La prima cosa che capisci quando vedi Ithra è che l’arte è chiamata a sancire una vittoria, presunta o meno che sia. Quindi, ti resta solo da scegliere quale delle due questioni affrontare. La prima: vittoria? La seconda: perché l’arte serve a questo genere di cose.
Rispondere alla prima questione viene, a qualcuno come me, piuttosto amaro, perché comporta riconoscere che il petrolio, nonostante la sua preconizzata fine, è oggi più in auge che mai. Quindi, la vittoria sarebbe quella dell’economia del petrolio, da un secolo maledizione – e benedizione – dell’Arabia Saudita. E non solo la sua.
Tipicamente le vittorie sono celebrate con i fastosi caratteri del trionfo. All’uopo qui non si è scelto l’arco. Piuttosto l’iconico volto del leasure culturale, sul modello archistar. Landmark, si dice. Questi simboli andranno a riempire le riviste e i cataloghi dei tour operator. L’operazione è precipuamente finanziaria. Monopoli docet. I terreni sono voci strategiche nei bilanci dei grandi fondi di investimento. Strategiche perché possono conoscere saggi di rivalutazione del 500 per cento, o chissà. Purché si realizzino su scala territoriale operazioni di riqualificazione immobiliare.
Armona Pistoletto, Iole Persano e Paolo Naldini davanti a Ithra.
Le hall d’ingresso al piano terreno di Ithra.
Questi pachidermi futuristici e modernisti progettati da megastudi d’architettura globali faranno proprio al nostro caso, dovesse capitarci di trovarci nella situazione di partecipare a operazioni di questo genere. Facciamo caso che in bilancio abbiamo una posta scritta a immobilizzazioni materiali e terreni del valore di 100 milioni; ne investiamo altri 100 (che ci facciamo prestare a tasso pressoché zero) e nel giro di tre anni la rivalutazione fondiaria ci porta anche a 500 o più. La leva finanziaria trasforma questo incremento moltiplicandolo di n volte. Lo stato penserà a sostenere il funzionamento di queste megamacchine culturali (per così dire) e i servizi urbanistici in grande stile ad essi connessi. Noi e gli altri proprietari dei terreni costruiremo grattacieli per hotel, uffici e centri commerciali.
Il trionfo del petrolio a Dammam, dunque, assume il volto di un edificio dalla forma organica di 4 pietre gigantesche rivestite di una traslucida pelle di acciaio; per la verità di tubi di acciaio, attraverso cui, spiegano, corre l’aria operando un sistema di termoregolazione assai efficiente in termini di risparmio energetico. Ithra vuol dire in arabo raggiungimento, successo, ci spiega un entusiasta ragazzo nella sua galabiya bianca e kefya a scacchi d’ordinanza.
Mostre e installazioni interattive.
Perché si è scelta questa esatta collocazione? Perché qui sorge, o meglio, sprofonda, il ‘pozzo della prosperità’. Si stupisce che non conosciamo il prodigio. È il pozzo di massima velocità di pompaggio dell’Arabia Saudita. Il che lascia presumere che possa ben vantare il primato mondiale di questa mirabile caratteristica. Ora capiamo meglio i posti di blocco con serrato controllo per accedere al portentoso edificio: siamo all’interno del compound di Aramco, la prima società petrolifera saudita, collocata in borsa giusto due giorni fa, rompendo ogni precedente record. È ora ufficialmente la più grande società al mondo. Valore di borsa: due mila miliardi di euro. Il PIL italiano, più o meno. Una volta e mezza Apple e Google. Si diceva vittoria, trionfo? Difficile negarlo senza ricorrere a tortuose argomentazioni dal sapore vagamente moralistico.
Children’s Museum.
Passiamo con un certo senso di delusione, almeno alcuni di noi, alla seconda questione, forse qui troveremo qualche ragione di maggior soddisfazione. Perché l’arte serve a esercizi di questa fatta? La domanda va precisata. Non va malintesa. Non vogliamo chiedere perché si presti a questi esercizi. Tale domanda sarebbe retorica e la risposta la conosciamo tutti senza bisogno di grande studio. Piuttosto, il senso della questione è: perché l’arte e non piuttosto la scienza, lo sport, il paesaggio, la tecnica? Perché sorgono sempre più numerose ed eclatanti le cattedrali dell’arte, e dell’arte contemporanea, per di più? Biennali, fiere, festival… se anche qui siamo ci aspettiamo di trovare il segno della finanza, forse dovremo affinare un po’ la nostra grossolana analisi per scoprire qualcosa di più sottile o profondo, senza nulla voler togliere alla profondità dei fondi sovrani e di investimento. La finanza molto semplicemente perché i mercati finanziari scontano la perdita di fiducia della crisi del 2007 e soprattutto il crollo dei tassi che portano gli investitori letteralmente a non sapere che fare delle loro immense fortune. Ognuno la sua pena. E in tale penosa circostanza, qualcuno propone l’oro, altri i diamanti, i più avventurosi le criptovalute. Ma anche l’arte esercita il suo eterno fascino. Soprattutto quando viene taggata con cifre a sei, sette zeri.
La biblioteca di quattro piani stile Guggenheim di New York.
Risolto allora il capitolo finanza, cosa resta? Perché l’arte appare appropriata a celebrare i fasti della vittoria del vincitore? Forse, volendo estremizzare, non ha mai fatto altro. Dai tempi degli antichi egizi a Roma, l’arte paleocristiana e cristiana e bizantina e islamica… e il Rinascimento! L’umanesimo che all’arte commissiona la grande narrazione della propria figura, l’uomo, l’individuo, il suo corpo terreno, e il suo dominio sulla natura. L’arte regala alla emergente classe borghese del ‘500 europeo niente di meno della prospettiva. Il lasciapassare. La road map della modernità. In quel disegno si configura un passaggio che si può cogliere operando alla parola d’ordine premoderna, in inglese, GOD, una elisione dell’ultima lettera. Resta un imperativo, un incoraggiamento irresistibile. GO. E su quel go siamo andati alla conquista del mondo. Le Americhe, e poi l’Africa e ogni altro pezzetto di terra ovunque fosse. La prospettiva che disegna un campo aperto e progressivo davanti a noi ci ha portati fin qui. Allora forse è questo che ora andiamo ansiosi e impauriti a domandarle facendo la coda ai musei e alle mostre, ai piedi di nuove cattedrali laiche ma non meno religiose di quelle precedenti. Una nuova prospettiva. Perché mai? Non siamo contenti più della classica, rinascimentale, illuminista, industriale, e finalmente moderna prospettiva?
Un’immagine panoramica della mostra MARA’INA.
Iole Persano, Armona Pistoletto e Paolo Naldini.
La nostra rapida e poco ortodossa speculazione di fronte a Ithra ci ha portati a coltivare questo interrogativo. Entriamo dunque, forse qualche indizio si annida all’interno.
Ci accoglie una hall che richiama la piazza. Una foresta luminosa di colonne di cemento, altissime pareti di sabbia e pietrisco pressati, colonne di legno lamellare alte 20 metri, installazioni artistiche, un enorme ingresso verso il Children’s Museum, e poi la mostra MARA’INA, che significa ‘i nostri specchi’. E nella prima un quadro specchiante di Michelangelo Pistoletto, la ragione del nostro viaggio, in effetti. Iole Persano di Galleria Giorgio Persano ha curato la commissione da parte di Ithra di un’opera di Michelangelo dedicata alla società saudita contemporanea.
Lo specchio, come spiega Michelangelo, riapre la prospettiva che il XX secolo aveva chiuso. Mondrian e Pollock e a suo modo Fontana parlano di questo muro su cui si infrange il sogno del progresso. Go? No, go non funziona più. Ma nessuno sa dove andare, senza quella istruzione. Nello specchio invece ritroviamo la strada. Percorrerla si può: voltandosi e tornando sui nostri passi, uscendo dalla rappresentazione all’interno del quadro specchiante, e incamminandoci nella azione dispiegata nello spazio della realtà. Questa inversione a u è una curva. E richiama la forma di un cerchio piuttosto che quella di una retta. La circolarità è dunque il nuovo disegno che l’arte porta alla società? È questa la risposta alla domanda iniziale? Che cosa cerchiamo dall’arte oggi, quando i riferimenti consueti ci vengono a mancare? Riconsidero allora la forma architettonica e archetipica di questa Idra Ithra e le sue movenze arrotondate mi richiamano anch’esse l’idea della circolarità, dei cicli, della natura. Non posso evitare di considerare che cosa sono venuto qui a fare. Porto la visione del Terzo Paradiso e l’Arte della demopraxia. La prima è espressa da un simbolo formato da tre cerchi. La seconda si svolge intorno a tavoli, che ne sono il segno, lo strumento, lo spazio e la cifra.
Conference and Exhibition Hall. Paolo Naldini e Armona Pistoletto.
Nelle foto, da sinistra: la cisterna dell’acqua e il locale ‘SALT Albahar’ sulla Corniche.
Se si chiede all’arte una nuova prospettiva, Cittadellarte risponde con il cerchio, la circolarità è il nuovo progresso, il congiungere senza fine passato e futuro in un presente che fluisce nell’armonia dell’incontrarsi, non nella fuga in avanti.
Gli architetti norvegesi che hanno progettato Ithra forse si aspettavano che in fondo il loro edificio rappresenta una domanda, più che una risposta.
Il regno di Arabia Saudita potrebbe portare questa prospettiva in molti campi, 17 sono individuati dalla Nazioni Unite con l’Agenda 2030, altri sono più specificamente sauditi e nessuno meglio di loro stessi può individuarli.
Il quadro specchiante di Pistoletto mette la società saudita di fronte a se stessa.
Cittadellarte, con l’opera demopratica, può offrire visioni e metodi per uscire dalla rappresentazione del quadro e incamminarsi nel mondo come artisti portatori di libertà e responsabilità.
Ithra chiede.
Cittadellarte risponde.
E adesso?