Può apparire difficile motivare l’utilizzo del linguaggio artistico senza inciampare nei consueti luoghi comuni che corredano la parola “arte”, come la libertà espressiva e la valorizzazione della creatività, quando lo si applica in un contesto dove la libertà e la personalità dell’individuo sono particolarmente limitate.
Episodi, comportamenti o stati d’animo negativi possono vedere una trasformazione attraverso una (ri)elaborazione artistica, innestando o alimentando un autentico processo di miglioramento?
Per provare a rispondere concretamente a questa domanda, riportiamo la testimonianza di Tiziana Massa, arteterapeuta bolognese specializzata presso ATI-Art Therapy Italiana, che all’interno del penitenziario di Bologna, meglio conosciuto come La Dozza, ha da poco concluso un ciclo di 10 incontri di arte terapia. In due di questi appuntamenti, in particolare, le detenute sono state portate alla scoperta dei significati del Terzo Paradiso. Quest’ultimo, abbattendo i limiti della comunicazione verbale, si è rivelato stimolante strumento di autoanalisi e di espressione collettiva.
In un’intervista tenuta a seguito del percorso, l’arteterapeuta racconta ai nostri microfoni l’evoluzione del progetto realizzato con il sostegno di ATI-Art Therapy Italiana e grazie a un piccolo finanziamento della curia di Bologna.
Tiziana Massa.
Tiziana, innanzitutto, come descriveresti a qualcuno che è esterno al settore l’arte terapia e le sue proprietà?
L’arteterapia è una disciplina che trova applicazione in diversi settori e ambiti, rivolgendosi a tutti. La sua natura di terapia espressiva non verbale consente l’accesso a contenuti profondi, inconsci e legati alla sfera psichica, senza prendere in causa la parola. Con questo linguaggio, che si serve di materiali e processi creativi, le persone riescono ad esternare i loro contenuti interni che diventano oggetti esterni visibili, a sè e agli altri. Un altro elemento determinante è il setting, ovvero un luogo, sia fisico che empatico, nel quale le persone possano sentire protezione e nel quale la libertà di espressione e il non giudizio vengano sostenuti. Una piccola oasi nella quale l’esperienza condivisa nel gruppo è fondamentale per la presa di coscienza personale. È stato grazie alla collaborazione tra artisti e psichiatri, iniziata negli anni ‘50 per trattare traumi psicologici causati dalla seconda guerra mondiale, che si è compreso l’innato potere curativo del processo creativo sulla psiche. Così nasce l’arte terapia.
Da dove nasce la volontà di introdurre all’interno di un percorso di arte terapia il simbolo del Terzo Paradiso e com’è stata applicata la formula della creazione all’interno del progetto?
Conosco bene i significati che il simbolo del Terzo Paradiso veicola e introdurlo all’interno di questo progetto, data la sua immediatezza cognitiva, sapevo che avrebbe aiutato a riflettere le detenute su tematiche profonde, stimolandole ad esprimere contenuti delicati. Inizialmente, più precisamente nel secondo incontro, il tema del lavoro era focalizzato sulla dimensione individuale. Per questo motivo ho fornito a ciascuna delle partecipanti un foglio A3 con sopra disegnato il simbolo trinamico di Michelangelo Pistoletto. La consegna consisteva nel completarlo, riferendosi alla propria vita, inserendo gli elementi opposti nei due cerchi laterali e generare qualcosa di nuovo e importante all’interno del cerchio centrale. Qualcuna ha percepito il potere effettivo della creazione, altre lo hanno compreso a pieno, alcune invece meno, ma complessivamente, per le reazioni generate, il processo ha funzionato. Ecco, devo dire che il grande cerchio centrale è stato un bacino che ha ospitato e generato contenuti importanti, come, ad esempio, la centralità dei propri figli per le detenute madri. Tutte hanno espresso e condiviso qualcosa di prezioso, una memoria di affetti e luoghi lontani, una linearità temporale con un passato, un presente e un futuro, un augurio, per se stesse o per gli altri. Per questo è stato uno strumento importante per arrivare in modo immediato al nucleo personale e a generare empatia nel gruppo. Il Terzo Paradiso è stato un catalizzatore di argomenti sensibili che ha contribuito a un’analisi individuale e a una condivisione collettiva.
Il simbolo del Terzo Paradiso ha di natura una vasta gamma di applicabilità in diversi ambiti di orientamento. Rimanendo con il focus sulla tua esperienza all’interno del carcere di Bologna, ci sono stati ulteriori sviluppi?
Proprio per la sua adattabilità a diversi contesti, alternando nel mio percorso proposte di lavoro individuale ad altre di gruppo, dopo alcuni incontri, ho ripresentato il simbolo trinamico, ma questa volta per un operare collettivo. Ho trovato stimolante la “risoluzione” del Terzo Paradiso con due modalità di espressione creative opposte, trovando un senso di armonia e integrazione al centro. Per questo motivo in uno dei cerchi ho chiesto alle detenute di operare artisticamente con la tecnica del collage. Questa tecnica richiede l’azione del taglio per realizzare le proprie tessere e forme, in questo caso di carta colorata. Il taglio nell’arte terapia coincide con l’individuazione del sé, si connette alla dimensione verticale; basti pensare che di fatto veniamo al mondo con un taglio che ci separa dalla madre.. Nel cerchio opposto invece, ho chiesto di utilizzare la pittura a tempera che richiama ad una dimensione orizzontale, fluida, alla relazione e ad una comunicazione scorrevole, di fatto l’utilizzo del pennello si avvicina al gesto morbido della carezza. Così, stimolando i due diversi approcci, si è cercato di utilizzare con padronanza entrambe le metodologie ed esperire le due diverse gestualità armonizzando le modalità espressive nel cerchio centrale. È importante non focalizzarsi su una singola tecnica comunicativa ed essere padroni, trovando un equilibrio, di varie espressività, anche opposte, in quanto ognuna è funzionale a qualcosa. Il lavoro proposto voleva stimolare, in parallelo, l’esperienza del gesto libero (la pennellata) e del gesto controllato (il taglio), un comportamento rispettoso per l’espressione di se stessi e quella degli altri, in uno spazio condiviso. Quest’area di lavoro era un grande foglio di dimensione 2,40 x 1,20 m.
Da quello che hai illustrato si può dedurre che questo percorso, approfondendo la condizione dell’incontro di diversi linguaggi e di comportamenti, abbia messo in luce vari aspetti dell’interazione interpersonale. Il progetto com’è stato affrontato dalle detenute partecipanti? Quali sono state le reazioni e gli sviluppi di questa esperienza?
Tengo a precisare che nell’arte terapia non c’è un risultato preciso da ottenere ma il lavoro viene modulato a seconda delle relazioni fra i partecipanti e la cultura di cui si fa portatore il gruppo stesso. Arteterapia come disciplina psicodinamica stimola la trasformazione alla luce dei processi che man mano emergono nel setting L’aspetto fondamentale di questo processo dinamico, oltre all’educazione al rispetto dell’espressione altrui e dunque a una convivenza in uno spazio di azione collettivo, è l’eco dell’esperienza che rimane all’interno dei singoli. Questo risuonare interno, che permane nel tempo, molto spesso non è verbalizzabile e potrà essere rielaborato nella pratica e nell’esperienze al di fuori del contesto artistico.