Che decisione prenderete?
Dall’inizio della pandemia ho molto riflettuto su una precipitata nell’incertezza collettiva, ho ragionato sui concetti di vicinanza, libertà, relazione e, analizzando le situazioni quotidiane, con sorpresa ammetto a me stessa che non è il Covid-19 a creare il distanziamento sociale. Siamo isole distaccate, vittime del nostro individualismo. Il virus ha accentuato la solitudine dell’uomo contemporaneo, costretto a fabbricarsi un’esistenza fittizia di abbracci e sorrisi di circostanza, file interminabili nei centri commerciali e aperitivi, fugaci gite al parco ed ore trascorse nelle chat, per sfuggire all’atavica paura del vuoto interiore che lo attanaglia. Come un velo è sceso il silenzio negli atti ripetitivi di quella che chiamiamo “normalità”. Dopo i canti sui balconi, tra le mura domestiche si è palesata la fragilità dei rapporti umani, quando il mantra “andrà tutto bene” ha perso la sua efficacia, perché non supportato da un reale cambiamento. Il virus ci mette dinanzi ad una svolta epocale. I negozi chiusi e gli spostamenti controllati, i luoghi della cultura, in particolare i musei già poco frequentati, che hanno girato il chiavistello, l’economia in crisi, il divieto di un contatto ravvicinato, la bellezza mancata di un sentimento mentale e fisico ci ha risvegliato e mostrato il male di una società devota all’apparenza, priva di contenuti e piena di bisogni superflui.
Ecco allora la mia decisione, stipulare un patto con Madre Terra. Sottoscrivere un atto di impegno con il quale attuare una ri-evoluzione culturale, sociale ed economica da realizzare con la fantasia e l’immaginazione, i colori e i materiali, per un futuro dove noi e la natura ristabiliamo il rapporto spezzato, secondo un senso di circolarità e reciprocità. Fino ad oggi abbiamo camminato lungo autostrade di meschinità, giustificando il nostro operato con la falsa promessa di migliorare la qualità di vita dei singoli individui, di poter comprare il benessere e la libertà a basso costo dagli scaffali della grande distribuzione, ma, in realtà, lo scopo era sottomettere l’ordine naturale delle cose e dominare sulle altre forme di vita, solo per nutrire la bestia feroce nascosta nei nostri animi malati di protagonismo. Il problema ci riguarda da vicino, ogni minuscola porzione di suolo consumata, ogni campo inquinato e terreno reso abusato, come la compromissione di habitat protetti e lo sfruttamento incontrollato delle risorse terrestri, oltre a procurare sofferenza per insetti, anfibi, uccelli e mammiferi, relegati a vivere in condizioni degradate, ha inquinato i nostri giorni e sono anch’io colpevole di tanto dolore sparso, troppo spesso, in nome di un divertimento vacuo che calpesta l’altrui dignità, nell’illusione di restare incolumi. La superbia dell’uomo, frutto della collaudata onniscienza della propria specie, ci ha resi manipolabili e la cieca fiducia nella supremazia della tecnica, invece, veicoli di trasmissione dei contagi, con maggiore diffusione di malattie letali quali l’indifferenza.
Il Covid-19 ci ha strappato la nostra amata quotidianità, gli affetti cari, e così messi a nudo, dagli interstizi di identità in gabbia è iniziata a filtrare la voglia di relazioni autentiche, di una nuova, anzi antica, confidenza tra anime risvegliate da un periodo di ibernazione. La grande lezione è che fermarsi non significa perdere tempo, piuttosto è riappropriarsi del tempo per se stessi, del diritto all’attesa e alla sospensione del tempo. Lì può capitare tutto oppure niente, è sufficiente mettersi in ascolto e camminare il territorio, lasciare aperto lo spettro delle probabilità per incontrare le persone, beneficiare di un gesto, una parola, una riga di sorriso. Nel mio peregrinare tra erbe spontanee, mirabili resti archeologici, nidi di tartarughe e orme di chi mi ha preceduto, confuse a chi dopo di me passerà, nella giostra della storia a guardare la danza di mare e cielo, ho incontrato Bruno di Loreto. A lui ho chiesto se voleva riflettere con me “sui rapporti fra salute, ecosistema e creatività, ovvero far rinascere comunità sane ed etiche per mezzo dell’arte”. Ha risposto sì.
Bruno di Loreto. In particolare fra le molte importanti affermazioni mi ha colpito la seguente: “Far riflettere sui rapporti fra salute, ecosistema e creatività”. Affermazione che riguarda un argomento centrale della mia personale ricerca umana e professionale. Dove, come e quando si sono dissolti i molti fili intrecciati che da sempre legavano questi tre temi?
Bruno di Loreto: tra salute, ecosistema e creatività
Pensiamo, nel Rinascimento, al mito della ‘città ideale’ e al senso mistico del ‘giardino all’italiana’, progetti e realizzazioni mirabili di una parte di questo magico intreccio divenuti in qualche modo realtà. Fuor di metafora: città e borghi in transizione, ecologici e ad impatto zero (che già esistono) inseriti in ecosistemi agricoli e naturali integri sono la migliore premessa di carattere generale per mantenere ed accrescere lo stato di salute delle popolazioni umane, animali e delle specie vegetali. Naturalmente un tale “miracolo” non accade da solo, stiamo parlando di uno sforzo trasformativo ed organizzativo imponente e che necessariamente richiede ampia condivisione di tutte le parti sociali. Si tratta di un’impresa epocale per la cui implementazione non sono sufficienti capacità progettuali e realizzative di prim’ordine, occorre cambiare la testa di coloro che intendono partecipare ad un fatto del genere, ma soprattutto i cuori. I cuori perché è un’impresa di natura poetica e prima ancora spirituale. È una mano tesa verso le nostre radici storiche e morali, quel mondo la cui presenza ci è sempre stata testimoniata dal fenomeno artistico. Un fenomeno che è messaggero, immagine e testimonianza tangibile del ruolo dei valori nello sviluppo di una autentica coscienza etica e della propria funzione personale nell’equilibrio generale del pianeta e delle popolazioni. La relazione fra sé ed il mondo è relazione co-creativa o non è. Questo poiché la vita nelle sue innumerevoli manifestazioni si dispiega in quanto stato di creazione permanente ed in perenne co-evoluzione come ben sa chi si occupa ad esempio di ecologia profonda ma non solo.
Analizziamo dunque, nel breve tempo che ci è dato, la relazione attuale fra ecosistemi e salute nonché quella che intercorre fra le due gemelle, arte e scienza, separate alla nascita. Questo per offrire uno spunto di riflessione su quello che può essere l’uso etico del talento creativo al fine di realizzare prototipi funzionanti di comunità ecologiche, autosufficienti e ad impatto zero funzionali alla ridefinizione teorica ed operativa degli obiettivi di breve e lungo periodo del nostro attuale modello di civiltà. Occuparsi del tema della salute, dell’umanità e dell’ambiente naturale è oggi questione urgente ed indifferibile. L’uomo inquina pesantemente in molti modi, acqua e cibo sano scarseggiano, danni sempre più gravi minano l’integrità dell’ambiente e ciò danneggia in modo crescente l’intera umanità. Ecosistemi malati creano società di malati. Di chi è la responsabilità? Verrebbe da dire del modello naturalmente.
Iniziamo la nostra breve analisi dagli ecosistemi. Domanda: “È possibile restare sani vivendo circondati da ecosistemi pesantemente inquinati ed al limite del collasso?”. Risposta scontata. In questo caso stiamo parlando solo di salute fisica, degli inquinanti ambientali che introduciamo col cibo, con l’aria che respiriamo e che hanno da molti decenni conseguenze che solo oggi stiamo lentamente imparando a riconoscere e valutare in tutti i loro diversi effetti.
Se consideriamo anche i danni psichici è sufficiente osservare l’aumento annuale della quantità di farmaci dedicati in tutto il mondo (antidepressivi, ansiolitici, ecc.) per capire quanto i danni ai contesti ecosociali, cioè a città e campagne, siano drammatici oltre il tollerabile. Stiamo male, sempre peggio, nella fragile illusione di stare bene, sempre meglio. Paradossalmente si chiama ‘società del benessere’. E stiamo male, per alimentare il modello ‘sviluppista’ che immagina e propone una crescita infinita dei consumi in un pianeta finito e limitato. Un’ovvia e tragica contraddizione in termini, come dice Kenneth Boulding: “Chiunque creda che una crescita esponenziale possa continuare indefinitamente in un pianeta finito o è pazzo o è un economista”.
Chi opera nel settore della salute psichica sa bene che l’origine di gran parte del diffuso malessere di individui e comunità nasce da molteplici ed ingravescenti fattori stressogeni e destabilizzanti che hanno origine nei deleteri modelli socioeconomici attualmente prevalenti. In una società malata, in altre parole, restare sani diviene sempre più difficile. Di chi è la responsabilità? Delle multinazionali? Dei governi? Chi sono i cattivi di turno (sembra che vogliano tutti poveri stressati e malati)? I terapeuti consapevoli e responsabili sanno perfettamente che non è affatto facile risanare un paziente che viva, anima e corpo, le gravi contraddizioni ecosistemiche e socioeconomiche del tempo presente. Si può dare forse sollievo per un po’ ma le onnipresenti cause dei molti e frequenti disturbi attuali permangono. Gruppi di terapeuti dunque hanno da tempo iniziato ad essere attivi nei vari e differenti contesti comunitari e collettivi con l’intento dichiarato di estendere al corpo sociale nel suo complesso un diverso, più sensato ed articolato approccio alla salute fisica e mentale. Tema profondamente legato a quanto detto finora è quello della creatività in quanto strumento utile ed imprescindibile per la ricerca di soluzioni nuove ed efficaci applicabili al quadro appena delineato. “Creatività è l’arte di manifestare l’implicito allo scopo di valicare l’esplicito, il già detto”, mi disse un giorno un collega. E ha proseguito: “Un processo evolutivo deve avere in sé un processo creativo in antitesi con il prevedibile”. Intendeva dire, in qualche modo in antitesi con il già visto, con il già noto.
Talora qualcosa di urgente, di non detto, di non sviscerato fino in fondo albeggia appena sotto la soglia sottile della nostra ordinaria quotidianità. A volte un’inspiegabile inquietudine, talora il messaggio di un amico o una frase letta chissà dove ci colpisce come un maglio, l’implicito – quel contenuto interiore che spesso fatichiamo a dichiarare persino a noi stessi – bussa con discrezione alla nostra porta chiedendo di essere accolto. Se non lo lasciamo entrare normalmente non esita a sfondare l’uscio ed a complicarci la vita. Questo passaggio indica a gran voce che siamo sulla soglia di una rivelazione, un disvelamento che riguarda il senso stesso del nostro vivere e che contiene le chiavi per accedere finalmente a quelle difficili verità che sono il perenne orizzonte di senso del nostro incedere nella vita. Creare dunque è anche dar voce a queste parole non dette e non udite, dare spazio a visioni ed immagini altre, risvegliare percezioni e sensi da una involontaria anestesia. Creare, in senso etico, è svelare parte di quelle verità dalla cui negazione origina ciò che chiamiamo il male. Creatività è tensione verso il bene laddove essa sia al servizio dell’etica. In tal caso essa è veicolo di un possibile viaggio di ritorno a Casa, a quell’armonia primigenia di cui la creatività è traccia indelebile ed inderogabile richiamo. Una prolungata ed attenta osservazione, almeno dal dopoguerra ad oggi e solo per restringere il campo d’indagine, da parte di molteplici soggetti quali artisti, filosofi, letterati, scienziati, medici, attivisti ed operatori sociali, divulgatori, giornalisti e ricercatori di varie e diverse discipline ha evidenziato quanto la triade salute (benessere, cibo, stile di vita, ambiente urbano, etc.), ecosistemi (ambiente naturale, inquinamento, disboscamento, estinzioni di massa, desertificazione, cambiamento climatico, etc.) e creatività (innovazione sociale, cambi di paradigma, soluzioni di rete, shared economy, open source, etc.)
sia stata essenziale per alimentare un’analisi critica dei fondamenti stessi della nostra civiltà.
L’estesa e profonda analisi critica a cui mi riferisco ha costituito, assieme ad altri fattori sociali, quell’humus culturale che ha consentito alle molte forze vive della più recente contemporaneità di creare qualcosa che potremmo definire ‘la risposta della Terra’. Risposta che è attualmente rappresentata dalla nascita e dalla diffusione di comunità sostenibili e resilienti – non necessariamente residenti – orientate alla cura attenta e responsabile dell’ambiente naturale, sociale, culturale e di quello interiore, valoriale e relazionale. Qui, in queste comunità, per una sorta di spontanea alchimia antropologica, vengono ora ad incontrarsi diversi e distinti filoni della grande cultura del ‘900. Quelli delle rivoluzioni scientifiche e filosofiche, dell’innovazione sociale attenta alla qualità della vita e dell’ambiente, del pacifismo, dell’ambientalismo e delle arti come motore di ricerca e sviluppo di una rinnovata coscienza etica.
Ora le frange più avanzate di questa ampia riflessione transculturale sono in grado di concepire interrelazioni feconde ed unificanti fra discipline ed ambiti di ricerca tradizionalmente considerati lontani per non dire estranei. Fra queste contaminazioni ecosistemiche ed interdisciplinari citiamo volentieri la Teoria della Complessità, la Teoria Integrale di Wilber, la Teoria U di Scharmer, il Movimento Transpersonale, la Rigenerazione, la Permacultura e svariate altre in diversi campi e declinazioni culturali. Il pensiero scientifico sposa la capacità delle arti di innovare la visione progettuale di scienziati e ricercatori alimentando quella intrinseca capacità delle arti di osservare il mondo reale e quello psichico da prospettive eterodosse ed inusuali al fine di far emergere e manifestare aspetti percettivi remoti e non convenzionali. Aspetti del tutto funzionali alla crescita della coscienza individuale e collettiva. Il mondo delle arti, dal canto suo, inizia a riscoprire nell’approccio scientifico quel rigore d’indagine e quella aderenza al dato osservabile che aveva tralasciato, in buona misura, di considerare realmente degno d’attenzione dai primi del 900’. In realtà c’è qualcosa di vero nel luogo comune che considera rigoroso e pedante il vero scienziato mentre valuta estroso e creativo il vero artista. Ma oggi appare sempre più lecito e costruttivo saper cogliere l’eclettismo creativo dello scienziato ed il rigore indagativo dell’artista a ruoli invertiti. Le due discipline stanno involontariamente formando un’inedita figura ibrida in grado di riunire i due aspetti tradizionali della mente umana, la razionalità e l’intuito, sotto un medesimo paradigma, sotto una medesima tonalità creativa.
Parliamo della possibilità di vedere quanto arte e scienza siano aspetti distinti ma non più separabili della medesima realtà ontologica. Il cosmo ed i suoi fenomeni non sono separabili in compartimenti stagni come tendiamo inevitabilmente a fare noi con la più o meno marcata separazione fra le varie discipline e specializzazioni. I confini fra i saperi sono dunque necessariamente labili e convenzionali, spesso risentono in modo condizionante della loro origine storica e culturale. Arte e Scienza non vanno mescolate arbitrariamente lo sappiamo, devono poter restare distinguibili nello stile, nei campi d’indagine e nei processi operativi. Ciò che deve però risaltare con sempre maggiore evidenza è il fatto che siano entrambe vie elettive alla conoscenza del sé e del mondo. Tali sono ovviamente anche i mestieri e le professioni, i percorsi mistici, le filosofie e molto altro. In realtà a ben guardare non v’è attività dello spirito umano che al fondo non sia una vera via di conoscenza di sé e del mondo o non possa, se del caso, essere opportunamente trasformata in una tale via iniziatica. Il complesso e critico passaggio storico che stiamo attraversando è una straordinaria occasione per mettere a sistema quanto abbiamo compreso e maturato negli ambiti più diversi rispetto alla conoscenza dell’universo in cui viviamo. Esistono numerose isole felici nei più disparati settori della ricerca sociale, artistica, filosofica, ma anche dell’innovazione scientifica e tecnologica, nei quali sono stati concepiti e realizzati prototipi completi ed operativi nati da una nuova visione ecologica, prospera, pacifica ed egualitaria del mondo.
Abbiamo solo bisogno di aggiornare tutti insieme le nostre mappe confrontando utilmente i cammini fin ora percorsi per ricostruire l’immagine smarrita, ma non dimenticata, di un mondo incantato. Il movimento della Rigenerazione, ad esempio promette di cambiare significativamente il volto del pianeta, in termini ecologici, nel giro di un decennio, forse meno. Lo stesso dicasi dell’ecodesign e dell’architettura. Il Rinascimento ci ha mostrato quanto una rivoluzione del mondo del pensiero, della cultura e delle arti abbia creato un’epoca d’oro durante la quale le spoglie del periodo classico furono trasformate, stanti tutti i limiti dell’epoca, in un modello mirabile di evoluzione politica e sociale. Le arti contemporanee navigano ora in mare aperto avendo svincolato vision e mission attuali dalla propria biografia storica, non prima però di averne integrato la lezione. Le scienze sono in grado di studiare il mondo naturale e la natura umana con una profondità speculativa impensabile solo pochi decenni fa. Tutto ciò consente ora di progettare e realizzare comunità, talora in transizione, completamente ecologiche, autosufficienti e a rifiuti zero nelle quali le relazioni sociali e personali non patiscono il sequestro di tempo ed impegno di cui soffrono le attuali realtà urbane ed extraurbane. Esistono prototipi operativi di tali progetti e molto si sta organizzando attorno a questi modelli iniziali. Le comunità sostenibili ad impatto zero sono quindi, allo stato attuale ed in tutte le diverse forme realizzative, realtà dove si ricerca attivamente attorno alle tre tematiche enunciate all’inizio cioè salute e benessere, ecosistema e sostenibilità ambientale, e creatività saldamente ancorata ad un’etica cristallina.
Le discipline ecosistemiche precedentemente ricordate si occupano fra l’altro di raccordare questi estesi territori culturali troppo a lungo separati dell’esperienza umana. Tali conoscenze possono essere così utilizzate come parte fondante del nuovo paradigma sociale ed ecologico in via di riattivazione da parte delle numerose nascenti realtà comunitarie sul pianeta. Paradigma alla cui realizzazione contribuiscono attualmente studiosi ed esperti dei più diversi rami del sapere. Scienziati ed artisti, filosofi e letterati, terapeuti ed umanisti stanno contribuendo alla rinascita, implicita od esplicita, di centri od organizzazioni che sviluppano un rinnovato e più consapevole spirito di comunità. Il territorio italiano, in gran parte strutturato in piccoli borghi anticamente quasi del tutto autosufficienti, torna lentamente ad essere reinterpretato come luogo ideale per la realizzazione delle numerose comunità 4.0 prospere e pacifiche. Appare chiaro quanto questo stile e queste finalità progettuali richiedano l’apporto di molteplici discipline ben coordinate attorno ad una riscrittura radicale del senso e dei modi di partecipare a quel nuovo progettare che è finalmente progettare il nuovo.
Silvia Filippi, ambasciatrice progetto Rebirth/Terzo Paradiso, curatrice d’arte, co-coordinatrice nazionale movimento RiArtEco (Riutilizzo Artistico Ecologico) e responsabile per le attività artistiche Fondazione Omiccioli.
Bruno di Loreto, studioso dei fenomeni della coscienza, formatore di comunità sostenibili ed ecologiche, divulgatore della cultura dell’ecosofia. Collabora con diverse realtà didattiche e comunitarie, tra le quali l’Italia che Cambia.