percepire richiede un sostegno dalla coscienza, mentre la logica della sensazione è effimera e immediata.
Difficile, all’interno della società del sentire e del già-sentito, riuscire a sognare e a conoscersi nel profondo, soprattutto quando la mente si affolla di miliardi di pensieri intrascrivibili.
È ora però di ricominciare a sognare, ma per farlo occorre una nuova consapevolezza, a partire — oltre che dalla quotidianità del singolo — da una maggiore contezza del nostro settore.
Quella dell’arte, infatti, è un’attività ben avvolta da una sorta di cortina fumogena, una cornice sociale di apparenze che si intestardisce nell’ostentare un’emancipazione intellettuale di un ambiente dove tutto “va bene”, “funziona” ed “è interessante”.
Partire dal riconoscimento delle contraddizioni e dalle isterie incarnate dal sistema dell’arte significa disvelare le criticità occulte dietro l’accecante sfarzosità degli eventi e dei rituali: conformismo, informatività opaca, auto-sfruttamento volontario ecc.
L’arte è spesso riuscita a coniugare gli universi di sogno e realtà così difficilmente collegabili all’interno del nostro quotidiano. Essa percepisce, non si limita a sentire. Oltretutto, nel suo percepire riesce a comunicare e a trasmettere. Per questo è importante ricongiungersi con sé stessi nel tentativo di ritrovare quella funzione del sogno che porta a sentire, e dal sentire al comunicare.
Quando le parole non bastano, l’arte risponde con un silenzio pregno di significato.
Ciò che è però necessario sottoporre è che questa perdita non si riflette solo all’interno del nostro personale, ma anche di quello che viene esposto, che sia in uno store o in un museo. Se ci limitiamo a sentire rimaniamo superficiali e la superficialità porta all’imitazione di ciò che già è stato visto o sentito. La mancata interiorizzazione caratteristica di questo periodo storico porta a produrre scenari già esistenti e spesso noiosi e ripetitivi.
Non essendo più capaci di sognare, sogniamo i sogni di altri. Prendiamo ciò che era loro per farlo nostro e riportarlo alla visione, cercando di renderlo innovativo e fallendo miseramente nel tentativo.
Assistiamo all’incessante sfornare di slogan, opere, proposte espositive già viste e ritrite. Torniamo al passato per non dimostrare la nostra incapacità di comprendere e rappresentare il presente.
L’arte è ostaggio di sé stessa.
La realtà è che però siamo tutti delle vittime. Vittime e complici di un sistema che ci ripugna sviscerare e auto-analizzare.
La soluzione non è semplice da trovare e neanche facile da accettare. La strada migliore potrebbe essere l’interiorizzazione del problema, prendersi un secondo e chiudere gli occhi. Immaginare, viaggiare in quei luoghi inesplorati della nostra mente che sembrano essere più pericolosi della realtà.
In un momento di chiusura verso l’esterno, è il momento di aprirci verso il nostro interno.
Per tornare alla domanda iniziale: quali sogni sognerò dunque?
Lotterò per tornare a sognare.