Arare il proprio tempo
"L'arte deve camminare dove la massa delle persone avrà necessariamente sempre più tempo e sempre più spazio". Vi proponiamo il testo di Michelangelo Pistoletto "Arare il proprio tempo", pubblicato in "Bollettino Saman", n. 9, Genova, a marzo/aprile del 1977.

Si può arare il proprio tempo così come il contadino arava la terra. Il lavoro può essere concepito secondo la legge dei solchi tutti uguali che riempiono il quadro del proprio campo, legge che utilizza la zappa, l’aratro, come la matita, creando una campitura piana, scorrendo piatta nel tempo secondo un ritmo costante variato soltanto dalle probabilità di errore date dal fare. Naturalmente il termine ‘cultura’ proviene dalla coltivazione ordinata dei campi e si differenzia dai termini che lo precedono, per l’ordine e la sicurezza che offre. Ma oggi l’evoluzione numerica delle persone e l’estensione degli strumenti, fanno precipitare il concetto di cultura fuori dal fazzoletto di terra in cui difendere l’integrità dei solchi come quella del sostentamento. Oggi possono vivere mille individui con le risorse ricavate da uno spazio che prima serviva a malapena a far vivere una persona impegnata in un lavoro che gli lasciava libere poche ore di sonno. Se si vuole continuare a lavorare secondo la vecchia cultura dove per mille persone servono ancora altrettanti spazi, allora non c’è più spazio, e se si continua a lavorare tanto quanto serviva alla vecchia cultura, allora non c’è più tempo.


Michelangelo Pistoletto traccia il solco del Terzo Paradiso ad Assisi, 2010.
Foto: courtesy FAI – Fondo Ambiente Italiano.

L’ammassamento della gente in quei piccoli territori sufficienti a produrre gli strumenti ed il cibo, crea altrove lo spazio libero, e il tempo libero sarà creato dalla necessità di distribuire a tutti le frazioni del tempo lavorativo che anche nella sua totalità si va restringendo.
Solo il danaro si estende ancora oggi oltre il necessario per dar corpo fittizio ad un territorio che non serve più ed a giustificare un tempo di lavoro che non è più essenziale. Quindi il danaro si configura ora come un campo arato, che per gli uni ha un senso puramente concettuale e astratto, e che per gli altri ha un senso puramente operativo e materiale ma in entrambi i casi serve a mantenere la crosta di una cultura che non ha più corpo.
L’arte non può sostenere il principio dell’integrità dei concetti e del lavoro quando questi si prolungano su una strada che ti lascia sospeso sul baratro, come Paperino, prima di precipitare. L’arte deve camminare dove la massa delle persone avrà necessariamente sempre più tempo e sempre più spazio, dove l’apparentemente inutile sta diventando essenziale e quindi dove si trovano insieme i bambini con i vecchi, dove si trovano a loro volta le donne, i giovani e gli uomini, prima e dopo il lavoro. Il nuovo spazio di tutti è creativo. Servono maestri di quest’arte.


Immagine di copertina: Il simbolo del Terzo Paradiso, tracciato sulla terra, 51° Biennale di Venezia, Isola di San Servolo, 2005.
Foto: L. Ogryzko.