Il senso del riguardo: cogliere l’occasione dei piccoli gruppi in tempo di distanziamento per “politiche educative di vicinanza”
Il direttore dell'Ufficio Ambienti d'Apprendimento e Formazione di Cittadellarte in vista della ripresa delle scuole riflette sull'importanza della parola e sull'uso di essa in ogni "capitolo" della vita, dall'infanzia, agli anni scolastici, fino al futuro personale professionale e spirituale. Ruggero Poi analizza quindi il processo di narrazione individuandone i punti chiave: "Ripartiamo dalla scuola, dai bambini, dall’origine della parola sociale - ha affermato - attraverso le mutazioni e i cambiamenti che possono aiutare a decifrare il fenomeno degli esseri umani".

Come detto nei miei precedenti articoli la scuola inizia le giovani generazioni ai significati delle parole passate, consegnando di fatto le chiavi per conoscere gli edifici mentali, i pensieri di chi ci ha preceduti. Bisogna allora capire meglio il senso della “parola” e poi delle parole. “Dare senso” prevede l’indirizzare il movimento dell’azione verso un punto, significa progettare con consapevolezza un percorso verso qualcosa. Come in un viaggio, il senso è la direzione che ci spinge ad arrivare, a capire.

Nell’Antica Grecia quando ci si apprestava a fare un discorso si distinguevano due termini a seconda del compito, dello scopo di quella “parola”.
Logos era la “parola della logica”, ovvero quella che nomina distintamente le cose, dandone funzione e facendole così funzionare.
Mythos era invece la “parola della narrazione”, ovvero quella dedicata a raccontare i tempi dell’origine, a trasferire la catena di azioni e reazioni che hanno fatto la ‘pre-istoria’ dell’universo.
Il mito è un ordine, un contare, inanellando gli eventi, secondo un senso che organizza il passato. Come essere umani continuamente cerchiamo un ordine che spieghi e ci tolga il terrore di non capire. Tra le stelle, dentro le nuvole, nella vita come nella morte.
Da quando il negativo ha riconosciuto per la prima volta il positivo, o l’ossigeno ha riconosciuto due atomi di idrogeno, siamo diventati divoratori d’informazione, cacciatori di strutture e ora eccoci narrare storie sul perché siamo sorti” (Citazione di George Johnson, da Fire in the Mind: Science, Faith, and the Search for Order. Knopf, 1995. Vintage paperback, 1996).
Distillare l’ordine dal disordine è stata da sempre la forza propulsiva della vita, che ha organizzato gruppi sparsi di molecole a bagno nel brodo primordiale fino a formare strutture complesse, in grado di autoanalisi e dialogo. Miti e favole si trasmettono per rispondere alla curiosità sulle cause e gli inizi che hanno portato degli organismi unicellulari a trasformare energia sulla Terra.

Contare storie e metterle in scena
Il mito e le favole hanno orientato e orientano l’immaginazione propulsiva di miliardi di bambine e bambine per trasformare la loro energia in vita. Si gioca a fare la mamma o il papà, si diventa Cappuccetto Rosso leggendone la storia, al tavolino si prepara il tè per Alice guardando l’orologio… ci si inserisce con tutto il corpo nella storia e, divenendone parte attiva, si pratica il linguaggio universale della vita: la trasformazione. Questi processi, definiti in pedagogia “giochi simbolici”, sono strumenti per dare senso, per entrare come protagonisti nella relazione e per “arruolarsi” nella società, strumenti che portiamo con noi nella “recitazione naturale” per capire l’altro. Il “giochiamo che siamo…” dei bambini non è solo un gioco, ma è la pratica di ruoli che si scambiano e che accrescono la nostra capacità di metterci nei panni altrui.
Eccoci tornare all’inizio della storia, quando ci si spulciava per comprensione, ci volgiamo all’indietro nella pre-istoria, ovvero prima del racconto verbale dell’umanità, non per retrocedere, ma per capire come orientare il futuro.

Scuola, politica, religione
C’è ancora un elemento importante connesso alla parola e alla narrazione: l’idea di futuro, l’idea di passato, l’idea di esistenza. Questa narrazione, che si perpetua dall’origine della parola, è un racconto senza fine, che aggiunge alla durata dell’umanità sulla terra, un po’ di filo narrativo, costituito dalla storia di ciascuno di noi, il filo narrativo della nostra esistenza.
C’è un prima, c’è un durante e c’è l’aggancio per il dopo.
Su questo racconto la scuola d’istruzione è speculare alla politica.
L’obiettivo sociale della prima è trasmettere e illustrare con il racconto le scoperte umane del passato, più o meno recente in ogni ambito. L’obiettivo sociale della politica è guidare le culture a scelte che determineranno il futuro delle persone in ogni ambito. Al centro di queste due istituzioni sociali sta la parola: guida e strumento di controllo per l’umanità. Entrambe queste due realtà si connettono con il valore spirituale che la parola porta con sé. Le formule magiche e i versi sacri sono catene di parole che legano la spiritualità dell’essere umano alla sua organizzazione sociale, indirizzando inesorabilmente le scelte educative e politiche delle comunità.
Scuola, politica e religione sono oggi in crisi, è evidente come le loro parole hanno perso di senso, esprimono idee che non orientano più.
Finite le ideologie, terminate le spinte ideali, ci troviamo tutti a correre verso un progresso sempre più limitato ed esclusivo che dialoga direttamente a ciascun individuo attraverso il potere della rete. Questa spinta che dall’organizzazione del gruppo va verso l’individuo è esattamente contraria a quella che ha mosso i primati a mettere le forze insieme, attraverso la parola e la cultura.
Per questo abbiamo bisogno di iniziare ad agire in modo diverso, equilibrando i bisogni personali e quelli comuni, per fare un ulteriore passaggio.

Jean Piaget sosteneva che per capire veramente un fenomeno bisognasse capirne la sua genesi. Ecco ripartiamo dalla scuola, dai bambini, dall’origine della parola sociale, attraverso le mutazioni e i cambiamenti che possono aiutare a decifrare il fenomeno degli esseri umani.
Se vogliamo capirci e trovare altre vie, dobbiamo riguardarci.
Come i primati dobbiamo ritornare vicini e ripartire dal piccolo, dalla micro socialità dei piccoli paesi o dei quartieri, dove è possibile un’azione profonda, un’agopuntura che rivitalizzi tutto l’organismo sociale. Piccole comunità dove le parole riportano direttamente alle azioni e ai gesti compiuti attraverso le nostre mani.
La parola è data.
Questa è anche nell’immagine un’azione di significato.

Non rimangiarti la parola!

Due immagini dove la fiducia stringe a sé la parola ai fatti. C’è in questo detto trascurato una ripresa delle pratiche antiche, un virtuale grooming in cui prendersi cura vicendevolmente è centrale. Come all’alba della parola ci troviamo in un orizzonte che ci confronta con lo sguardo di chi ci è prossimo e che ha perso l’abitudine con l’onestà culturale.
Diamo un valore economico, estetico, spirituale alle parole che spendiamo, soppesandole nella politica delle piccole cose, nella scuola di tutti i giorni.
Ora che le relazioni sono contenute anche in ambito educativo nel limite del piccolo gruppo, abbiamo l’occasione di esplorare la possibilità positiva dell’approfondimento, della ricerca e, per assurdo in tempi di distanziamento sociale, della vicinanza sincera.


Didascalia immagine di copertina: Michelangelo Pistoletto, Selfie tre ragazze di schiena, 2018, serigrafia su acciaio inox supermirror.