Rethinking schools: non è più solo questione di “classi”
Ruggero Poi mette in luce il modello educativo sperimentato da Bob Peterson e ispirato da Paulo Freire, in cui insegnante e studente diventano protagonisti nel capire il mondo attraverso un processo di comunicazione reciproca. Il direttore dell'Ufficio Ambienti d'Apprendimento e Scuole di Cittadellarte spiega come un'esperienza simile sia stata applicata anche in Italia da Mario Lodi, che fece entrare nella sua classe a Vho di Piadena la vita della comunità, discutendola attraverso indagini con le famiglie e interviste agli abitanti del paese per approdare a forme di narrazione pluridisciplinari.
Il rischio è che si apra un solco sempre più ampio e profondo fra i luoghi della formazione, che spesso i giovani continuano a frequentare svogliatamente ma senza riconoscere ad essi più alcuna funzione, e un ‘curriculum implicito’, basato sull’ideologia dell’autoformazione in rete”.
Giovanni Solimine, Senza sapere, 2014

Bob Peterson è un insegnante che, assieme ad altri colleghi, ha dato vita a Rethinking schools, un giornale non-profit indipendente che lavora per trasformare la scuola pubblica, primaria e secondaria.
Peterson, fortemente influenzato dalla lettura di Paulo Freire, si è interessato al ripensamento dei modelli educativi fin da studente, tra la fine dei Sessanta e il sorgere dei Settanta. L’impatto del suo viaggio in Nicaragua nel 1980 convince Peterson ad applicare le idee critiche di Freire ai suoi studenti di quarta e quinta elementare, due classi bilingui in centro alla città di Milwaukee. Peterson ha sperimentato il metodo educativo dialogico di Freire, in cui insegnante e studente diventano protagonisti nel capire il mondo attraverso un processo di comunicazione reciproca. Questo approccio dialogico contrasta con il metodo ‘bancario’ dell’educazione in cui l’insegnante ha le risposte giuste e regolarmente versa ‘depositi’ di questa conoscenza nella mente degli studenti. Nell’approccio di Freire il vissuto degli studenti è centrale e l’insegnante li rispetta, così come la loro cultura e la loro lingua. Gli alunni, inoltre, dovrebbero avere una capacità di ‘potere’ in grado di gestire socialmente. Invece di spingere alle risposte, Peterson ha cercato quindi di fare domande aperte, che portino gli scolari ad analizzare criticamente la loro situazione sociale e li incoraggino a lavorare in prima persona per cambiarla. Peterson ricerca argomenti e questioni con un portato sociale, che tocchino la vita dei giovani e della comunità. Le idee e le esperienze dai ragazzi vengono spesso pubblicate sul giornale degli studenti, sul quotidiano cittadino, o su riviste per bambini, rendendo la classe un organo attivo nel dibattito comunitario.

Questo aspetto della scrittura collettiva e dell’approccio dialogico cooperativo riprende l’attitudine del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) sviluppato in Francia da Freinet. In Italia il modello fu applicato ad esempio da Mario Lodi, che fece entrare nella sua classe a Vho di Piadena la vita della comunità, discutendola attraverso indagini con le famiglie e interviste agli abitanti del paese per approdare a forme di narrazione pluridisciplinari. Per abbozzare il profilo di Lodi può essere utile riportare il ricordo che ne fa Tullio de Mauro, in un suo articolo uscito per Repubblica in occasione della morte del maestro. Durante una trasmissione televisiva italiana del 1970 intitolata “Processo a…” si misero sul banco degli imputati i libri di testo. “Senza enfasi, Lodi, raccontò che cosa faceva, come partiva con le sue allieve e i suoi allievi da ricerche in tante direzioni, coinvolgendo nella vita della classe di volta in volta altri che avessero più esperienze e conoscenze e costruendo con loro e con gli alunni i materiali scritti, i testi da ricordare e rimeditare. Non disse che quella fosse la via unica e più giusta, disse che a Vho di Piadena seguivano quella via, che era una via possibile e che a percorrerla si arricchivano di esperienze vive e di conoscenze vissute sia il maestro sia gli alunni”. Nella sua classe Lodi sperimentò la corrispondenza scolastica, la stampa a scuola, la scrittura collettiva di storie e di libri (il più famoso è senz’altro Cipì), la ricerca sul campo, il calcolo vivente e le attività espressive come il teatro di figura, le ombre, la danza e la pittura.

Interessante aggiungere che gli stessi insegnanti coinvolti nell’MCE si ritrovavano a partecipare a seminari estivi di condivisione delle proprie esperienze, in cui le pratiche erano l’oggetto di un dibattito pedagogico veramente produttivo.
In queste settimane il dibattito si è fatto acceso su come sarà la scuola del futuro e molte di queste esperienze, incluse quelle ancora vive del Movimento Di Cooperazione educativa, sono importanti esempi da tenere sempre a mente.

 


Foto di copertina: L’uomo ammaestrato, 1968
Spettacolo dello Zoo, in strada, Amalfi, 4 ottobre 1968
Al centro il critico d’arte Henry Martin nel ruolo dell’uomo ammaestrato
Foto: C. Abate.