La Galilea di 2000 anni fa doveva essere una lontana provincia, povera, ancorché ricca di storia il cui studio allora non credo fossero in molti a coltivare. La maggior parte della gente viveva una vita misera ed estremamente precaria, non esisteva il concetto stesso di diritti, per non parlare degli schiavi. La straordinaria visione che uno di loro portò tra quella gente dovette essere dirompente e realmente life changing, come si dice oggi, qualcosa che ti cambia la vita. Ancora adesso quel messaggio sarebbe piuttosto rivoluzionario se fosse davvero seguito dalla maggior parte della popolazione: basti pensare ai pericoli che corre il papa attuale con il suo approccio radicale. Tra l’altro se oggi si presentasse alle nostre frontiere – figlie dell’Illuminismo e della modernità di cui siamo giustamente fieri e di cui giustamente ci vergogniamo (o almeno alcuni di coloro che ne riconoscono gli orrori ed errori) – quella famigliola composta da una ragazza madre, forse di colore, con un seguito di animali, raccontando di angeli e miracoli e dei, i nostri servizi di polizia preposti al contenimento dell’immigrazione difficilmente li accoglierebbero sfamandoli, curandoli e offrendo loro un rifugio. Se poi quei migranti avessero la disgrazia di dover arrivare via mare, con i loro re magi, pare poco probabile che non li lascerebbero affondare tra le onde sospinti dagli strali infiammati di non pochi politici europei che giurano di voler proteggere da queste persone la fortezza dell’Europa. In effetti anche quel predicatore nordafricano di padre sconosciuto fu giudicato un pericolo mortale, imprigionato e ucciso davanti a una folla entusiasta, convinta che i suoi leader la stessero proteggendo.
Oropa e il Santuario. Crediti foto: www.santuariodioropa.it.
Eppure, dopo due millenni, nella conca d’Oropa sta un capolavoro di architettura dedicato proprio a quel pensiero, a quella filosofia di vita e convivenza tra umani, e non a quei leader osannati, obbediti e temuti di cui oggi ognuno si vergognerebbe di dirsi un follower. Idolo di questa meraviglia dell’arte architettonica integrata con la maestosa e sublime natura delle montagne è la statua di una donna nera. Anche se ci sono varie teorie sul perché sia di questo colore, lei ha una pelle decisamente lontana dal pallore di noi europei, come i Palestinesi che i nostri alleati internazionali stanno bombardando, come i nigeriani e i maliani che le nostre navi militari stanno respingendo e contro cui parlamentari e piazze europee si scagliano impauriti come di fronte al più pericoloso nemico. Ho sentito con le mie orecchie domenica scorsa un rispettabile (?) signore ligure che affitta biciclette sul lungomare augurarsi che alle frontiere di Ventimiglia ne muoiano il più possibile di questi temibilissimi personaggi, meglio se tutti. Forse la crocifissione sarebbe eccessiva anche ai suoi occhi, forse, ma una fucilata o qualcosa di più moderno sembrava andare bene.
Sono centinaia di migliaia i pellegrini che visitano questo santuario – elegantemente posato come una sfinge attenta ed enigmatica, rivolta a sud, traguardante da lassù, nelle giornate terse, chissà, forse oltre la pianura padana il mediterraneo e i suoi flutti che riempiono di angoscia il cuore di milioni di persone –, casa e monumento di un pensiero di fratellanza e amore, carità e compassione. Quanti di questi ‘turisti’ il giorno dopo la visita a Oropa praticano la sua filosofia? Non è che magari capiterà di incontrare all’interno della Basilica un giorno proprio quell’ineffabile signore sanremasco, maestro di vita e civiltà, con la barba bianca e il pizzetto, quello che si augurava a voce alta la morte di centinaia di ragazzi e ragazze ammassati nei centri di accoglienza (così li chiamiamo!) con la pelle scura e il coraggio disperato della famigliola di cercare una casa e una vita migliore per sé e i loro figli, senza nemmeno un bue, un asinello e una stella cometa a guardagli le spalle?
La cupola di Oropa è come un pulsante, un immenso pulsante che abbiamo di fronte a noi da secoli, è lì che aspetta che un dito ‘capace’ lo prema e accenda il circuito spento della compassione, o spenga quello acceso dell’odio.
Probabilmente ci sono tantissime strade per arrivare a mettere il proprio dito su quel bottone. La mia passa per l’arte. Abbiamo fatto una mostra qualche mese fa a Palazzo Reale a Milano con un titolo che è come una teleferica verso Oropa: la pace preventiva. Soltanto la pace può portare la pace. La guerra inevitabilmente la guerra.