Siamo in Italia, dunque la competizione turistica è altissima. Ci si confronta con alcuni mostri sacri globali, consolidati da secoli. E anche con alcuni newcomers che hanno ottenuto successi straordinari, basti pensare alle Langhe o Matera che pochi decenni fa erano associate alla malora e alla vergogna. Gli esperti studiano questi case studies e ci danno letture e interpretazioni da cui possiamo imparare. La stessa Torino fino agli anni ‘80 o ‘90 non aveva un’identità turistica: quando studente attraversavo da flaneur, a volte con la vecchia macchina fotografica nella custodia di pelle di mio padre, le vie strette tra Piazza Savoia, la Consolata, via Barbaroux, via Milano e Porta Palazzo mi guardavano come un tipo mezzo matto. Un po’ come quando proposi per la mia tesi in Economia e Commercio lo studio delle aree dismesse e degli edifici industriali torinesi abbandonati col titolo Problema o risorsa?. Ora però nessuno mi chiederebbe se sono sano quando cammino per boschi in valle Cervo o in Oasi Zegna, oppure visito Pollone e Graglia, la Serra e le risaie, il Tracciolino e (la mia passione) le fabbriche, abbandonate o ancora funzionanti. Perché anche se amiamo Venezia e le Cinque Terre, la Corsica e le Eolie, non possiamo restare insensibili al fascino dei tesori che il Biellese conserva. È come uno scrigno nascosto, però: bisogna cercarlo e scoprirlo. Non come Firenze o Napoli che sappiamo bene dove siano e di cui conosciamo le meraviglie anche prima di visitarle per la prima o la ventesima volta.
Probabilmente nessuno dei tesori nascosti nello scrigno biellese potrebbe da solo competere con le Dolomiti o la Toscana. Ma tutti insieme? Anche così non sarebbe facile. Tuttavia, se fossi un milanese o un luganese, magari anche un tedesco, e mi parlassero di un territorio costellato di gioielli avvolti in un manto verde, vivificato da corsi d’acqua montana, dove cattedrali industriali e industriose stanno come castelli, e le montagne come custodi… forse sì, mi appunterei il nome di questo territorio come una meta possibile. Se mi dicessero che si tratta di un sistema, di un arcipelago verde, dove la natura e il paesaggio creato dagli umani formano un tessuto di rara bellezza, probabilmente mi intrigherebbe. Se infine mi raccontassero che questo arcipelago è l’opera di imprenditori e amministratori che con gli abitanti hanno posto come priorità numero uno la sostenibilità, cioè l’interesse delle generazioni future… be’, credo che comincerei a guardare su internet come arrivarci, dove soggiornare e quali tappe pianificare. E qui non vorrei mai che dovessi abbandonare la fascinazione che mi aveva preso. Vorrei trovare (senza neanche pensare che potrei non trovarli!) portali di accoglienza efficienti, strutture ricettive affascinanti e funzionali, siti da visitare spiegati e resi fruibili, ristoranti ben recensiti sulle piattaforme online.
A quel punto potrei partire. E allora resterebbe solo una cosa, probabilmente la più importante di tutte: la gente del posto. Se mi sorridono invece di schivarmi, se mi chiedono di me invece che accogliermi con chiusura e indifferenza, se mi offrono indicazioni sul loro territorio con passione e orgoglio invece che sarcasmo o superficialità, be’, allora è capace che mi innamori, del Biellese. È successo a non pochi. Alcuni di loro sono venuti da molto lontano. Potete ascoltare le loro storie nella mostra laboratorio Biella Città Arcipelago, a Cittadellarte, progetto in collaborazione con la Fondazione BIellezza, e col supporto delle Fondazioni CRB e CRT, in connessione con la designazione UNESCO di Città Creativa. C’è una camera semibuia in cui questi personaggi compaiono a dimensione naturale e vi raccontano del loro innamoramento. Sono le navette, perché facendo la spola conducono o possono condurre altri a visitare questo territorio. E poi ci sono 7 video documentari che indicano i 7 filoni su cui si potrebbe investire per fare di questo arcipelago in potenza un territorio realmente capace di declinare sostenibilità e prosperità sul fil rouge del turismo.
La mostra laboratorio è uno spazio in cui si lavora a rendere sempre più possibile che a questi ‘se’ che abbiamo scritto qui sopra, si possa rispondere con “sì, è così”. Uno spazio officina perché si lavora, appunto. È un’opera collettiva, e coloro che vogliono apportare idee, contributi, proposte e lavoro sono non solo benvenuti, ma è proprio per loro che questo spazio è aperto. Per ora sono oltre 100 le organizzazioni con cui si intreccia l’attività. Si trova un elenco anche su un sito, cittarcipelago.it. Sono stati avviati 5 gruppi di lavoro tematici, con la partecipazione da protagonisti di soggetti spesso già esperti e proattivi. Alcuni turisti vi sono già arrivati. E da qui sono stati invitati a scoprire l’arcipelago, utilizzando il portale dell’ATL, agenzie come viaggiemiraggi, e naturalmente orientandosi con i punti cardinali di Oropa, Oasi Zegna, Viverone, Valle Elvo e Cervo, Candelo e Biella città, etc… Alcuni hanno chiesto informazioni sul Paesaggio, il progetto Woolscape, che con la Fabbrica della Ruota e Fatti ad Arte e altri 20 e più partner ha iniziato a sperimentare prototipi di pacchetti turistici sulla formula la strada della lana, gli abitanti, l’arte e l’artigianato. Ma c’è molto lavoro da fare perché questo ‘scrigno di inaspettata bellezza’ diventi quello a cui ambiamo.
Non deve spaventare: è un’opera d’arte di tipo nuovo e molto complesso, che richiede grande talento e tanto impegno da parte non già di un singolo artista nel suo atelier. Questa è un’opera civica, partecipata e collettiva. E proprio questo potrà essere un giorno il cuore della storia che racconteremo a chi sarà venuto a vederla e condividerla con noi biellesi che l’avremo fatta.