Arte dell’equilibrio #78 | Daniele Cipriani, quale lingua parlerai?
L'impresario di danza, arte e balletto è il 78esimo partecipante dell'iniziativa "Arte dell'equilibrio/Pandemopraxia" lanciata da Cittadellarte. Daniele Cipriani riflette sull'impatto avuto dal Coronavirus a livello globale, ritenendolo la "prima esperienza ‘performativa’ planetaria nella storia dell'umanità che ha 'abbracciato' l'intero pianeta Terra". L'ospite di questa puntata si sofferma poi sulla vita post Covid-19 e sulla domanda chiave di questa puntata della rubrica: "La mia lingua, piuttosto che a parole, sarà a fatti e sarà l'azione finale di un nuovo pensare. Non a caso il mio pensare e il mio parlare sono al servizio dell’arte, lingua universale, e in particolare della danza, considerato il più antico linguaggio dell’essere umano".

Quale lingua parlerai?

La lingua che parlerò avrà sicuramente un timbro più basso perché sarà stata soffocata dall’uso per mesi della mascherina. Chiaramente sto parlando in termini metaforici, tuttavia il confronto con la voce del ragazzo che, verso i 13/14 anni, si abbassa e diventa quella di un uomo, mi sembra particolarmente calzante. Quel cambiamento che avviene nella voce denota il passaggio dall’infanzia all’età adulta. In termini più sottili, dovrebbe denotare un passaggio da uno stato di innocenza alla maturità. E così, spero, sarà per me.

La pandemia del Covid-19 è stata la prima esperienza ‘performativa’ planetaria nella storia dell’umanità. A differenza delle migliaia di guerre che hanno segnato la storia (incluse le due guerre dette ‘mondiali’ del 20° secolo da cui, però, erano esclusi diversi paesi), essa ha abbracciato l’intero pianeta Terra, mettendo tutti in una condizione ben diversa rispetto a ‘prima’. Lascerà in ognuno di noi un segno. La lingua è l’espressione finale di ciò che abbiamo dentro; inevitabilmente, quindi, in molti (e spero di essere tra questi) sarà una lingua più matura: arricchita esteriormente da quei vocaboli che sono ormai entrati nel lessico corrente, indipendentemente da come avremo elaborato dentro di noi l’esperienza vissuta.

Dal Covid-19, noi che riusciremo a venirne fuori, ne usciremo sicuramente cambiati; ciò detto, non credo nel buonismo che sostiene che tutti ne usciremo migliori. Alcuni sì, altri no. Dipenderà se abbiamo vissuto questa crisi esclusivamente dal punto di vista materiale, preoccupandoci solo degli effetti, senza cercare le cause; in tal caso, diventeremo sempre più materiali, egoisti, scollegati dagli altri e dal mondo. Oppure, se avremo, in qualche maniera, tentato di cambiare e migliorare qualcosa dentro e fuori di noi. In altre parole, dipenderà se avremo subito passivamente (aspettando, altrettanto passivamente, la fatidica cura), o se avremo reagito con positività, ognuno nel campo specifico che gli compete. Le due correnti umane si divideranno sempre di più e parleranno lingue sempre più diverse e incomprensibili tra di loro.

In questi mesi, non ho tanto cercato un nuovo linguaggio, quanto un nuovo pensare. Subito dopo la prima chiusura dei teatri, non potendo proseguire gli spettacoli che avevo in cartellone, ho sgombrato la mente per far posto a nuove idee per la danza, cercando il combustibile nell’arte figurativa. Infatti, andai a visitare la grande mostra su Raffaello (che chiuse, anch’essa, l’indomani) e lasciai che la bellezza riempisse i miei occhi per colare, pian piano, verso il cuore e il cervello che, quando lavorano in tandem, sono vincenti. Durante il primo lockdown mi vennero le idee degli spettacoli che mandai in scena quest’estate: Duets and Solos e Le Creature di Prometeo / Le Creature di Capucci, due spettacoli che già parlarono un linguaggio nuovo.

Durante questa nuova chiusura, dopo essermi cibato di mostre, nonché (dopo la chiusura anche di queste) di quelle permanenti che sono le opere d’arte nelle chiese romane, continuerò a pensare nuove idee per la danza. La mia lingua, piuttosto che a parole, sarà a fatti. Sarà l’azione finale di un nuovo pensare.

Non a caso il mio pensare e il mio parlare sono al servizio dell’arte, lingua universale, e in particolare della danza, considerato il più antico linguaggio dell’essere umano. Sebbene non sia mai stato un chiacchierone (preferisco starmene zitto, pronto ad intervenire al momento dell’estremo bisogno), continuerò a parlare poiché le parole sono necessarie per svolgere l’azione finale, un mezzo per realizzare i miei spettacoli. Ma anche questa mia lingua parlata sarà cambiata, condita da silenzi ancora più lunghi di quelli miei abituali, silenzi nati da lunghe conversazioni con il mio io durante lunghi periodi di confinamento. E quei silenzi, credo, renderanno più ampia la mia lingua se è vero, come diceva Mozart, che tra una nota e l’altra c’è l’infinito.

Daniele Cipriani

 


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