In origine, o quasi, fu la parola: breve storia incompleta del fare scuola #4
Vi proponiamo il quarto episodio del ciclo di articoli curati dal direttore dell'Ufficio Ambienti d'Apprendimento e Formazione di Cittadellarte, che in questa puntata illustra il ruolo del linguaggio ("La lingua è la formula umana della relazione che si esprime e si assorbe praticando il dialogo") e della lallazione di un bambino ("L’abitudine della parola è così sociale da aver trasformato la pratica del silenzio in una regola innaturale da imporre"). Ruggero Poi illustra inoltre come la società si sia costruita attorno a competenze "di ascolto e di parola, di scambio, di organizzazione e concentrazione".

La parola scuola – Venire alla luce: l’immersione linguistica naturale

Quando ci nasce un figlio il tempo che ci separa dalla sua prima parola, dalla scoperta della sua voce ci pare eterno. In altro modo la storia si ripete in piccolo e si riannoda a quanto appena scritto ogni volta che un bambino nasce.
Come primati cosmopoliti impariamo a parlare assorbendo la lingua madre, quel codice segreto proprio di ogni famiglia.
La lingua è la formula umana della relazione che si esprime e si assorbe praticando il dialogo. Negli scambi verbali si accresce la competenza linguistica e con la parola possiamo ‘sentire’ l’altro, farlo proprio, comprenderlo. Più ci affezioniamo e più contaminiamo il nostro modo di parlare, definendo codici che ci avvicinano. Senza un terreno di comune interesse le parole si svuotano o addirittura sono strumenti di separazione e distanza. Si dice che sia più facile parlare che farsi capire. Lo capiamo se pensiamo a come gli insegnanti che funzionano in classe abbiano un ritorno nel modo in cui gli alunni li imitano stando seduti, nel parlare o nel muoversi. L’azione e la parola sono ancora una volta connessi e fusi nella relazione con l’altro. Voler essere vicini, comprendersi è la base della comprensione.

Fin dagli esordi tutto il linguaggio con la sua struttura complessa si infonde nei primi anni senza necessità di altri sussidi al di là dell’imitazione semplice. In questo senso lo sforzo fisiologico dei nostri antenati è diventato con la lallazione e l’esplosione del linguaggio infantile una conquista, a suo modo fusa alla tradizione genetica naturale.
D’altronde l’abitudine della parola è così sociale da aver trasformato la pratica del silenzio in una regola innaturale da imporre. Su questa competenza di ascolto e di parola, di scambio, di organizzazione e concentrazione si è costruita la società.

Parlare è divenuto lo strumento privilegiato per strutturare comunità di ominidi sempre più complesse, trasferendo istruzioni da individuo a individuo, da cultura a cultura, prima verbalmente e poi attraverso la scrittura da generazione a generazione. La parola, definitiva per la società, si trasmette come una bandiera in eredità da una generazione all’altra e ogni generazione apporta poi alla lingua un suo adattamento a seconda delle esigenze tecniche e spirituali che vive. Così la lingua madre in bocca ai figli viene metabolizzata per dare nuova energia alla società futura. Come fosse un gioco fatto di parole: la si modella, la si tira, la si rende sempre più calzante al proprio pensiero. Il ‘parco giochi delle parole’ è frequentato da tutti i ragazzi di ogni generazione passata sulla Terra e quel parco giochi si trova lontano qualche isolato dalla scuola.
Le innovazioni linguistiche, però, non avvengono a scuola, che è un luogo dove si trasmette la visione del passato e ci si prepara affinché il futuro avvenga altrove.


Didascalia immagine di copertina: Michelangelo Pistoletto
Con-Tatto, 2007
serigrafia su acciaio inox lucidato a specchio, 22x16x23 cm