Perché diventare attori secondari sul palcoscenico della Terra ci aiuterà a nutrirci tutti
Editoriale d’opinione di Anna Moreno, ex direttrice del Dipartimento di Urbanizzazione Globale del CHPP (Progetto Cinese di Impollinazione a Mano), Spagna.
7 maggio 2068
Nel decimo anniversario della cancellazione ufficiale del CHPP (Progetto Cinese di Impollinazione a Mano), The Herald ha pubblicato un lungo articolo che ragionava sugli effetti a lungo termine della sua soppressione, focalizzandosi principalmente sui fattori sociali e politici che ci hanno fatto precipitare in un nuovo ordine delle cose senza nessuna limitazione dei danni. Il suddetto articolo rifletteva ciò che avviene sempre di più nelle fonti mediatiche dominanti, che adducono l’instabilità economica e l’aumento di disordini sociali nelle colonie d’impollinazione verticale come le ragioni primarie del declino del CHPP.
La ragione principale per cui sto scrivendo è di fatto la mia necessità di giustificare la mia originale ingenuità. La mia megalomania scientifica mi aveva fatto credere che l’alveare potesse essere replicato su scala planetaria. Al tempo, sembrava che tutto potesse essere costruito. Se c’è una cosa che ho imparato vivendo e lavorando in esilio insulare per una decade, è che dobbiamo rinunciare alla nostra concezione antropocentrica della progettazione urbana (e planetaria), ed è imperativo che lo si faccia insieme al nostro collaboratore più importante: l’ape, iniziando dal ricordare un fenomeno ben conosciuto a tutti noi, ossia il suicidio delle api.
La Cina aveva già implementato l’impollinazione a mano nei frutteti di Hanyan negli anni ’80 del ’900, ben prima che i primi articoli sul CCD (Disordine del Collasso della Colonia) apparissero su pubblicazioni scientifiche di tutto il mondo. La manodopera umana costava meno e l’ecologia forestale e la monocoltura sembravano troppo estese, eccessivamente presenti, per preoccuparsi del benessere degli alveari. Il CCD si era inizialmente diffuso nella valle e attraverso la provincia di Sichuan, dove il tasso di sparizione delle api aveva raggiunto livelli catastrofici durante la prima fase del collasso. Nonostante ciò, grazie all’eccesso di monocoltura e al successo del CHPP, questi non erano segnali allarmanti, almeno da una prospettiva economica. Naturalmente gli unici che avevano cercato soluzioni erano stati i soliti attivisti ambientali e le vittime dello sfruttamento dei loro territori naturali, come in Brasile, dove alla fine del 2019 la foresta amazzonica era stata decimata a un centesimo della sua estensione. Ignorato dai pezzi grossi, il danno era stato fatto.
Ironicamente, erano state proprio le api a rendere il cambiamento climatico innegabile anche ai conservatori più convinti, mentre lo portavano a uno stallo drammatico sacrificandosi in massa creando un effetto domino: prima in Cina, poi in California e Canada, fino a che intere popolazioni di api sono scomparse più o meno ovunque. Alcuni di voi forse ricordano il terrore costante e la fluttuazione quasi comica dell’economia quando i prezzi della tecnologia dei pannelli solari e delle turbine erano balzati a livelli che solo l’oro e il petrolio hanno mai raggiunto.
L’emergenza più grande era però il cibo e, di conseguenza, l’agricoltura. Tra il 2029 e il 2048, durante la Gold Pollen Rush (la corsa al polline dorato), il Progetto Cinese d’Impollinazione a Mano si è inserito con stupefacente opportunismo, presentandosi come l’unica soluzione immediata efficiente e praticabile nella maggior parte delle nazioni del mondo. Era una risposta d’emergenza, e molto redditizia. Presto, un conglomerato capitalista aveva assemblato un enorme team di scienziati, economisti, legislatori e ingegneri che la gente aveva soprannominato The Chap. Ed è quando sono diventata la direttrice del suo dipartimento di urbanistica.
Nei miei anni formativi, facevo parte di un gruppo di esperti dell’Università di Barcellona a cui, data l’urgenza di affrontare l’aggravarsi della siccità, la crescita esponenziale della popolazione e la scarsità di spazio per la monocoltura (la misura devastante adottata dalle varie nazioni per mettere fine alla carestia causata dalle inadeguate tecnologie d’impollinazione), venne in mente l’idea di riprendere il concetto di architettura brutalista sviluppata in altezza. La pianificazione in verticale della città era uno strumento efficace per concentrare grandi gruppi di popolazione in pochi isolati, così che la maggior parte del territorio restasse a disposizione dell’agricoltura. Quelli sono stati momenti emozionanti per me, dopo aver scritto una premiata tesi di dottorato sulla ri-attualizzazione delle abitazioni modulari degli anni ’70 in tempi di condizioni ambientali estreme, venivo nominata direttrice del dipartimento di urbanistica di The Chap, in cui sarei stata alla guida di un team che avrebbe progettato la ridistribuzione degli spazi urbani in ‘colonie verticali’.
I blocchi abitativi razionalisti che avevano proliferato nelle città europee e americane nelle decadi dopo la seconda guerra mondiale erano stati ampiamente criticati come esperimenti sociologici (spesso ingenuamente marxisti) falliti. Al contrario, la nostra ridefinizione di edifici sviluppati in altezza introduceva l’idea di enormi conglomerati che avrebbero concentrato moduli per vivere, il tempo libero, il commercio, la sanità e l’eduzione in una sola colonia, liberando in questo modo milioni di ettari per l’agricoltura. Essendo il nostro quartier generale a Barcellona, abbiamo adattato gli esperimenti architettonici che El Taller de Arquitectura di Ricardo Bofill aveva intrapreso circa 100 anni prima, come Walden7, la ‘città verticale’ del 1975 che ancora oggi si erge tra le rovine della zona industriale di Barcellona, come testimone derelitto di un tempo in cui le utopie architettoniche erano legato al progresso e non alle misure d’emergenza.
Il nostro punto di partenza era la duplicazione di cellule identiche (o moduli) posizionate secondo formule matematiche, una tecnica sviluppata negli anni ’70 da El Taller de Arquitectura. Abbiamo adottato il cubo come nostra unità modulare principale, che si sarebbe ripetuta in formazione di crescita. Questa ripetizione provoca una sorta di urbanizzazione automatizzata, dato che i cubi, quando vengono raggruppati, definiscono la città e le sue funzioni, in modo simile alle file di esagoni dentro agli alveari. Essenzialmente, il modo di procedere è quello di fissare un asse attorno al movimento isometrico di un parallelepipedo in uno spazio lungo una griglia ortogonale tridimensionale. Un cubo può infatti essere spostato lungo il suo asse, ma anche rotato, riflesso, o mosso nelle diverse combinazioni di questi processi. Nel Grande Rinnovo Urbano, durante i primi anni di governo di The Chap, abbiamo estensivamente usato questa formula per erigere tessuti urbani a megastrutture, che potevano sorgere isolate o inserirsi nell’ambiente urbano circostante, ed essere ripetute all’infinito. I vantaggi erano significativi: questa formula rendeva la costruzione più facile ed economica attraverso l’uso di materiali standard prefabbricati, mentre il design urbano su grande scala diventava più adattabile grazie al ripetersi dei componenti. In termini di design sociale, similarmente alle aree residenziali create per gli operai durante la rivoluzione industriale, le colonie verticali davano convenientemente accesso ai campi circostanti a milioni di impollinatori.
Questo divenne poi un elemento chiave, in quanto presto emerse che era semplicemente impossibile che gli agricoltori potessero implementare l’impollinazione a mano su larga scala. Era praticabile nel caso dei pochi raccolti che riscuotevano alti prezzi e comunque solo quando i costi di manodopera erano bassi (quindi praticamente mai). La tecnica richiedeva che qualcuno afferrasse ogni singolo fiore e, usando bastoni da impollinazione fatti con piume di gallina e filtri di sigaretta intinti in bottiglie di plastica piene di polline, ogni operatore riusciva a impollinare solo dai 5 ai 10 alberi al giorno. E a peggiorare la situazione, spesso venivano illegalmente impiegati i bambini, dato che loro erano gli unici che riuscivano ad arrampicarsi sugli alberi per raggiungere i rami più alti e più fragili.
Nella decade successiva, il rapido decadimento delle condizioni di lavoro e la conseguente moltitudine di proteste aveva portato al crearsi di un’élite che a fatica cercava di salvare il salvabile dal cadere in un caos totale. E seguì il caos. L’ufficio risorse umane di The Chap si orientò quindi verso la robotica. A ragion veduta, quella mossa fu assolutamente ingenua, alcuni direbbero addirittura antagonistica. Quasi immediatamente, la società affidò tutti i suoi investimenti a una compagnia che si chiamava RoboBee e ad altre che si occupavano di impollinazione artificiale meccanica, lasciando migliaia di impollinatori disoccupati (solo una parte di loro fu ri-impiegata in programmi di formazione di RoboBee con funzione di controllo umano a distanza). Quella manovra si rivelò tecnicamente ed economicamente impraticabile, in quanto comportava rischi ecologici e morali ancora più gravi dell’impollinazione a mano. In alcune aree, abbandonare le zone residenziali verticali e stabilirsi in municipalità autonome divenne la pratica comune. I mezzi di comunicazione riportavano immagini di ciò che sembravano sciami di umani che si stabilivano in comunità apparentemente anarchiche, mentre le proposte di facilitare il ritorno delle api iniziavano a farsi sentire sempre più forti.
Privo di scopo e attaccato su tutti i fronti, The Chap si dissolse in diverse società fantasma e alcuni dei suoi leader politici furono imprigionati. Io sono stata fortunata perché sono stata considerata aliena alla struttura gerarchica dell’organo di potere che governava la società e dichiarata una ‘semplice designer’ durante l’investigazione criminale. Ho poi deciso di isolarmi in una nuova zona residenziale alle Canarie (Spagna), dove una specie nativa di palma, la Phoenix Canariensis, stava dando risultati eccezionali come ospite per le api sciamanti.
È imperativo che usiamo la conoscenza acquisita durante l’era di The Chap non solo come un promemoria, ma anche come un deterrente. Attraverso questa cronologia spero di riuscire a tracciare uno schema per capire quella che sta diventando la rottura ideologica più repentina dalla guerra fredda del XX secolo. Gli esperti l’hanno definita la ‘teoria dei due oceani’, un nome che sta sempre più guadagnando popolarità sui social media e nel mondo accademico, similarmente al termine ‘antropocene’. Le Americhe (del Nord, Centrale e del Sud) si stanno indirizzando verso quello che è ampiamente conosciuto come Queen B, un’economia guidata dalla tecnologia blockchain di Bitcoin e dal sequestro dei restanti satelliti; allo stesso tempo l’Europa e l’Asia si sono rivolte a un sistema che fa affidamento sulla deteriorabilità del miele per promuovere la cultura del commercio e lo scambio all’interno e tra le colonie, potenziata dall’intelligenza artificiale e l’automazione, chiamato The Hexagon Honey Trading System (il sistema commerciale del miele ad esagono).
Negli ultimi anni di The Chap, gli Stati Uniti hanno pompato risorse nella loro rete satellitare. Con un opportunismo sbalorditivo e usando tutto il loro potere diplomatico, hanno sequestrato i satelliti che erano rimasti in orbita. L’incertezza economica che ha seguito il collasso ha fatto sì che alcuni dei più ricchi cittadini americani investissero i loro soldi a corso legale nel sistema blockchain di Bitcoin attraverso la rete, e gradualmente il resto dell’America ha finito col fare la stessa cosa. Con una rete controllata col supporto degli Stati Uniti, si è stabilita una nuova gerarchia d’accesso. I prestatori di Bitcoin funzionano come funzionavano le banche e riscrivono le leggi, assumendo un controllo centralizzato di intere città. Alcuni attivisti hanno accusato gli apicoltori di imporre il monopolio su alcune colonie urbane. Gli apicoltori sono diventati tra i cittadini più potenti, arricchendosi enormemente attraverso il controllo di diverse colonie in competizione tra di loro per quanto riguarda i servizi e la maggior capacità di battere moneta. Di conseguenza, la caccia illegale all’ape regina è una pratica in aumento, e alcuni alveari si sono trasformati in fortezze di sorveglianza, per quanto l’idea di controllare le api sciamanti possa sembrare assurda. C’è tuttavia un grande divario tra le colonie di campagna (più vicine ai grandi sfruttamenti agricoli) e le colonie di città (che concentrano un numero più alto di edifici sviluppati in verticale). Le colonie rurali spesso emettono la loro valuta in base ai Bitcoin sotto il loro controllo e alla quantità di colonie floride di api che posseggono. Queste valute locali sono stabili e non suscettibili alla speculazione. Al contrario, le colonie di città hanno adottato una forma di riserva frazionaria emettendo nuovo conio in proporzione ai loro beni, che porta a una fluttuazione aggressiva.
Dall’altra parte dell’oceano, cicli ecologici determinano l’economia e i suoi flussi, che sono influenzati dai sistemi di scambio che si trovano in natura. Europa, Asia e Africa hanno ora un’economia basata sul commercio con il miele come valuta principale, che viene incapsulato in contenitori di cera di forma esagonale, da qui il nomignolo. Il miele è un bene deperibile, una caratteristica che definisce l’economia che serve, e promuove quindi lo scambio continuo scoraggiando l’accumulamento e la speculazione. Le società che fanno parte del sistema economico si sono riorganizzate secondo uno schema di governo non centralizzato in cui i cittadini valorizzano il benessere dell’alveare più dell’aumento della produzione del miele, che creerebbe troppo stress alle api. I cittadini dedicano la maggior parte della loro giovinezza a studiare profusamente qualsiasi cosa relativa alle api e all’apicoltura, e le leggi dell’alveare sono ora state adattate per diventare le leggi dell’economia. Per quanto possa sembrare simbiotico, questo sistema è destinato all’instabilità. Faticando a bilanciare la produzione con il mantenimento, la fragile ecologia di questa economia può prosperare solo senza minacce esterne, e la popolazione in continua crescita nel settore Queen B sta rendendo il loro modello urbano quello predominante, che mette a rischio questo sistema guidato dal municipalismo.
Quello che non tutti sanno è che sono stati l’apicoltura tradizionale e le minime differenze tra le specie di api che hanno provocato la divisione del mondo nei sistemi menzionati. Si pensa che solo l’Apis mellifera, l’ape da miele occidentale, sia originaria di Europa, Asia e Africa. Queste api furono uno dei primi insetti addomesticati, e sono ancora le api prevalentemente allevate dagli apicoltori. L’ape da miele è una specie importata in Nord America e nella maggior parte delle altre nazioni, tutte le api da miele in America sono api selvatiche portate dai colonizzatori. La mia tesi è ora che questo fattore ha avuto un’influenza determinante nella nostra relazione più o meno simbiotica con questa specie.
Mi trasferirò presto in Australia, un altro luogo in cui la Phoenixis Canariensis può prosperare, per fare consulenza sulle nuove fattorie verticali sperimentali che stanno convertendo alcune abitazioni multipiano in complessi idroponici, altre in megastrutture per l’apicoltura. Sto progettando un sistema di tubature simile a un gigante labirinto che permetterà ai bombi di spostarsi dalle mega-arnie alle fattorie e aiutare con l’impollinazione. L’Australia e alcune parti dell’Antartide sono considerati territori neutrali. Il loro isolamento dal continente li rende aree di sperimentazione ideali.
Permettere alle api di tornare a numeri salutari tali da restare in grado di nutrire la popolazione in costante aumento richiede misure drammatiche. Spostare il peso dell’agricoltura altrove e trasformare le nostre città verticali derelitte in fattorie verticali è la nostra unica speranza. Adesso mi è chiaro. Avremmo dovuto guardare, ascoltare e imparare a sciamare come un organismo unico. Ripensandoci, vedo la mia esperienza di vita come una metafora della storia recente dell’umanità. Mi trovo ora ad abitare un corpo in decadimento, e nell’ultimo quarto della mia esistenza sono ritornata a studiare. Sono mortificata dai miei fallimenti nel campo dell’urbanistica, perché le api sono gli urbanisti perfetti. È fondamentale che impariamo a inchinare la testa come specie, perché in questo momento potremmo dover agire come specie secondaria. Dobbiamo permettere alle api di proliferare e vagare, dobbiamo osservare e seguire il loro esempio in silenzio mentre scrivono nuove plausibili narrative per il futuro.