600 mattoni.
Ormai li hanno caricati a San Antonio e li stanno portando qua, dobbiamo capire dove scaricarli, la vicina ha detto che non ci fa più passare da lei perché bisogna prendere le precauzioni per il virus e non vuole operai che passano vicino a casa sua. Capito. Allora li facciamo scaricare da noi dove di solito mettiamo la macchina e poi pagheremo uno degli operai che verrà a fare il cantiere perché li sposti; sono solo una trentina di metri, con la carriola ci metterà qualche giorno al massimo.
I mattoni sono arrivati e li hanno scaricati davanti a casa di mia mamma, in Vereda Vilachuaga, comune di di Rionegro, vicino a Medellín, in Colombia. Il cantiere che doveva iniziare all’indomani dell’arrivo dei mattoni, il 20 marzo, non è mai iniziato. Quel fine settimana è stato decretato il coprifuoco nel dipartimento di Antioquia (la regione colombiana cui appartiene Rionegro) e martedì 24 marzo è poi iniziata la quarantena in tutta la Colombia.
Sono arrivato qui il 16 febbraio con l’idea di aiutare nei lavori di ristrutturazione della casa e dello studio di ceramica della mia famiglia, casa che è stata anche la mia abitazione di campagna negli anni dell’università, prima di partire per l’Italia nel 1996. Avevamo programmato i lavori con i miei fratelli per aiutare la mamma che abita nella casa e che comincia ad avere alcuni problemi di salute dovuti all’età. Il mio programma era di rimanere fino al 16 marzo, giusto un mese: avrei dovuto sistemare lo studio, buttare via montagne di roba vecchia (dopo ardue discussioni con mia mamma che per 50 anni ha collezionato materiali e oggetti di cui non vuole disfarsi), programmare i lavori di ristrutturazione, trovare gli operai, occuparmi dei preventivi e lasciare tutto pronto per l’inizio dei lavori, che sarebbero stati realizzati dopo la mia partenza.
Una parte della storia è ben nota: scoppia l’epidemia di Covid-19 in Italia a fine febbraio e da lì a catena in tutti i paesi del mondo, Colombia inclusa. Il mio volo di ritorno viene cancellato dalla linea aerea 5 giorni prima della partenza. Le notizie che arrivano dall’Italia sono ogni giorno più gravi e preoccupanti. I miei due figli adolescenti vivono a Bologna. Mia sorella e mio padre vicino a Firenze. Tutti i miei amici e colleghi tra Biella, Torino, Milano, Bari…
Inizio a farmi l’idea che non ritornerò presto in Italia, intanto dalla Fondazione dove lavoro arrivano le disposizioni per continuare a lavorare in smart working, lavorare intelligente (normalmente non lo è?!). Quindi se hai un’ottima connessione internet e un buon computer lavori intelligentemente dal divano in salotto, dalla cucina mentre fai il caffè o fuori in giardino (se sei abbastanza fortunato da avere un giardino e il wi-fi che ci arriva). Io e il mio collega Daniele concordiamo che di smart non ha un bel niente, semplicemente la tua sfera privata viene invasa dal lavoro che normalmente fai altrove e finisce che lavori sempre a tutte le ore e che devi dividere il salotto-ufficio con le persone con cui vivi, anche loro lavoratori o lavoratrici intelligenti, e che devi uscire in balcone per fare le riunioni via Skype. Il mio lavoro è stato scardinato dalla situazione. Normalmente lo svolgo da solo, in un ufficio tutto per me che è l’invidia dei miei colleghi, ma la realtà è che non lavoro da solo, tutto quello che faccio lo faccio in relazione agli altri e per gli altri, e non solo, lo faccio parlando con gli altri e guardando gli altri negli occhi, condividendo le idee intorno al tavolo o semplicemente prendendo un caffè. Il mio lavoro non può fare a meno della presenza degli altri (e io farò del mio meglio perché continui a essere così). Inoltre devo pensare a mostre e residenze che devono essere vissute, condivise, nella presenza fisica delle persone, fruite, osservate dal vivo. Sono in difficoltà. Per fortuna alcuni colleghi affrontano la situazione in modo positivo e fanno sì che il lavoro possa veramente continuare. Faccio l’abitudine all’interminabile riunione Skype settimanale dove siamo collegati in trenta, ognuno a salutare da casa e a fare il punto della situazione. Alla fine sono contento di vederli e sapere che tutto va bene. Per fortuna c’è internet!
In Colombia la situazione con il virus sembra sotto controllo, anche se non si sa mai. Le disposizioni per controllare il virus sono state prese molto presto. Quella che ci tocca più da vicino qua in campagna è il ‘pico y cédula’ (puoi uscire da casa solo un giorno a settimana a fare la spesa, a seconda dell’ultimo numero della tua carta d’identità, la cédula appunto). Mia sorella esce il mercoledì, io il venerdì. La preoccupazione principale, a parte i parenti chiusi in città in appartamenti piccoli, è la situazione dei milioni di connazionali che vivono alla giornata, venditori ambulanti, facchini, lavavetri… queste persone non avranno la possibilità di comprare da mangiare, non hanno soldi, letteralmente niente, quindi si spera in un’azione organizzata del governo che riesca ad arrivare a tutti.
Ho deciso che da questo periodo di sosta forzato dovevo prendere qualcosa di positivo, e quindi ho iniziato a imparare qualcosa che ho sempre voluto imparare e, non avendone il tempo, non ci ero mai riuscito: sto imparando a fare ceramica al tornio, sono migliorato tantissimo in tre settimane. Poi aiuto mia sorella a fare l’orto. Abbiamo piantato fave, lenticchie, mais e diversi ortaggi. Sono in contatto con tutte le persone che mi mancano, parliamo del giorno per giorno, di cosa cuciniamo, della quotidianità semi-stravolta, delle lezioni via internet della scuola, delle camminate in giro per le colline biellesi con la paura d’incontrare la polizia che potrebbe farti una multa; sento le notizie dei colleghi che si sono ammalati e che stanno guarendo, del mio amico che ha la moglie incinta e vorrebbe andare al mare, di chi è chiuso in 20 metri quadri a Milano ma è contentissimo di aver tutto il tempo per studiare, di chi continua a lavorare tranquillamente da casa perché lo faceva già prima, di chi fa sarta volontaria cucendo mascherine, di chi non ce la fa più a stare in casa ma dopo tre minuti mi fa delle battute che mi fanno pensare che non va poi così male, di chi non riesce a scrivere la tesi, di chi ingrassa, di chi sente la mia mancanza…
A me invece la cosa che fa più strano è la mancanza di piani, di sapere cosa farò e quando. Fino a poco tempo fa era tutto un pensare a nuovi progetti artistici, viaggiare, pianificare le prossime vacanze, organizzare i weekend per vedere i miei figli, avere riunioni.
Oggi ho lavorato un po’, organizzato le cose per una cottura di ceramiche che farò domani, pioggia permettendo, fatto un giro per gli orti, chiacchierato con la vicina… Non so quando tonerò in Italia, ma intanto dei 600 mattoni ne ho già spostati 480, sei alla volta.
So che prima o poi i lavori di ristrutturazioni riprenderanno, bisogna essere pronti.
Juan Esteban Sandoval, Rionegro Aprile 2020.