Lo specchio si è rotto: tocca a noi cambiare
Ruggero Poi (Direzione Ambienti d’Apprendimento e Scuole di Cittadellarte) offre una personale riflessione intorno alla criticità del Covid-19: un'analisi tra passato, presente e futuro in una sequenza narrativa che lo vede specchiarsi con la realtà e la responsabilità personale e sociale. "Cosa abbiamo perduto? Cosa aveva valore? Abbiamo imparato qualcosa nel frattempo?"

Il periodo che stiamo vivendo ci pone di fronte alle nostre fragilità: come esseri umani, come piccoli gruppi famigliari, come persone.
Abbiamo dovuto cambiare le nostre abitudini e oggi abbiamo forzatamente del tempo per riflettere proprio su quali fossero le abitudini dello scorso mese.
Cosa abbiamo perduto? Cosa aveva valore? Abbiamo imparato qualcosa nel frattempo?

Se guardiamo alle migliaia di anni che l’essere umano ha trascorso sulla terra, lo vediamo intento a modificare il suo ambiente di vita per renderlo più adatto.

E mentre questo cambia l’altro si adegua, in un legame virtuoso, un riflesso continuamente variato, che porta l’umanità a riprogrammarsi in corsa.
Stare a casa, questa è la prima novità.
Interruzione del lavoro e dei contatti esterni. Seconda novità.
Condivisione prolungata degli spazi domestici con i famigliari, per alcuni, con animali, per altri, con la tecnologia per la gran parte. Terza novità.
Siamo tutti minacciati da una malattia invisibile, alcuni sono fortemente esposti altri meno. Quarta novità.
Il nostro corpo ci ricorda che ha bisogno di muoversi per stare bene. Quinta novità.
Qualsiasi privazione di movimento va a toccare la libertà personale: in carcere e in generale in tutte le ‘strutture dell’obbligo’ questo si sperimenta quotidianamente.
Ora lo stiamo sperimentando tutti. Sesta novità.
Questa è una lista assolutamente spontanea, imprecisa, di quello che sto imparando.

La scienza ci ha raccontato preventivamente quello che sarebbe successo oggi rispetto all’epidemia.
La scienza ci ha raccontato cosa sta succedendo e succederà rispetto al cambiamento climatico.
Le nostre vecchie abitudini (economiche, politiche, sociali, personali…) non riuscivano a crederci.

Ora continuiamo a dire che andrà tutto bene, come atto di fede, rispetto alle vecchie abitudini. Ma se non cambiamo non andrà tutto bene.
La cultura ha oggi la responsabilità sociale di portare un altro messaggio #toccaanoicambiare

Pensate alla nostra immagine in uno specchio, che, preso a martellate, va in frantumi con noi dentro. Rompere lo specchio è come rappresentare il passaggio che ognuno di noi sta compiendo oggi.

Tutto ciò è spaventoso perché ci mostra la fragilità della nostra vita, della nostra persona. Ogni sistema, compreso il nostro mondo, può frantumarsi, cambiare, mostrarsi in altro modo. Qui sta la sfida che l’arte e la cultura devono raccogliere.
Raccogliere i frammenti dello specchio e mostrare che anche se rotto, continua a riflettere. Dobbiamo continuare a rilflettere in altro modo.
L’arte indaga la fragilità del cambiamento, senza essere legata alle superstizioni. E senza paura dobbiamo raccogliere un pezzo di specchio da terra per poterci ritrovare. Ritrovare noi stessi senza paura, con curiosità, ci permette di sbilanciarci verso gli altri, per intraprendere una nuova ricerca, verso uno specchio altro (umano, animale…) che rifletta di noi una nuova immagine, una nuova vita.
Quest’attenzione alla fragilità, all’identità, alla comprensione di sé e degli altri dovrebbe essere presa molto a cuore da chiunque abbia a che fare con le giovani generazioni.
Se priviamo le scuole del sostegno che l’arte offre ai ragazzi rischiamo di favorire patologie che si nutrono della fragilità. Gli oggetti che creiamo ad arte sono protesi del pensiero e delle nostre emozioni più viscerali, ci permettono di vedere materializzato qualcosa di noi di molto profondo.
Gli oggetti che l’arte produce sono manifestazioni, eventi, a rilascio lentissimo di valore: le maschere degli Inca, i geroglifici egiziani, le tracce rupestri, i suoni aborigeni, gli sfumati di Leonardo, gli enigmi di De Chirico o i Bachi da setola di Pascali continuano a rilasciare ‘luce fragile e leggera’ a distanza di migliaia o di decine d’anni, proprio come la luce delle stelle viaggia nello spazio e raggiunge il nostro pianeta con una latenza lunghissima. L’arte ci connette nel tempo alla velocità della luce, con la nostra storia, è un salto nel tempo che ci avvicina ai primi sapiens, ci lega agli animali e contemporaneamente ci mostra quanto ci siamo separati da essi con la cultura.
L’arte ci fa riflettere nei momenti di fragilità per creare qualcosa di diverso.

Un giovane aviatore in forze all’esercito tedesco caduto e salvato in Crimea da un gruppo di nomadi tartari nella Seconda Guerra Mondiale ci racconta come la cura di chi parlava un’altra lingua l’abbia salvato e reso un artista. Quel giovane, divenuto l’artista sciamano, era Joseph Beuys, che introducendoci alla scultura sociale e alla presa di coscienza ambientale, con ‘I like America and America Likes me’ avrebbe parlato un’altra lingua a un coyote americano, interpretando in altro modo le ‘Lezioni americane’ di Calvino, sulla leggerezza, fragilità, il cambiamento e la cura.
Tocca a noi cambiare il nostro modo di cambiare.


Foto di copertina:
Michelangelo Pistoletto
Twentytwo Less Two, 2009
Performance e installazione, Biennale di Venezia, 2009
specchio, legno, 22 elementi, cm 300 x 200 ognuno
Per gentile concessione di Galleria Continua, San Gimignano/Beijing/Le Moulin
Foto: A. Luxem.