In origine, o quasi, fu la parola: breve storia incompleta del fare scuola #5
Vi proponiamo il quinto episodio del ciclo di articoli curati dal direttore dell'Ufficio Ambienti d'Apprendimento e Formazione di Cittadellarte, che in questa puntata si sofferma sull'importanza ricoperta dal ruolo del linguaggio nella società. Ruggero Poi si focalizza sulla sua evoluzione analizzandone i cambiamenti avvenuti nel tempo e spiega, in quest'ottica, quanto sia fondamentale l'aspetto formativo: "Se il linguaggio è stato la risposta più efficiente al cambiamento di qualche milione di anni fa, se la scuola ha organizzato il passaggio di consegne delle scoperte civili fatte dall’essere umano, allora la scuola è il luogo dove continuare a progettare e accelerare il cambiamento".

Neotenia, un lungo svezzamento per stare al mondo

Chi usa il linguaggio con padronanza ha ‘accesso’ al potenziale di altre persone grazie alla sua maggiore facilità relazione. Di questo ne era convinto Don Milani quando ricordava ai suoi ragazzi “un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone”.
Stiamo assistendo all’ascesa politica di persone, definite influencer, che quotidianamente utilizzano formule verbali sui social per mantenere e alimentare il consenso, in una pratica evoluta (o involuta) di grooming, di spulciamento social, in cui attraverso le ‘interazioni’, le visualizzazioni, i like, si ha la possibilità di orientare le scelte e le azioni future. Oggi le parole sono algoritmi, o meglio potremmo dire che il codice verbale è stato l’algoritmo ‘ante litteram’.
In maniera rapida si gestisce il passaggio da una generazione all’altra, si monitora e si orientano le informazioni, affinando i ‘data system’ in appropriati standard organizzativi.

In questo ‘standard produttivo’ si sono uniformati negli ultimi due secoli gli spazi, i tempi e gli argomenti per favorire una gestione e una manutenzione della macchina amministrativa e sociale che fosse il più veloce ed efficiente possibile. Il tutto per stare al passo con la varie rivoluzioni sociali. La rivoluzione in corso, per essere civile, ha bisogno che la scuola affini la competenza dei ragazzi alla lettura del nuovo sistema organizzativo delle parole, ovvero dei ‘data system’, le masse di dati che internet quotidianamente raccoglie e che in modo arbitrario vengono gestite per orientare il consenso.
Se il linguaggio è stato la risposta più efficiente al cambiamento di qualche milione di anni fa, se la scuola ha organizzato il passaggio di consegne delle scoperte civili fatte dall’essere umano, allora la scuola è il luogo dove continuare a progettare e accelerare il cambiamento. Il futuro è nella comprensione, gestione e interrogazione dei dati.

In questo senso i bambini vanno allenati all’esercizio dell’interrogazione, a porre domande sempre più precise alla massa di dati che arriva quotidianamente nei nostri contesti di vita e di lavoro. Per farlo è necessario costruire un programma di sensibilità a questi temi.
Se insistiamo a progettare le scuole come luoghi in cui ‘programmare’ i più giovani alla raccolta di informazioni (confondendola con la conoscenza) rischiamo da una parte di allargare il numero di chi oggi è ricaduto in un’area di ‘analfabetismo di ritorno’, ovvero l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana, e dall’altra rinunciamo a quella parte di intelligenza organica capace di far fruttare l’intelligenza artificiale in modo sostenibile per l’umanità e il pianeta.


Didascalia immagine di copertina: Scuola di Barbiana, testo originale affisso da Don Milani.