La delega tecnica come delega sociale
Dal 23 al 25 maggio, a Cittadellarte, si è tenuto "Next Generation, Please!", una tre giorni dedicata al futuro della formazione, della formazione e del lavoro in Europa. Uno dei workshop dell'iniziativa, coordinato da Marco Liberatore del Gruppo di Ricerca Ippolita, verteva sui temi della tecnologia e della tecnica. Nell'ottica dei topic emersi dal tavolo di lavoro di questo laboratorio, vi proponiamo un testo del Gruppo Ippolita.

Le tecnologie digitali più diffuse agiscono come meccanismi di delega dei nostri desideri e delle capacità cognitive umane a procedure algoritmiche orientate al profitto e operate da macchine.
Il sistema delle tecnologie commerciali ci invita di fatto a non scegliere: prima ci irretisce con una possibilità di scelta illimitata (perlopiù di merce), poi, di fronte all’impossibilità di una scelta razionale, ci induce ad affidarci a esso affinché decida ciò che è meglio per noi. Per il nostro bene, naturalmente. E gratuitamente.
Ossia, per il modico prezzo di offrire in dono tutti i dettagli della nostra identità, tutti i particolari delle nostre relazioni sociali e gusti e preferenze a imprese private.
Per questo possiamo dire che la promessa di ogni delega tecnica è, in ultima istanza, di liberarci dalla libertà, perché la libertà è fatta di scelte.

Il problema è che la tecnologia non è neutrale: è politica! Un suo tratto fondamentale è che si tratta di un costrutto (umano) che si presenta invece come apolitico.
L’argomento chiave, sempre implicito, è che le tecnologie sono ‘neutrali’, figlie di una ricerca scientifica ‘oggettiva’ e ‘super partes’.
Ma accettare l’assunto della neutralità significa cadere in discorsi privi di senso sull’uso ‘buono’ o ‘cattivo’ delle tecnologie. Affermare che se lo strumento è neutro gli effetti positivi o negativi del suo uso dipendono da come viene usato, per quanto a prima vista sia un’affermazione ragionevole, non è del tutto vero.

Perché la tecnologia non è e non può essere neutra?
Perché le macchine e gli algoritmi che le fanno funzionare materializzano i valori e riproducono le ideologie dei loro creatori. Infatti, sono disegnate e costruite da esseri umani mossi da interessi economici, ideali politici, credenze personali, tutti elementi che s’incarnano nel loro funzionamento a livello di sistema. Questi elementi situati sono visibili nelle interfacce, nella disposizione dei bottoni, nelle funzioni a disposizione degli utenti, nella maniera in cui vengono presentate le informazioni. Le cifre e i colori non sono neutri: sono frutto di studi accurati, mirano a promuovere un certo tipo di rapporti, dando per scontato che di più, più in fretta e più a buon mercato sono i valori che motivano ogni azione.
Le interazioni fra umani e macchine configurano relazioni di potere, e il potere non è neutro. Da ciò consegue che tutte le tecnologie che mediano interazioni complesse – cioè relazioni tra esseri umani e tra essi e strumenti e servizi digitali – sono ideologicamente orientate. Non c’è niente di sbagliato in questo, se non il fatto di negarlo.
Solitamente la risposta più comune consiste nell’abbracciare quella che possiamo chiamare ‘tecnocrazia’, arrendendosi alla pratica della delega senza ritorno. Ma di fronte all’evidenza che le tecnologie non sono neutre, ma incarnano e configurano mondi, svanisce l’inevitabilità di questa delega tecnica, che si rivela per quello che è: delega sociale e politica.

Se vogliamo pensare e costruire mondi differenti da questo, e cominciare a relazionarci in maniera autonoma con i sistemi tecnici, è necessario cominciare a osservare le nostre abitudini interattive e modificare le pratiche di delega tecnocratica in favore di tecnologie conviviali, ossia di forme comunitarie di creazione e gestione. I mondi digitali interconnessi non sono diversi da quelli analogici precedenti: rendono solo più evidente che la libertà è un cammino molteplice, in cui nulla può essere dato per scontato.

Testo del Gruppo Ippolita


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