Cosa ricorderai?
Ricordare la storia delle orme, l’amore della convivenza
La dimensione di una visione doppia del mondo nascosta e spesso poco riconosciuta si confronta con le circolarità invisibili che sottendono la quotidianità del reale talvolta difficile da sostenere senza la consapevolezza di dover ben ricordare i racconti della storia nel rispetto delle biodiversità.
I monitoraggi derivabili da tale duplice confronto assemblano quadri che aiutano a pensare diversamente agli antichi modelli istruiti tra terra e cielo, a riflettere sulle orme dei sentieri archeologici di un’umanità che, dopo aver praticato a lungo lo scientismo pragmatico, oggigiorno prova ad innovare con metodo scientifico i valori quantici teorizzati rivolgendoli in avanti e con amore per provare a comprendere i valori di un divenire naturale.
La fusione delle fasi metamorfiche che per generazioni hanno attraversato lo spazio ed il tempo avvolge le ombre lasciate in terra dalla luce che illumina la storia del genere umano, una storia essenziale in quanto fonte utile a far rileggere in modalità differente i sentieri energetici di una biodiversità strutturata per archetipi, simbolismi sincretici da cogliere perché necessari ad indirizzare l’anima inquieta chiamata ad affrontare comunque le complessità di una duplice realtà.
Occorre insomma riaffermare il ricordo di messaggi storicizzati la cui memoria suggerisce alla contemporaneità come innovare il pensiero teoretico e come dare motivazioni utili ad interpretare ed innovare la complessità dei bisogni terreni, bisogno di risposte fisiche e virtuali alle progettualità che devono guidare diversamente e con maggiore consapevolezza il timone delle ‘Cose sempre mutanti’, ‘Cose che si trasformano’ le une nelle altre secondo necessità e che si rendono giustizia secondo l’ordine del tempo come ricordava Anassimandro già nel IV sec. a.C.
Le reazioni conseguenti a tali bisogni esistenziali generano spesso ritualità inadatte allo scopo perché il loro stesso differenziarsi in modi diversi non viene mai ricucito abbastanza per migliorare le prestazioni energetiche che devono sostenere le risorse ambientali ancora a disposizione. In altri termini il corpus di tante biodiversità va reso sempre più compatibile coi modelli salutistici e culturali appresi dal mondo antico, un sistema di interrelazioni materiali da gestire glocally per un bene comune in modalità integrata che la storia umana ha saputo favorire ogni volta localmente e globalmente assieme per la convivenza e la sopravvivenza.
Ogni partitura differenziata dalle altre, sempre rapportabile all’idea di salus (salute e salvezza), costituisce in natura categoria di essenza biologica solo all’apparenza isolata per il fatto di rendersi compatibile con l’ordine del tempo antropico teorizzato dalla fisica quantistica che, mentre analizza le caratteristiche del mondo atomico e molecolare, dà anima al sistema in cui siamo immersi, alle particelle granulari naturalmente legate le une alle altre dalla costante d’azione di Planck, che forse sostanziano la consistenza omogenea di un tempo infinito proprio come il Kaos primordiale immaginato dagli antichi.
A ripartire dalla rete neuronale guidata dai valori topografici consacrati alla libertà di un vivere soggettivo ed ancor più di quello collettivo, occorre offrire valori di coesistenza alla rete mentale e soluzioni tecniche alla sostanza culturale di ogni territorio, il che comporta in altri termini la possibilità di assicurare ad entrambi gradi di libertà per gettare le basi di un neo umanesimo produttivo attento a caratterizzare gli spazi del mondo antico e ad accordarsi con le leggi del tempo moderno teorizzate oggi per preparare il futuro (L’ordine del tempo, C. Rovelli, 2019; Helgoland, C.Rovelli, 2020).
La nostra superficialità di fronte ai dinamismi che sottendono tale fisica dell’energia stimola comunque a pensare alla continuità dimensionale tra passato, presente e futuro; e se da un lato genera categorie condensate e difficili da rileggere in mezzo allo spazio ed al tempo, d’altro canto il ricordare le comuni stratificazioni della storia in qualche modo aiuta a capire meglio come ricostruire l’ordine labirintico superiore oggi disperso, ma che in passato sapeva rappresentare la comunanza dei valori materiali e immateriali della mente fissati lungo sentieri e tracciati geografici.
La qualità di quei segni invisibili ed i loro significati dispersi vanno dunque rilegati per poter essere ricordati e ricongiunti assieme se si vuole commentare nuovamente e meglio il messaggio della storia dell’homo sapiens, che, attraverso simbolismi mitopoietici, ha saputo spiegare le pratiche del divenire delle cose in ogni epoca, memento di azioni trascorse eppure ancora essenziali per cogliere i misteri della natura e le biodinamiche indispensabili ad alimentare i bisogni della sopravvivenza.
Quei sentieri percorsi sulla terra in modalità all’apparenza sempre diversa rimandano ai rituali dei segni delle mappe geografiche, dialoghi dell’archeologia per imbastire i nuovi ruoli connettivi tra terra e cielo, temi vasti e sapienti da cui ci siamo allontanati ed i cui limiti qualitativi e quantitativi non ricordiamo abbastanza né sappiamo riconoscere come ingredienti differenti, ma essenziali per comporre le mappe integrate che dovrebbero rimarcare le connessioni utili a cogliere i dispositivi ambientali e rimetterli in continuità col tempo e lo spazio di quei sedimi prestigiosi.
Così la memoria delle opere antiche spesso male interpretate non viene ricordata e non offre soluzioni sufficienti per innovare i modelli insediativi contemporanei, bisogni negati nonostante l’introspezione archeologica provi a ricostruire le forme di una bellezza perduta in funzione della comunicazione rivolta all’estetica del paesaggio antico, consapevolezza dei vuoti e pieni fisici dello spazio geografico che interagisce sul campo territoriale con il soggetto individuale e collettivo.
Così la duplice categoria di mente & territorio saldamente tenuta assieme nel passato deve tornare ad essere l’obiettivo verso cui rivolgere la nostra attenzione deviata da visioni troppo economico produttive, scelte da perseguire perché unitariamente intese con amore e perché agevolando il dialogo serrato tra le reti neuronali assecondano i bisogni vitali tramite le misurazioni topografiche delle reti geografiche che insegnavano un tempo le leggi dell’oikos-nomos, le regole essenziali per comporre in equilibrio i bisogni della Casa ed assicurare le trasformazioni dell’azione antropica che mentre si occupa di Cose materiali modifica il paesaggio in cui vive (Geografia, F. Farinelli, 2002).
L’educazione fideistica o laica praticata a seconda dei casi e dei tempi ha strutturato le ideologie per spiegare ed imbastire ogni volta l’antichissimo bisogno di comunicazione che accompagna ogni interrelazione umana e ci mette di fronte alla complessità del come fare a sciogliere le reti naturali ed artificiali che ci circondano, tentativi più o meno virtuosi questi, ma da ricordare se vogliamo cogliere il governo delle necessità esistenziali nel momento in cui questo pianeta si interroga su come gestire la sostenibilità dei limiti degli spazi senza adattarli alla convivenza salutistica col tempo che insegna a rendere davvero proficue le risorse condivisibili per il bene comune.
La diversa consapevolezza delle leggi naturali governa dunque le trasformazioni delle cose umane la cui lunga narrazione dei percorsi impone a tutti di ricordare i modelli collettivi ereditati dal mondo antico se non altro perché quei poteri erano in grado almeno di agevolare gli scambi necessari e renderli virtuosi per la sopravvivenza collettiva, evidentemente fiduciosa nel voler comunque conseguire amor di conoscenza sostenendo modelli umanistici condivisibili ed all’altezza di far avanzare l’etica e non solo quella individualistica.
Nihil humani a me alienum puto, così celebrava il motto di Terenzio poi ricordato da Karl Marx.
Condividere il lungo percorso del pensiero e di una storia geografica strutturata per triangolazioni funzionali rimanda alle dimensioni doppie del mondo, ai bi-sogni di una umanità che va riletta in modo diverso attraverso le tracce lasciate dentro un labirinto antropologico all’apparenza impenetrabile, ma stigmatizzato dall’amore per le sane memorie trasmesse col mito, azioni pragmatiche e modelli esemplari da ricordare in quanto visioni gromatico-metafisiche rappresentative al punto da riabilitare la mente fatta calare consapevolmente sul territorio, attitudine costante del genere umano oggi disorientato eppur vitale per poter ricordare le ragioni profonde della sua storia millenaria sotto i cieli (Il mulino di Amleto, G. De Santillana, 1983).
Del resto il bisogno di continuità per la sopravvivenza su questa terra è potuto nascere, crescere, morire ed ogni volta rinascere proprio grazie le forme naturalistiche di una mente sempre vitale e capace di progredire attraverso le letture del territorio e del cielo, e non per imporre valori assoluti concedendo gradi di libertà agli individui, bensì per integrare la cultura consapevole del pensiero responsabile socialmente, visione collettiva di una doppia realtà composta dalle n dimensioni, dialoghi efficaci quanto robusti per rendere proficue le pratiche in terra, per definire protezioni al vivere ad ogni latitudine geografica, per legare i dinamismi imparati dai moti del cielo, per costruire spazialità capaci di misurare il tempo così da assicurare ogni trasformazione ambientale.
L’aver reso condivisibile localmente e globalmente tale volontà mentale di rispondere al bi-sogno archetipico di sopravvivenza ha preservato la specie dotando la società umana di visioni utopiche per penetrare i labirinti materici, atti esistenziali da ricordare e da riscattare come realtà e sogno racchiuso nelle espressioni poetiche e letterarie della mente (“Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni, e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra vita”, La Tempesta, Shakespeare), magari sciogliendo l’affollamento esponenziale del pianeta con la visione quantica che innovando la memoria di mente e territorio, rende meglio condivisibile il bisogno essenziale di ricordare per convivere.
La speranza di sopravvivere all’età dell’agricoltura (12.000 a.C.) ci spinge allora a ricordare i sentieri antichi trasferiti nelle micro e macro dimensioni dei materiali contemporanei deviati dalla coscienza amorevole della rivoluzione digitale in atto, racconti di una comunicazione scritta interrotta dopo il tempo di Gutenberg e tutta da rivalutare, non tanto per riaffermare la bellezza di un mondo classico a cui ci siamo educati, ma per rimettere in discussione le ragioni di un tempo e di spazialità storicizzabili che dobbiamo investigare meglio, nuova circolarità delle orme proiettate in terra per condividere la battaglia d’amore per la convivenza sul pianeta.
Salute, Ambiente, Digitale integrati grazie una mente e territorio da ricomporre oggi più che mai è la proposta da ricordare come nuove sintesi di un pensiero Neo Antico le cui teorizzazioni ed azioni partecipate rilegano i comportamenti sociali, specie quelli a vantaggio di comunità chiuse ed isolate, pratiche simili a quelle in uso presso le comunità antichissime, archetipi e miti di un racconto antropologico sociale rimasto in sintonia con le biodiversità, riferimenti da ben ricordare se vogliamo continuare ad imparare e rimettere in sesto le scelte giuste per un futuro diverso.
Senza soppesare le orme della complessità ereditate dalla storia non potremo partecipare alla ricostruzione essenziale di una mente e territorio congiunta capace di rimettere in equilibrio le cose; senza ricordare i presupposti della convivenza antropologica non riusciremo a cogliere l’ordine necessario e sufficiente ai confronti con i livelli energetici dei bisogni degli 8 miliardi di persone fra poco tempo; senza più le modellazioni umanistiche un tempo utili alla sopravvivenza oggi il mondo reso distopico non potrà dialogare con le reti antiche naturali assai meglio concepite di quelle tessute in cielo per il 5G coi satelliti dell’impresa ‘Starlink’ di Elon Musk partorita da un capitalismo tecnologico e consumistico di una robotica senza (rob)etica.
Le azioni performanti dei data base di un consumismo filtrato dagli algoritmi del GAFAM, la confederazione digitale che si preoccupa di vendere bisogni diffusi senza visione responsabile, non rispondono certo alla memoria dei bisogni dei soggetti pensanti che dovrebbero ricordare gli insegnamenti della storia ed agire di conseguenza innovando la partecipazione eterotopica, il modello per condividere le diversità lasciate in terra come orme degli scambi testimoniati dalla fisicità virtuosa della convivenza “a la maniera de li antichi”, racconti di una memoria collettiva che mai ha tenute separate le relazioni tra mente e geografia, valenze e virtù queste calate tutte nel disegno stesso della Polis Roma. (Le eterotopie, i corpi utopici, Michel Foucault, 2004).
Le connessioni disperse eppure capaci di decifrare il codice doppio e complesso di una comunicazione interrotta sapevano come relazionare cose e persone nel mondo romano, erede questo di memorie antichissime selezionate per aggiornare un disegno tra terra e cielo unitariamente inteso e per questo testimoniato dalle stratificazioni archeologiche di una città la cui storia è ancora da storicizzare.
La diversa narrazione aiuta a ricordare l’unione salda tra pensiero e geo-topografia in sintonia per spiegare l’azione eterotopica del piccolo-grande mondo mediterraneo annunciato la prima volta con l’approdo della Grande Madre Europa a Creta e poi nell’VIII sec a.C. con la fondazione di Rumi, la città della forza legata ad Armonia, figlia di Marte e Venere (Il sogno di Roma a Lentas, P. Meogrossi, 2010; Europa sotto i monti Asteousia, P. Meogrossi, 2020).
La technè digitale potrebbe migliorare le qualità dell’ambiente naturale ma di fatto non pone risposte pragmatiche al bisogno di potersi integrare col modello doppio di mente e territorio né rende mature le visioni topografiche e mentali necessarie per partecipare il simbolico infinito di Pistoletto che in fondo ricalca pienamente il topos del disegno tra terra e cielo dello scudo doppio dell’Ancile al momento della fondazione di Roma (Fasti III, Ovidio).
Conoscenze topografiche ed archeologiche da riscoprire sostengono la mente mitopietica per riconsiderare e ricordare antropologicamente il senso dell’unità tra terra e cielo in quel tempo passato quando si sapeva veicolare e misurare i valori delle reti naturali e cogliere le dimensioni quantiche depositate dentro la Torre di Babele che dovrebbe far rinascere la convivenza.
Così ogni anima contemporanea potrà alimentare la technè di una comunicazione energetica capace di riconvertire le cose ereditate per restituire ad esse lo spessore culturale sottratto ai bisogni del sociale, memorie di beni comuni da riabilitare per l’assemblaggio delle parti tenute separate nei medesimi insiemi, ricerca gromatico-metafisica per soluzioni tecniche e pensieri unitariamente intesi capaci di far rinascere il modello umanistico da integrare con le realtà fisiche visibili ed invisibili del mondo in cui siamo immersi.
Gli archetipi culturali di siffatto mondo ricalcano le n dimensioni praticate sui territori primitivi in un presente che testimonia ruoli doppi e funzioni insospettabili di un futuro di cui fanno parte le reti, i percorsi neuronali e fisici di una mente strutturata grazie alle triangolazioni topografiche proprio come dimostra il modello Roma, capace di mettere ordine ai bisogni fisici come ai bi-sogni immaginifici coi caposaldi primari selezionati via via, così da dare campo e sostanza alla misura eterotopica che, fuori dall’utopia, asseconda il doppio vedere che rende possibile ogni processo cognitivo.
Quei percorsi doppi e difficili propri del mondo, testimoni di una mente e territorio congiunti, alla fine costituiscono l’integrazione per il modello collettivo adottato in antico che mentre dà riconoscibilità al pensiero soggettivo nel contempo innova le componenti del fare tecnico e collettivo, pensiero e progetto con i dati della memoria per dialogare culturalmente con la storia ed istruire la pratica costruttiva magari col digitale essenziale per assecondare la logica eterotopica partecipativa che incoraggia il bene comune rendendo sostenibile la sopravvivenza rigenerata per dimensioni immaginifiche come fu per il Coliseum in specie ovi ricordato da Cassio Dione.
Ecco allora che l’uso dell’apagoghè aristotelica, un tipo desueto di logica evocato dal modello positivista del filosofo Peirce grazie cui perseguire le pratiche investigative alla Sherlock Holmes, deve aiutarci a ricomporre il quadro connettivo per tali strategiche connessioni e ricordare le singole visioni spazio temporali dell’archeologia che sempre hanno motivato le scelte per le forme quantiche uomo-territorio da ricucire e da restaurare socialmente (Il segno dei tre, a cura di U. Eco, 1983).
I labirinti della complessità naturale ed antropica vanno dunque penetrati e ricordati con amore se vogliamo che la contemporaneità educhi a tale duplice scenario, all’esercizio sapiente del sogno e dell’immaginazione chiamati a riunificare le distanze tra le n dimensioni, a trasformare le visioni oniriche in modelli stratificati di reti mentali e territoriali fisicamente ancora evidenti, storie e documenti dei luoghi dell’origine da rileggere per restituire formule vitali e riprogettare quanto teorizzato dentro l’uovo cosmico dai sistemi quantici e resilienti delle forme di una bellezza condensata nel paesaggio reso distopico da un’urbanistica obsoleta che non tiene abbastanza in conto i valori dei topoi archeologici dispersi e per fortuna nostra non perduti (I sentieri per il disegno di Roma, P. Meogrossi, 2020).