Cara Ginevra,
mi chiedi di scriverti per aggiornarti sulla situazione in Italia.
Non avrei mai voluto darti le notizie che sto per comunicarti: viviamo come in un incubo, una realtà irriconoscibile, le nostre abitudini e certezze svaniscono, ma per molti di noi non è facile gestire il vuoto che lasciano. Così alcuni cercano di fare finta di niente, mentre l’intera società intorno a loro si mobilita come in guerra, perché ormai questa è la realtà: il nemico non è una potenza straniera, ma un male la cui velocità di diffusione supera la capacità del nostro sistema sanitario di fronteggiare le necessità di cura. Come affrontare il fatto che sia possibile che presto, negli ospedali dell’area di Milano, potrebbe accadere che i ricoverati destinati al reparto di rianimazione non siano presi in cura, cioè non siano attaccati alle macchine per la ventilazione assistita, se hanno più di 60 anni? L’ospedale è il luogo della cura e siamo cresciuti con la convinta e a volte scontata attesa che ogni rimedio disponibile alle possibilità della scienza e della tecnologia ci sarebbe stata somministrato, gratuitamente e sollecitamente, in caso di bisogno. Così è stato fino a oggi. Oggi, medici e infermieri sono costretti quotidianamente e ripetutamente a decidere quale paziente intubare, e quale lasciare morire. Seguono codici e metodi studiati all’università che per molti di loro (tranne una minima parte che sarebbe comunque andata in missione in zone di guerra o calamità naturale) doveva restare una preparazione accademica, e non la realtà del proprio lavoro in cui svegliarsi ogni mattina.
Queste notizie incredibili e angoscianti trapelano solo da ieri al di fuori degli ospedali. C’è un tale terrore del panico, che gli amministratori pubblici tendono a comunicare al pubblico un quadro non vero. Purtroppo, questa comprensibile cautela, comporta che troppo pochi cittadini assumano i comportamenti che costituiscono l’unica effettiva possibilità di fronteggiare il virus, il cui effetto, cioè, sia quello di limitare la diffusione del contagi. Si sa che cosa dobbiamo fare, e si sa che per farlo in modo efficace e su scala sufficiente ad arginare l’epidemia serve innanzitutto eliminare le occasioni di contagio.
Ginevra e Paolo Naldini.
I contagiati sono passati da 1500 del 1 marzo a più di 10mila di oggi (10 marzo, ndr). In neanche 10 giorni. Ma sappiamo che in molti casi non vengono fatti i testi. Io sono a casa da domenica, ho contattato il medico di famiglia e poi il numero nazionale emergenza COVID-19; ho i classici sintomi tranne l’affaticamento respiratorio, i miei collaboratori incontrati nei giorni scorsi provengono dalle zone più colpite d’Italia; eppure, mi viene detto di prendere la Tachipirina e, nel caso i sintomi peggiorino fino a sentire fatica a respirare, allora chiamare l’ambulanza o il medico di famiglia. Tuo zio Massimo mi racconta che un suo collaboratore che abita in una delle città della zona milanese più colpite, rientrato dalla Cina a febbraio, ha visto ammalarsi e morire madre e suocera, e la moglie ricoverata in rianimazione: ma dice anche che le due donne non sono state considerate morte per il COVID-19. Penserai che gli sia stato stato fatto il test, visto che ha avuto frequenti contatti con quel collaboratore e visto che ha sviluppato anche lui i tipici sintomi (compresa una difficoltà respiratoria): no, negato, a lui e alla zia a cui il medico ha diagnosticato una pleurite, cioè una infiammazione della pleura, la membrana polmonare, guarda caso… ma non si parla nel suo caso, nel loro caso, di COVID-19. Quindi, i veri numeri devono essere molto più alti di quelli ufficiali. Ciò che conosciamo è certamente sottostimato. Eppure la realtà che i numeri ufficiali rappresentano è terribile: in Lombardia ci sono già accertati più di 6000 contagiati di cui ricoverati in terapia non intensiva 3000 e 466 in terapia intensiva (ci sono 900 dimessi e 400 deceduti): quindi, vedi che i ricoverati sono quasi due su tre (includendo anche i deceduti). Su tre ammalati, due finiscono in ospedale: non è una semplice influenza! E pare che le corsie siano piene anche di ‘ragazzi’ della mia età, sotto i 50.
Dicevo che sappiamo che cosa dobbiamo fare: Wuhan sta ora vedendo calare moltissimo i contagiati. E anche nella città di Codogno, epicentro italiano, oggi abbiamo avuto zero nuovi contagi, per la prima volta. Perché? Perché sono state prese misure drastiche! Città chiusa e tutti si resta a casa. Non si va a lavorare, né altrove se non per gravissime ragioni. Eppure, anche se ieri il Governo ha varato misure senza precedenti nella storia del nostro paese (che pure ne ha viste tante di calamità e pure di pesti), non siamo arrivati a una reale chiusura delle città e delle case: non c’è stata la volontà, essenzialmente per ragioni economiche e di prevenzione del panico. Ma entrambe le motivazioni sono irrazionali: economicamente, come molti imprenditori sostengono, conviene una chiusura totale ma più breve e chiara possibile, piuttosto che una lunga e confusa chiusura parziale, tanto più se gli interventi blandi fanno sì che il contagio si diffonda in modo esponenziale e rischi di diventare una bomba insostenibile da tutti i punti di vista. Per il panico, invece, temiamo davvero che se si lascerà che i contagi crescano a questo ritmo, avremo presto cadaveri di cui non si potrà nemmeno disporre dignitosamente, e scene che pensavamo di vedere solo più nelle serie apocalittiche americane, seduti su un divano in una notte d’inverno.
Cosa fare?
– oggi si deve andare tutti in vero isolamento in casa per almeno due settimane;
– in queste due settimane, dunque, non ci dovrebbero più essere nuovi contagi, né nuovi ammalati, ma tutti i contagiati del passato cadranno malati in questo periodo;
– se invece non si va in isolamento, non ci sarà mai una fine al contagio, nemmeno si incomincerà a combattere davvero, i contagi cresceranno come adesso; il doppio ogni 2, 3 giorni… in 3 settimane, se non intervengono fattori diversi, saranno contagiate un numero di persone impressionante e impensabile! Sarà la ‘fine del mondo’, nel senso che oltre alla morte di tantissima gente, ci saranno disordini e violenze (chi assicurerà l’ordine pubblico?) e gli incubi che abbiamo sognato (e in parte vissuto) nella storia si realizzeranno davanti ai nostri occhi;
– per sconfiggere il virus nel mondo serve la collaborazione di tutti, ma c’è dell’altro;
– ognuno può (e deve cominciare a) sconfiggerlo nel proprio ambito famigliare: se un gruppo che vive nella stessa abitazione si sarà isolato dai contatti con altri per due settimane, allora a quel punto tutti i membri del gruppo saranno ‘sani’: o hanno già fatto la malattia o non ne sono ancora stati contagiati;
– a quel punto, cioè dopo due settimane, ci sarà una situazione molto diversa da oggi. Il virus non ha rallentato. Vuol dire che l’isolamento non ha funzionato, gli ospedali sono intasati, la gente muore ogni giorno a migliaia, moltissimi anziani e adulti e giovani immunodepressi moriranno. Un’ecatombe drammatica che non risparmierà nessuna famiglia. Oppure il virus ha rallentato. Le misure funzionano. Forse in certe situazioni si possono introdurre delle modifiche all’isolamento. Gli ospedali possono rispondere alla richiesta. C’è tempo per organizzare altri ospedali e medici etc… In poche parole: il virus verrà sconfitto, col tempo, non si sa quanto.
Io penso a te, Ginevra, che vivi con i tuoi tre amici, che ben conosco, ragazzi in gamba, intelligenti e sensibili, capaci di andare contro corrente col pensiero e con le azioni. Capisco che intorno a voi tutto sembri normale, e che quindi le mie parole vi sembrino cantare una canzone stonata. Ma credetemi: neanche dieci giorni fa, in Italia eravamo come voi adesso. La gente pensava che tanto solo gli anziani con plurime malattie gravi sarebbero morti, e a questo pensiero si sentiva sollevata, senza ammetterlo, certo; ma di fatto, poi, si comportava come se non avesse realmente intenzione di evitare quello scenario.
Ma davvero vogliamo fare morire così i nostri anziani? E chissà quanti andranno via con loro pur essendo anche non anziani! Vogliamo far finta di niente e continuare ad andare al pub, alle feste, ai concerti, ma anche in metropolitana e in treno e al lavoro e in ogni altro luogo delle città come se il virus non avesse già contagiato più di 100mila persone nel mondo (ufficialmente)?
Ginevra e Paolo Naldini.
Preparatevi: non so tra quanti giorni, anche a Londra scoppierà questa malattia. E i governanti a quel punto non esiteranno più come fanno ora.
Prima vi fermate, meno morti e danni conterete. Prima tu deciderai di ridurre o eliminare i tuoi incontri con altre persone, e prima smetterai di essere una potenziale contagiata e una potenziale trasmettitrice di contagio.
Resta a casa. Diffondete il contagio dell’impegno per gli altri, che oggi paradossalmente si realizza restando a casa. Subdolo il virus COVID-19, che si diffonde attraverso la socialità, che usa per infettare l’altro la mano che ci porge in segno di saluto o di aiuto. Usa l’ultimo bene comune che ci unisce, l’aria, facendo sinistramente della condivisione un sinonimo di infezione. Subdolo perché viaggia con la musica delle nostre parole scambiate quando ci incontriamo, quando ci raccontiamo, quando ci proponiamo. In attesa che gli scienziati trovino una cura, intanto che i medici e gli infermieri fanno sforzi immensi per salvare vite, la parte che ognuno di noi può fare comincia da un esercizio di sottrazione. Un passo indietro. Rientrare a casa. Convivere con i nostri amici e famigliari per un lunghissimo periodo di due settimane: se tutti lo facessimo, il virus sarebbe sconfitto nel mondo. So che non sarà possibile, ma possiamo dargli un forte colpo e farlo rallentare, rallentare abbastanza da permettere al sistema sanitario e agli amministratori pubblici di reggere l’urto e prendere tempo, tempo prezioso per trovare l’arma capace di sconfiggerlo una volta per tutte. E per tutti. A prescindere dall’età.
La vostra generazione, che eredita dai padri un mondo insostenibile, riceve da questo virus una responsibilità che forse mai si è consegnata nella storia a un’altra generazione emergente: quella di salvare i padri, e i padri dei padri. E per fare questo, vi si chiede di rinunciare alla socialità e alla scoperta del mondo e della gioia di vivere insieme agli altri, per almeno due settimane.
È un destino che un grande romanziere avrebbe potuto affidare alla vostra generazione. Un grande romanziere, oppure un virus. Ma le pagine di questo libro devono ancora essere scritte e tocca a voi decidere che cosa scrivere. Potrebbe essere un passaggio che unisce padri e figli in questo terzo millennio nato sotto auspici così funesti. Abbiamo tutti una grande occasione: trasformare la più grande minaccia alla sopravvivenza di parte (grande o non grande non sappiamo con certezza) del genere umano nell’occasione di congiunzione e condivisione tra padri e figli (madri e figlie) che mai nella storia si sia realizzata. Vinta questa battaglia insieme, il cambiamento climatico, la crisi demografica, la transizione al dopo petrolio e tutte le altre sfide epocali che ci e vi aspettano, saranno più facili.
Tuo padre,
Biella, 10 marzo 2020