Cinque giorni di approfondimento sulla connessione profonda tra sostenibilità ambientale e sociale nella moda e nell’arte, con la partecipazione di esperti impegnati nella trasformazione sociale e sostenibile della moda, della manifattura, della filosofia, delle politiche internazionali e dell’attivismo: è su questo, in sintesi, che verteva la residenza della call to action Artivism, tenutasi a Cittadellarte da lunedì 1 a sabato 6 novembre. Prima di addentrarci nei contenuti dell’esperienza, occorre fare un passo indietro al lancio del concorso, che mirava a ridefinire la narrativa e i paradigmi della moda sostenibile attraverso i contributi di coloro che, con il proprio linguaggio artistico, erano impegnati a mettere in luce la sostenibilità sociale e ambientale della moda. Nel dietro le quinte del progetto figurano Fashion Revolution Italia e Cittadellarte con Fashion B.E.S.T., che, come riportato in un nostro precedente articolo, hanno organizzato e ideato l’iniziativa e hanno valutato le opere e segnalazioni pervenute*, tra video, immagini, opere sonore, ma anche documentazione di performance ed eventi, processi partecipativi, interventi di comunità e relazionali.
La mostra e i finalisti
In occasione della Fashion Revolution Week 2021, il 24 aprile 2021 è stata inaugurata Artivism, la mostra digitale frutto della call to action che ha messo in mostra quaranta opere selezionate, che sono state visitabili nello spazio digitale Ikonospace in un percorso curato da Stella Stone. La giuria ha poi selezionato i finalisti che, come premio ulteriore, avrebbero potuto prendere parte a una residenza a Cittadellarte – sponsorizzata dalla stessa Fondazione Pistoletto – che si poneva come opportunità di momenti di formazione, di discussione e di esperienza. Gli artisti e fashion designer selezionati sono stati Tiziano Guardini (Ecology of Mind), Charlaine Agbotsu (Via Pietrasanta), Antonella Valerio (Let’s Twist Again), Charles-Antoine Blais Métivier e Lieven Meyer (Survival Fashion), Anna Brugnera (sVESTITI), Chiara Gabriele (Re-Comporre), Hannes Egger (Everythings’s Changed – Nothing’s Changed), Andrea Bonfini (Fresh Meat), Giulia Perin (Verde), Olga A Pompidou (Paisajes) e Ora Nadia Shaulova (Ora. Il pensiero d’amore). Quest’ultima è mancata a giugno scorso: un’assenza viva, che durante la residenza gli altri partecipanti hanno fatto ‘sentire’ ancor di più in un accorato e commosso ricordo; al momento della restituzione finale è stato infatti dedicato un pensiero a Shaulova ed è stato proiettato il filmato dedicato al progetto con cui aveva partecipato alla call to action.
La residenza
Gli autori delle 10 opere opzionate con la residenza UNIDEE hanno potuto approfondire i temi trattati dai lavori selezionati e i loro possibili sviluppi insieme al collettivo di Cittadellarte Fashion B.E.S.T. Biella Ethical Sustainable Think-Tank e Fashion Revolution. L’esperienza, quindi, si è rivelata “ecosistema creativo – hanno spiegato gli organizzatori – in cui il profilo dell’artista-attivista-attivatore emerge, oggi più che mai, come un attore portatore di responsabilità necessario per il futuro. Viviamo infatti in un momento storico in cui la disconnessione tra sistemi naturali, sociali e sistema economico ha tolto al designer contemporaneo la sua funzione primaria: rispondere alle reali esigenze dell’umanità. E colmare questa disconnessione è imperativo”. Per articolare il processo formativo e ispirazionale i residenti si sono avvalsi del contributo dello staff di Cittadellarte e Fashion Revolution, come Paolo Naldini (CEO e direttore Cittadellarte – Fondazione Pistoletto), Olga Pirazzi (project manager Fashion B.E.S.T.), Juan Esteban Sandoval (direttore Ufficio Arte di Cittadellarte e direttore di UNIDEE Residency Programs), Michele Cerruti But (coordinatore accademico di Accademia Unidee), Marina Spadafora (coordinatore nazionale – Fashion Revolution Italia) e Stella Stone (che ha curato la mostra Artivism), e anche di una serie di ospiti e mentori: il fashion designer Fabrizio Consoli, l’artista Maria Cristina Finucci (clicca qui per visionare una nostra intervista alla presidente del The Garbace Patch State), l’artista Claudia Losi, la ricercatrice Alessia Patrucco (STIIMA-CNR Biella). Non solo, i partecipanti si sono recati e hanno scoperto due realtà iconiche del settore moda nel biellese: la Filatura Astro di Vigliano Biellese e il consorzio Biella The Wool Company al Lanificio Botto di Miagliano, dove hanno scoperto nel dettaglio il sito della Rete Museale Biellese guidati da Nigel Thompson.
La restituzione
Nel pomeriggio di venerdì 5 novembre è calato il sipario sulla residenza con la restituzione finale da parte dei residenti. Un momento di condivisione che ha visto gli artisti mettere in luce le peculiarità dei propri progetti e dialogare con i referenti di Cittadellarte, Fashion Revolution e della scuola ITS-TAM, ossia l’Istituto Tecnico Superiore con sede a Biella. Ciò che è emerso è una pluralità eterogenea di interventi, di progetti e idee differenti nei linguaggi e nei contenuti, ma uniti da uno spiritico critico, innovativo e creativo mirato a una sensibilizzazione sociale sul binomio moda-sostenibilità. Cosa è emerso? Olga A Pompidou si è focalizzata sul suo progetto di permacultura, sul forte legame con la terra nel suo approccio artistico e sull’uso dell’acqua: “Visto che la produzione dei capi ne richiede molta, per i miei prodotti quando posso uso acqua piovana”; l’artista si è poi focalizzata sulla residenza, da lei definita “utile e costruttiva”. Antonella Valerio, dopo aver messo in luce il suo percorso nell’ambito del design tessile, ha condiviso le linee guida della sua ricerca: “Ho lavorato sugli scarti e sulla delocalizzazione, cercando di avvicinarmi con la mia pratica su ciò che significa fare manifattura, anche alla luce del fatto che il consumatore ha perso il legame con chi fa le cose. Io credo che la sostenibilità sia uno stile di vita”. Andrea Bonfini, che si definisce ‘artigiano della moda’, ha offerto uno spaccato della sua vita professionale: “Ho lavorato come fashion designer in grandi aziende per 6 anni, ma non ero soddisfatto. Ho quindi voluto dar vita a un marchio che mi rappresentasse a 360 gradi, che fosse anche inclusivo oltre che sostenibile. Creare un abito è come cucinare una torta: il risultato dev’essere bello, buono e sano. Ogni mio capo è unico e lavoro con materiali upcycling”. Chiara Gabriele ha invece proposto la sua pratica all’insegna del riuso, lavorando simbolicamente coi collant (“spesso vengono usati e buttati”) e con materiali inutilizzati (“ho chiesto ai maglifici italiani di mandarmi i loro scarti, anche di jeans denim, per poi lavorarci”); sulla residenza ha invece rivelato che ha sentito “vibrazioni positive che hanno stimolato il desiderio di mettermi a creare”. Tiziano Guardini ha invece illustrato le linee guida del suo brand e si è soffermato sul legame che la sua collezione ha con l’ambito green: “Io vivo in connessione con la natura, con una visione quasi elfica. Ci stiamo perdendo tanta conoscenza ed energia dal pianeta, che non possediamo, ma semplicemente ci viviamo. All’inizio la sostenibilità veniva associata alla privazione, ma ora non è così: il vero cambiamento si ha quando tutte le persone possono scegliere di essere responsabili con le loro scelte e azioni”.
L’artista visivo Hannes Egger si è incentrato sulla sua ricerca artistica che ha avuto spunti creativi durante l’emergenza sanitaria da COVID-19: ad esempio, come da lui raccontato, durante il lockdown ha noleggiato un camion pubblicitario vela, che da una parte riportava la scritta, in inglese, Everythings’s Changed, e dall’altra Nothing’s Changed, in riferimento alla pandemia. “Era particolarmente significativo – ha spiegato – quando il furgone passava nelle rotonde, perché così le scritte risultavano visibili da entrambi i lati”. Charlaine Agbotsu ha condiviso i dettagli di un suo progetto fotografico teso a far riflettere sullo spreco e l’abbandono degli indumenti e, in quest’ottica, ha anche creato una collezione basata sul recupero di capi cercando materiale di scarto proveniente da mercatini e altri contesti (“il mio obiettivo è stato ridare valore a ciò che non veniva più utilizzato”). Anna Brugnera, studentessa diplomata di recente, ha messo in luce la sua opera introspettiva: “Il mio progetto è iniziato dal mio armadio. Ho tirato fuori i vestiti e ne ho letto le etichette, così mi sono resa conto che quasi tutti provenivano da luoghi che non avevo mai visto. Ho poi abbinato ad ogni mio indumento una fotografia che ritraesse una delle bellezze del paese di riferimento”. Il risultato è stato un’opera di autoanalisi che ha posto in primo piano non una spettacolarizzazione delle drammaticità, ma varie scintille di bellezza delle nazioni rappresentate in un apposito libro – definito come ‘atlante’ o ‘diario di viaggio’ – da lei realizzato: “Volevo mettere in risalto – ha sottolineato – la bellezza che si nasconde dietro il dolore”. Per l’occasione è intervenuta anche Marta Ciolkoswka, che ha preso parte alla residenza in quanto vincitrice del concorso Sustainable Views. L’artista polacca si è soffermata sulla sua installazione social toilet – definendone il messaggio di critica verso i social media e device telefonici – e l’opera video Bottlefield.