In origine, o quasi, fu la parola: breve storia incompleta del fare scuola #3
Vi proponiamo il terzo episodio del ciclo di articoli curati dal direttore dell'Ufficio Ambienti d'Apprendimento e Formazione di Cittadellarte, che illustra la funzione avuta dalla parola nella strutturazione sociale e nella nascita della scuola: "Quest’invenzione che ha animato la storia e la preistoria dell’umanità innovando il linguaggio e che ha cambiato per sempre il nostro modo di comunicare e di trasmettere il pensiero, ha permesso di programmare le forze di molti per raggiungere obiettivi comuni difficilmente raggiungibili dai soli individui isolati". Ruggero Poi spiega inoltre come la parola abbia portato con sé una facoltà, il potere sociale.

Il linguaggio come formula segreta di una comunità – Animali supersociali, cosmopoliti, imitativi e direttivi

Lo sforzo nell’essere animali ‘sociali’ portò così alla funzione della parola. Questo percorso performativo segnò un’ulteriore distanza dagli altri animali dopo la conquista della posizione eretta, del cammino su due gambe. Via via prendevamo le distanze dal mondo naturale divenendo ‘animali sociali, imitativi, direttivi e complementari’.
Proverò a spiegare questa definizione in estrema sintesi.
-‘Sociali’, poiché capaci di interazioni plurime, con le quali la comunicazione si allargava a un gruppo di ascoltatori, che poteva diventare una massa di ascoltatori. In questo senso la parola genera capi sempre più autoritari.
– ‘Imitativi’ perché una delle caratteristiche dell’apprendimento dell’essere umano è proprio la capacità di imparare imitando quello che si è visto fare.
– ‘Direttivi’ perché con il linguaggio l’essere umano è in grado di indirizzare un’azione o una progettazione collettiva.
– ‘Complementari’ perché ogni persona diventa importante e rafforza la costruzione della società.

La relazione si sposta così dalla simmetria dello spulciarsi uno con l’altro, alla complementarietà di uno che guida e dirige l’altro. Nasce una forma di essere umano inedita.
La parola, quest’invenzione che ha animato la storia e la preistoria dell’umanità innovando il linguaggio e che ha cambiato per sempre il nostro modo di comunicare e di trasmettere il pensiero, ha permesso di programmare le forze di molti per raggiungere obiettivi comuni difficilmente raggiungibili dai soli individui isolati.
La parola si è via via specificata come lo strumento della trasmissione di senso, di direzione. L’essere umano ha fame di senso rispetto al suo stare nel mondo e nell’universo. Questo senso per farsi chiaro e comprensibile si deve trasformare in un filo della storia, che risalendo via via porta luce e significato. Chi dirige il filo del discorso, chi orienta la storia nel labirinto dei “sensi” dando così solo un senso e una sola direzione, diventa la guida per chi segue.
Così in una miscela efficace di gesti, sguardi e parole il linguaggio permette il successo di politici, condottieri, coach, maestri, che dirigono, organizzano le varie comunità. La parola è potere, racchiuso nel detto popolare “potere delle parole”. L’isolamento delle singole autonomie viene raccolta e guidata dalla maestria narrativa di pochi o di uno solo, con lo scopo e la promessa di raggiungere ‘vittorie’, ‘conquiste’, ‘risultati’, ‘verità’. L’essere umano, capace di allargare alla comunità le conquiste d’apprendimento raggiunte dal singolo, è in marcia per colonizzare la Terra. Le prime basi della scuola sono così gettate.

Il controllo dei capi, la confisca della violenza. L’autocontrollo e il commercio
I gruppi iniziano a organizzarsi in comunità e appaiono i primi potentati, con capi clan che operano dietro il desiderio di benessere. Il potere sociale favorisce l’organizzazione, che oltre ai beni inizia a ‘confiscare’ anche il potere della violenza, considerata fino a poco tempo fa insita nella bestialità naturale dell’uomo, e ora invece definita pratica culturale. In questo modo, con la bugia della naturale cattiveria umana, si ha l’avvio delle civiltà.

Steven Pinker, professore di psicologia all’Università di Harvard, sottolinea che lo sviluppo del commercio è parallelo all’interesse di una ‘non violenza diffusa’, che garantisce scambi a ‘somma positiva’, ovvero dove entrambe le parti guadagnano. E con il commercio la lingua viaggia, si contamina, si specializza, si ibrida, ma soprattutto sviluppa capacità di autocontrollo ed empatia negli stessi commercianti. Durante le transazioni ci si ritaglia del tempo per discutere, contrattare, mediare, argomentare, anticipare o indovinare quello che l’altro si aspetta o desidera. Quest’evoluzione porta gli uomini a dare fiducia negli incontri nell’al di qua più che in quelli nell’al di là. Integrando le abilità di ciascuno per la realizzazione di un’‘impresa sociale’ complessa, gli esseri umani hanno imparato a non fare da soli soltanto per sé, arrivando ben presto ad allevare, contare, contabilizzare, codificare, tramandare, coltivare, commerciare in nome e per conto della propria famiglia. È il legame di sangue o di clan che lega passato e futuro al presente, tessendone una storia della comunità e avvicinando le persone a un luogo preciso o a un’idea strutturata. Come scrive Susan Blackmore…Quando l’ambiente cambia, una specie capace di parlare, e di trasmettere in tal modo nuovi metodi di imitazione, può adattarsi più rapidamente di una in grado di farlo solo attraverso il cambiamento genetico…”.
La costruzione della persona comunitaria definisce le differenze tra una clan e un altro, determina civiltà e lotte tra le parti.
La complessità porta con sé un aumento delle fragilità per una specializzazione sempre più fine. La lingua è divenuta un codice segreto dei popoli che permette la comprensione soltanto a chi fa parte di quella comunità. Tra progresso civile e tragedie belliche, tra scoperte entusiasmanti e carestie sconfortanti, tra contaminazioni culturali e separazioni religiose… la parola ci ha condotto sempre più lontano dai nostri primi antenati naturali.


Didascalia foto di copertina: Michelangelo Pistoletto, Quadro da pranzo, 1965