Come lavorerai?
In inglese ‘viaggiare’ si traduce to travel, verbo con la stessa radice del francese travail, che sta per lavoro. Entrambi, travel e travail, potrebbero avere un’origine comune nella parola latina tripalium, che era l’attrezzo con cui si soggiogavano buoi e asini ribelli.
Al di là della soggiogazione di uno spirito ribelle, viaggio e lavoro nella mia vita sono sempre andati insieme, dal giorno in cui mi sono laureato in legge, anche grazie a una presentazione sulle varie strade che si potevano intraprendere dopo la laurea, fatta dal mio professore, che ricopriva la carica di general counsel in una società multinazionale.
In venticinque anni ho passato più tempo in cielo che in terra, sono arrivato a pormi la domanda sentita in un film di Woody Allen circa il fatto se una persona soggetta a continui cambi di fuso orario viva più o meno ore di una persona che non viaggia.
Nomadismo professionale che comunque non ti stanca e non ti annoia mai, permettendoti di conoscere culture, tradizioni, cucine e, nel mio caso, sistemi giuridici diversi dal mio e come tali oggetto di continui studi e analisi di comparazione, senza considerare gli innumerevoli incontri personali e professionali fatti in giro per il mondo.
E così mi sentivo ripetere tra il serio e il faceto: “Beato te che viaggi in continuazione e non lavori mai, sei sempre in vacanza!”, detto dai cosiddetti ‘viaggiatori di carta’, coloro che girano il mondo restando comodamente seduti in poltrona, alcuni per scelta altri per non avere avuto la mia grande fortuna di riuscire a coniugare nella vita viaggio e lavoro. E poter avere un team di colleghi e collaboratori sparsi nei vari paesi che, con una ottimale organizzazione della professione, arriva a garantire un’attività continua ventiquattro ore al giorno giocando sui fusi orari, per almeno 6 giorni alla settimana (essendo venerdì, sabato e domenica giorni festivi nelle diverse zone del mondo).
All’inizio del 2020 è arrivato un virus, gli uffici sono stati chiusi e i viaggi dall’oggi al domani completamente sospesi. Grazie al cielo è rimasto il lavoro da portare avanti online, con grande gioia dei ‘viaggiatori di carta’ che si sono trasformati in grandi fan dello smart working: che bisogno c’è di andare in ufficio, si lavora perfettamente da casa, come dimostra il fatto che nei primi tre mesi di questa ‘nuova’ modalità di lavoro il grado di efficienza è notevolmente aumentato, senza considerare il risparmio sul piano economico con il venir meno delle spese vive degli uffici e, soprattutto, delle trasferte.
A questo punto rispondo io a loro con un “beati voi che non avete mai lavorato”, ovviamente sempre tra il serio e il faceto, ma in ogni caso essendo convinto che pensare di trasferire in toto il proprio ufficio nel salotto, studio o tinello di casa, magari portandosi sedia e monitor della propria postazione di lavoro, significa quantomeno assumere una posizione di comodo, da ‘viaggiatori di carta’ che diventano altresì ‘lavoratori di carta’.
Senza considerare il completo venir meno di una serie di componenti ‘normali’ del lavoro come veniva svolto prima dell’arrivo del virus: innanzitutto il fattore sociale, sostituito da caffè online e ‘aperichat’ che la prima volta divertono, la seconda diventano più brevi, la terza non si sa cosa dire dopo i convenevoli di apertura e alla fine non si fanno più; in secondo luogo, il percorso di apprendimento dei propri collaboratori, che passano da un lavoro di mark – up di un documento fatto insieme davanti allo stesso monitor a veloci scambi di documenti per email con altrettanto veloce revisione del lavoro fatto; poi la profondità nel trattare le varie tematiche stando in riunione a Bogotá o Buenos Aires, dove vengono sviscerati tutti i punti per arrivare a una soluzione in tempi brevi, situazione molto diversa rispetto alla discussione da fare online in un’ora perché poi inizia la riunione successiva e molto spesso si rinvia alla settimana dopo (sempre che si riesca a trovare un punto di incontro nelle varie agende); da ultimo, la giusta distanza tra vita privata e vita professionale, che nello smart working non sempre riescono ad avere quel momento di stacco quale normalmente si ha anche solo grazie al tragitto di ritorno da ufficio a casa (certamente inquinando un po’ e perdendo tempo nel traffico, ma per lo meno lasciandosi alle spalle contratti e contenziosi).
Ora stiamo tutti pensando al CD New Normal, laddove per quanto riguarda le professioni nell’ambito del commercio internazionale mi auguro vengano tenuti in considerazione due elementi fondamentali del pensiero del maestro Michelangelo Pistoletto:
– l’equilibrio tra i diversi modi di lavorare prima e dopo il virus, con la giusta misura tra smart working, lavoro in ufficio e trasferte;
– la responsabilità da parte sia dei ‘viaggiatori di carta’ sia dei ‘globetrotter di professione’ nel decidere cosa nella propria professione si possa risolvere lavorando da casa e cosa richieda invece le ore di viaggio per Bogotá o Buenos Aires.
Certamente inizierà una nuova era del modo di lavorare, nella quale equilibrio e responsabilità potranno essere il punto di partenza nel dare la risposta al quesito #come lavorerai?