The Preventive Peace Flag: è questo il titolo di una speciale bandiera del Terzo Paradiso di 280 cm x 500 cm che ha viaggiato issata sull’albero maestro di un catamarano da Bali a Raja Ampat, in Indonesia, nel contesto di Kayu in Viaggio, una mostra collettiva proposta dal 19 aprile al 2 maggio di artisti internazionali e indonesiani sul catamarano ELSSA. La bandiera, oltre a ricordare un’opera di Michelangelo Pistoletto, ossia La Venere degli stracci (il lavoro issato è composto da tessuti di scarto di un’azienda tessile locale), nasce dall’attuale ricerca sull’acqua dell’artista e ambasciatore Rebirth Marco Cassani, già sviluppata con la sua scultura fontana Ti Amo. “Vorrei che questa bandiera – ha affermato – realizzata con tessuti riciclati, diventi un simbolo per sensibilizzare il pubblico sul problema dell’inquinamento ed invitare il governo indonesiano a regolamentare lo smaltimento dei rifiuti, che purtroppo non è ancora regolamentato”. Il titolo del progetto espositivo si riferisce invece alla performance del 1977 L’Attico in viaggio, in cui il gallerista italiano Fabio Sargentini trasformò la sua galleria in una barca, invitando gli artisti a bordo dell’imbarcazione e a navigare sul Tevere. In questo caso, Kayu In Viaggio si propone di esaminare il concetto di opera d’arte come entità autosufficiente in grado di generare e acquisire nuovi valori all’interno di “una zona autonoma permanente dove gli oggetti sono semplicemente se stessi”; una ricerca nata nel 2016 con il quinto progetto di Kayu, Ritiro, una mostra collettiva a Bali e a Giava che ha portato avanti l’idea che le cose senza vita, o apparentemente senza vita, possano in realtà avere una propria esistenza. Il progetto è poi proseguito nel 2020 con l’undicesimo progetto di Kayu, We Move Amongst Ghosts, una mostra collettiva a Giacarta che esaminava il potenziale degli oggetti di richiamare i ricordi. Su quest’onda, la mostra ha indagato sulla condizione periferica o centrale dell’opera d’arte, riflettendo sullo spazio e sul tempo: Kayu in Viaggio ha infatti viaggiato senza una vera e propria destinazione. La mostra è stata visibile solo attraverso una documentazione fotografica e video che è stata pubblicata quotidianamente sulla pagina Instagram di Kayu Lucie Fontaine. Scopriamo ora tutti i dettagli del progetto espositivo dando voce a Marco Cassani.
Marco, partiamo dalla mostra collettiva Kayu In Viaggio, che pone la creatività in connessione con un quadro inconsueto, quello marino. Quali sono le implicazioni nel portare l’arte a viaggiare a bordo di un catamarano? Lo spazio espositivo ha a tuo avviso una rilevanza chiave nella fruizione dell’opera o quest’ultima può assurgere a prescindere dal contesto in cui si presenta?
Da anni rifletto sul concetto di opera d’arte come opera autonoma e capace di creare nuovi significati e valori in contesti diversi. A partire dalla mostra collettiva “Ritiro” che ho organizzato nel 2016 a Bali e a Giava e proseguita con “We Move Amongst Ghosts” nel 2020 presso il Museo di Belle Arti e di Ceramica a Jakarta, le mostre riflettono sulle opere d’arte nella loro identità e le collocano lontano dal classico contesto del “white cube”. Portare una mostra e delle opere d’arte in un ambiente insolito mi fa pensare a nuove domande e riflessioni: il significato dell’opera d’arte è influenzato dal contesto? Il contesto elimina il significato dell’opera o lo evidenzia o ne crea di nuovi? Influisce sul modo in cui abbiamo recepito l’opera? L’opera d’arte sprigiona energia indipendentemente dal contesto? Chi è il pubblico? In particolare, “Kayu in Viaggio” riflette sullo spazio e sul tempo: ispirata dall’azione di Fabio Sargentini “L’Attico in Viaggio” del 1977, l’idea è di liberare l’opera d’arte da una certa tensione, oppressione e densità presente in questo momento storico e dare al pubblico una distanza fisica e mentale per fruire l’opera: la mostra è visibile solo attraverso la documentazione video e fotografica pubblicata sul profilo Instagram @kayuluciefontaine. Dare all’opera la possibilità di avere un’eco per ispirare qualcosa di ampio e lasciarla in balia del vento e del mare. In questa mostra c’è sicuramente il desiderio di una non-terra, di ridurre al minimo la presenza fisica del pubblico e di raggiungere un contesto in cui le cose accadono, in cui la natura regna incontrastata. È una questione di distanza e di silenzio: si tratta di “rimpicciolire” le opere e la mostra e immergerle in un enorme contesto di azzurro cielo-mare e attendere la loro reminiscenza. È interessante vedere che l’organismo autonomo e indipendente dell’opera d’arte comincia a muoversi secondo questi dettami di tempo e di limiti. A bordo della barca si ha meno controllo rispetto a quando si è a terra: non esiste una definizione di controllo; tutto si muove continuamente, dettato dal mare e dal vento; le azioni diventano poi conseguenze delle cose che accadono. Ad esempio, a causa del maltempo, l’inizio della mostra è stato posticipato di due giorni e la chiusura dopo quattro, e non tutti i giorni abbiamo potuto issare le opere (bandiere). Vedere e rapportarsi con le opere in queste condizioni ti dà meno controllo sulla loro interpretazione e sulla loro lettura rispetto a quando le vedi in un contesto statico sulla terraferma. Sì, credo che lo spazio espositivo abbia un’importanza fondamentale nella fruizione dell’opera.
I protagonisti coinvolti – internazionali e indonesiani – sono stati invitati a progettare un’opera-bandiera prodotta a Bali che viene issata sul catamarano durante i dodici giorni di navigazione, da Bali a Raja Ampat. Da creativo, quali sono a tuo avviso le potenzialità artistiche di un linguaggio espressivo che prende forma passando per un vessillo?
L’acqua è un tema centrale nella mia pratica artistica. Bali, dove risiedo dal 2009, ha un forte legame con l’elemento dell’acqua: non solo perché è un’isola, ma anche per il profondo rapporto che la cultura balinese ha con esso. Quando ho ricevuto l’invito a salpare sul catamarano, ho subito intuito che fosse lo spazio perfetto dove inserire il mio lavoro e quello dei miei colleghi artisti: uno spazio tra luce, acqua e cielo. Personalmente mi interessava riassociare visivamente le monete dei desideri, uno dei materiali principali che utilizzo nei miei lavori, all’elemento dell’acqua utilizzando il vento e il riflesso della luce: da qui è nata l’idea dell’opera sotto forma di una bandiera che ha a che fare con la speranza. La mia bandiera di riferimento è quella bianca, quella della resa, associata al partito più debole. La vedo come una forma di nudità, in cui oltre a ciò non rimane più nulla: un’immagine dell’essenza dell’individuo in relazione al tutto. Intitolata “One of the Blessed”, la mia bandiera è composta da circa 300 nuclei di monete dei desideri appiattiti, cuciti su tessuto di raso nero. Quelle parti centrali metalliche sono residui della mia precedente serie di lavori intitolata “Fountains”, iniziata nel 2015 e tuttora in corso, in cui impilo le monete dei desideri che raccolgo una sopra l’altra per formare singole colonne. Durante la creazione della serie, ho forato le monete come anelli per ospitare il nucleo in acciaio inossidabile della colonna e ho riciclato quei pezzi centrali “avanzati” nell’opera “One of the Blessed”. Ho realizzato anche un video con lo stesso titolo che accompagna la mia opera, in cui riprendo l’atto di desiderare lanciando le parti appiattite della moneta su una grande bandiera di raso nero, lasciando la formazione della costellazione che appare sulla superficie al caso. Queste sono state le premesse per quando abbiamo invitato gli artisti selezionati a pensare e a disegnare la propria bandiera. La bandiera diventa espressione della presenza dell’artista, testimonianza di un’esistenza “Hic et Nunc”. Nel mondo marittimo, la bandiera è un linguaggio per comunicare con altre navi e per mostrare l’origine della nave. Issare una per una le bandiere degli artisti è stato anche come dare un profilo diverso alla barca, allo spazio espositivo.
Hai realizzato The Preventive Peace Flag, opera che pone sotto i riflettori il tema della moda sostenibile strizzando l’occhio alla Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto. È presente anche il simbolo del Terzo Paradiso, che hai composto cucendo tessuti di scarto accumulati da un’azienda tessile di Bali. Cosa si cela, a livello concettuale, dietro questo lavoro? La bandiera ha anche una funzione di denuncia o proposta?
L’idea è quella di avere un’opera di Michelangelo Pistoletto che sia una sintesi della collaborazione tra Cittadellarte e Kayu Lucie Fontaine, iniziata con il primo “Rebirth Forum – Sustainability Through Differences”, tenutosi nel 2018 a Bali. Un’opera che nasce dalle premesse del lavoro di Pistoletto, in particolare all’opera della “Venere degli Stracci”, come giustamente dici, ma che è concepita tenendo in considerazione le problematiche locali, in particolare quella dell’inquinamento delle acque a Bali e dell’Indonesia in generale. La mostra ha un forte rapporto con l’elemento marino e per noi è fondamentale avere l’opera di Pistoletto “a bordo” del catamarano. L’idea della bandiera del maestro è nata quando ho esposto la mia opera d’arte della fontana dei desideri “Ti Amo” a Giacarta nel 2022. L’acqua che ho utilizzato per la scultura della mia fontana dei desideri proveniva dalla sorgente del fiume Citarum, a sud di Bandung, sul monte Wayang , uno dei fiumi più inquinanti al mondo e principale fonte d’acqua per la città di Giakarta. Il motivo principale dell’inquinamento del fiume è lo scarico dei rifiuti tossici delle industrie tessili situate lungo il letto del fiume. Un problema non solo a Giava, ma che esiste anche a Bali. Da qui l’idea di utilizzare gli scarti tessili di un’azienda di moda specializzata in Batik con sede a Bali, per formare una bandiera di circa 5 x 3 metri con il simbolo del Terzo Paradiso. La bandiera vuole ispirare e far meditare sulla prevenzione dell’acqua. Durante la navigazione, anche nei luoghi più remoti, abbiamo trovato plastica in mare. Sarebbe bello se l’opera d’arte potesse sensibilizzare maggiormente al problema e sollecitare una migliore regolamentazione degli scarichi in acqua e l’uso sostenibile di materiali non riciclabili.
Focalizziamoci sulla dimensione cromatica. L’opera presenta molti colori, mentre il simbolo trinamico – pur con tonalità diverse – si mantiene sul blu. A cosa è dovuta questa scelta? È un modo per rimarcare il legame tra l’arte e l’elemento dell’acqua?
Quando ho proposto l’idea della bandiera all’azienda tessile, mi hanno accolto molto bene e mi hanno regalato sacchi di stracci avanzati dalla loro produzione. Gli stracci erano perlopiù colorati in seta con la tradizionale tecnica indonesiana del batik. La scelta dei colori è stata in base al materiale che avevamo e abbiamo iniziato a dividere gli stracci per colore: c’erano degli stracci blu intenso che mi hanno subito colpito per la loro intensità e il collegamento immediato con l’acqua e con l’idea di profondità, di liquidità e flusso continuo, caratteristiche associabili al simbolo del Terzo Paradiso di Pistoletto. Quindi, abbiamo deciso di utilizzarli per comporre il simbolo.
Ti confermi come figura di profonda connessione tra Bali e Biella: dal Rebirth Forum in Indonesia ad Arte al Centro 2022 a Cittadellarte – che ti vide protagonista con la tua scultura Ti Amo (fontana) – fino alla bandiera The Preventive Peace Flag. Ricoprire il responsabilizzante ruolo di ambasciatore Rebirth/Terzo Paradiso quale impatto ha avuto finora sulla tua pratica artistica?
Questo ruolo di ambasciatore ha creato un interessante ponte tra Bali e Biella e più precisamente tra Oriente e Occidente: allo stesso tempo questo mi ha permesso di riconnettermi con la mia origine, la cultura italiana. Il ruolo di ambasciatore aiuta a mettere in luce la parte sociale della mia pratica artistica che si allontana sempre più dalla presenza fisica umana e si avvicina alla sua reminiscenza e alle tracce da essa lasciate.